09 Luglio 2024

L'Intelligenza Artificiale rimandata in greco. Riflessioni dopo la Maturità

Umberto Eco aveva buon gioco ad ironizzare sugli svarioni della traduzione automatica, allora ai primordi. Solo un umano, si diceva, sarebbe stato in grado di riconoscere i contesti in cui sono usate le parole, e le sfumature di significato che ad esse ne derivano.

Esiste però, croce e delizia, il Progresso, contro cui è poetico ma retorico inveire parlando di alienazione, oblio dell’essere, eclissi del sacro e simili, ma di cui bisogna conoscere e fronteggiare le possibili insidie. “Una parola si riconosce dalle compagnie che frequenta” è il principio fondamentale della cosiddetta Analisi Semantica Latente: proprio i contesti precisano la sfumata gamma di significati (una sorta di scomposizione prismatica) che una parola e un’espressione possono assumere.

Questo il principio su cui basa l’odierno “web semantico” (con tutti i rischi di “profilazione”, “microtargeting”, insomma di intima e quasi sovrumana conoscenza algoritmica dell’uomo nei suoi pensieri bisogni desideri, che ciò comporta); e su cui si basa anche l’Intelligenza Artificiale, che fra l’altro ha fatto della traduzione automatica (almeno al di fuori dell’àmbito letterario) una validissima rivale dei traduttori umani.

Inutile dire che gli studenti fanno larghissimo, ed irriflesso, uso di ChatGpt (non conoscendo e non padroneggiando, ed essendo troppo pigri per esplorare, altri e più raffinati strumenti). Come ha notato qualcuno, però, chi all’ultima maturità si è affidato a ChatGpt ha avuto una pessima sorpresa (senza, beninteso, che questo incidesse sull’esito dell’esame, la cui percentuale di promossi supera il novantanove per cento).

Va pur detto che il Ministero sembra a volte fare apposta ad assegnare proprio i brani più insulsi. Non volendo insinuare che siano scelti a caso, si può pensare che il fine sia una salutare “mortificazione dell’intelletto” (spesso già di per sé non particolarmente vivo) degli studenti.Il fortunato di quest’anno era un passo del Minosse, dialogo dubbiosamente attribuito a Platone. Che si tratti di una semplice, e abbastanza modesta, esercitazione retorica di età ellenistica (per di più animata da uno spirito relativistico e sofistico forse più vicino alla mentalità odierna, ma che di socratico e platonico ha ben poco) balzerebbe all’occhio attento anche dalla decina scarsa di righe (in quattro ore…) sottoposta alle scolaresche. Un passo banale, ridondante, riboccante di ovvietà: del resto perfettamente adatto ad un contesto scolastico.

Segue il testo greco con una mia traduzione (nella quale, come in tutte o quasi, si potranno trovare, a torto o a ragione, tutte le mende del caso).  

Ἔστιν οὖν τοῦτο Ὁμήρου ἐγκώμιον εἰς Μίνων διὰ βραχέων εἰρημένον, οἷον οὐδ ̓ εἰς ἕνα τῶν ἡρώων ἐποίησεν Ὅμηρος. Ὅτι μὲν γὰρ ὁ Ζεὺς σοφιστής ἐστιν καὶ ἡ τέχνη αὕτη παγκάλη ἐστί, πολλαχοῦ καὶ ἄλλοθι δηλοῖ, ἀτὰρ καὶ ἐνταῦθα. Λέγει γὰρ τὸν Μίνων συγγίγνεσθαι ἐνάτῳ ἔτει τῷ Διὶ ἐν λόγοις καὶ φοιτᾶν παιδευθησόμενον ὡς ὑπὸ σοφιστοῦ ὄντος τοῦ Διός. Ὅτι οὖν τοῦτο τὸ γέρας οὐκ ἔστιν ὅτῳ ἀπένειμεν Ὅμηρος τῶν ἡρώων, ὑπὸ Διὸς πεπαιδεύσθαι, ἄλλῳ ἢ Μίνῳ, τοῦτ’ ἔστιν ἔπαινος θαυμαστός. Καὶ Ὀδυσσείας ἐν Νεκυίᾳ δικάζοντα χρυσοῦν σκήπτρον ἔχοντα πεποίηκε τὸν Μίνων, οὐ τὸν Ραδάμανθυν· Ραδάμανθυν δὲ οὔτ ̓ ἐνταῦθα δικάζοντα πεποίηκεν οὔτε συγγιγνόμενον τῷ Διὶ οὐδαμοῦ. Διὰ ταῦτά φημ ̓ ἐγὼ Μίνων ἁπάντων μάλιστα ὑπὸ Ὁμήρου ἐγκεκωμιάσθαι. Τὸ γὰρ Διὸς ὄντα παῖδα μόνον ὑπὸ Διὸς πεπαιδεῦσθαι οὐκ ἔχει ὑπερβολὴν ἐπαίνου.

Questo è dunque l’elogio di Omero a Minosse, concisamente pronunciato, quale Omero non ha fatto per nessun altro degli eroi. Che Zeus sia infatti un sapiente, e che quest’arte sia nobilissima, lo dimostra spesso anche in molti altri luoghi, e così pure qui. Dice infatti che Minosse ogni nove anni si recava a colloquio con Zeus e andava da lui per essere istruito, poiché Zeus era un sapiente. Che dunque questo privilegio, di essere stato istruito da Zeus, Omero non l’abbia attribuito a nessun altro degli eroi, se non a Minosse, è un elogio straordinario. E nella Discesa agli Inferi dell’Odissea egli ha rappresentato Minosse giudicante con uno scettro d’oro, non Radamanto; Radamanto invece non l’ha rappresentato né qui come giudice, né in alcun luogo in compagnia di Zeus. Per questi motivi io affermo che Minosse è stato elogiato da Omero più di tutti. Infatti essere l’unico figlio di Zeus ad essere stato istruito da Zeus è il culmine dell’elogio.

Così invece, più con infamia che con lode, ChatGPT:

Questo è dunque un encomio di Omero a Minosse espresso in breve, quale Omero non ha fatto per nessuno degli eroi. Infatti, che Zeus sia un sofista e che questa arte sia meravigliosa lo dimostra in molti altri luoghi, ma anche qui. Dice infatti che Minosse stava con Zeus nel nono anno in dialoghi e andava a ricevere educazione come da un sofista quale era Zeus. Che dunque Omero non abbia conferito questo onore, di essere educato da Zeus, a nessuno degli eroi tranne che a Minosse, è una lode straordinaria. E nell’Odissea, nella Nekyia, ha fatto Minosse giudicare con uno scettro d’oro, non Radamanto; e Radamanto non lo ha fatto giudicare né qui né mai lo ha mostrato in compagnia di Zeus. Per queste ragioni io affermo che Minosse è stato elogiato da Omero più di tutti. Infatti, essere figlio di Zeus ed essere educato da Zeus è un elogio senza pari.

Solo il contesto culturale può far comprendere che sophistès non significa qui, con accezione negativa, “sofista”, ma “sapiente”. “Nel nono anno” è traduzione grammaticalmente esatta, ma che non rende l’idea della periodicità degli incontri fra Minosse e Zeus. Quel “né qui né mai” non distingue fra due azioni e condizioni distinte (il giudicare e l’essere insieme a Zeus).

Meglio se la cava (se solo qualcuno la conoscesse) Claude:

Questo è dunque l’elogio di Omero a Minosse, espresso in breve, tale che Omero non ha fatto per nessun altro degli eroi. Che Zeus sia infatti un sapiente e che questa arte sia bellissima, lo dimostra in molti altri luoghi, ma anche qui. Dice infatti che Minosse ogni nove anni si incontrava con Zeus per conversare e andava da lui per essere istruito, come se Zeus fosse un sapiente. Il fatto che Omero non abbia attribuito questo privilegio, di essere stato istruito da Zeus, a nessun altro degli eroi se non a Minosse, è un elogio straordinario. E nella Nekyia dell’Odissea ha rappresentato Minosse che giudica tenendo uno scettro d’oro, non Radamanto; Radamanto invece non l’ha rappresentato né qui come giudice né in alcun luogo in compagnia di Zeus. Per questi motivi io affermo che Minosse è stato elogiato da Omero più di tutti. Infatti, l’essere l’unico figlio di Zeus ad essere stato istruito da Zeus non può essere superato come elogio.

“Tale che” suggerisce però l’idea di una consecutiva che nel testo non c’è. Quel “come se” dà un’idea di comparativa ipotetica, mentre l’hos del greco ha sfumatura causale (“in quanto”).

Gemini incorre in vari errori che abbiamo già visto, e vi aggiunge, nell’ultima frase, il fraintendimento di monon, che non è avverbio (soltanto), ma aggettivo (l’unico, il solo):

Questo è dunque un elogio di Minosse da parte di Omero, espresso in poche parole, come Omero non ne ha fatto per nessun altro eroe. Infatti, che Zeus sia un sofista e che quest’arte sia bellissima, lo dimostra in molti altri passi, e anche qui. Dice infatti che Minosse ogni nove anni si incontrava con Zeus per discorrere e frequentava il dio per essere istruito, come se Zeus fosse un sofista. Il fatto che Omero non abbia concesso ad altro eroe se non a Minosse l’onore di essere stato educato da Zeus, è un elogio straordinario. E nell’Odissea, nella sezione della Necromanzia, fa rappresentare Minosse con uno scettro d’oro in mano, mentre svolge il ruolo di giudice, non Radamanto; e Radamanto non lo rappresenta mai come giudice in nessun passo, né lo fa incontrare con Zeus. Per questi motivi, io dico che Minosse è stato il più elogiato di tutti da Omero. Il fatto di essere figlio di Zeus e di essere stato educato solo da Zeus non ha paragone in termini di lode.

Interessante la sfida, in questo come in altro, fra Google e Microsoft.

Copilot, la AI di Microsoft, se la cava così, cioè maluccio:

Quindi questo è un encomio di Omero a Minosse, espresso in poche parole, come se Omero non avesse fatto un encomio per nessun altro eroe. Poiché Zeus è un sofista e questa arte è universalmente ammirata, come dimostra in molti altri passi e anche qui. Dice che Minosse è stato accolto da Zeus nel nono anno, istruito in discorsi e istruito come se fosse sotto la guida di un sofista divino. Pertanto, il fatto che Omero non abbia concesso questo onore a nessun altro eroe, tranne che a Minosse, istruito da Zeus, è un elogio straordinario. E riguardo a Radamanto, Omero lo ha rappresentato giudicante con uno scettro d’oro nell’Oltretomba, non Minosse. Radamanto, tuttavia, non è mai stato giudicante né in quel luogo né altrove. Pertanto, dico che Minosse è stato elogiato da Omero più di tutti, poiché essere figlio di Zeus e istruito solo da Zeus non è una lode comune.

All’inizio, quell’hoion (il greco antico è davvero questione di minimi dettagli: e forse in ciò ne risiede, se c’è – e sempre che esso non sia degno di studio solo per la sua assoluta bellezza e il suo significato storico –, il “valore formativo”) viene completamente snaturato se reso con “come se”, che introduce una venatura ipotetica inesistente nell’originale. Quel “come dimostra” aggiunge un “come” assente nell’originale (Copilot sembra prediligere le comparazioni, tanto che anch’esso incappa nel “come se Zeus fosse un sofista”).

Secondo Copilot, che in questo capovolge il testo, la dignità di giudice con lo scettro aureo spetta a Radamanto, non a Minosse.

Microsoft sembra dunque, nel complesso, perdere la sfida con Google non solo nei motori di ricerca, ma anche (con svantaggio economico infinitamente minore) nel greco antico. 

L’impressione (forse, peraltro, condizionata dal pregiudizio umanistico), leggendo e confrontando queste traduzioni, è di trovarsi davanti a qualcosa di freddo, inerte, letteralmente metallico. E ci si sente francamente, quasi fisicamente, vuoti. Meglio consolarsi, allora, con la versione latina di Marsilio Ficino. Che peraltro oggi sarebbe probabilmente a malapena promosso in un concorso a cattedre (non so invero se ci sia ancora la famigerata traduzione dal greco al latino ‒ a cui l’università, ossessionata da frammenti papiri edizioni critiche, non preparava in alcun modo) per l’eccessiva libertà della resa: atàr non contiene, di per sé, l’idea di “soprattutto”, “maxime”; “annos novem” sarebbe “tempo continuato”, dunque non corrisponderebbe ad un dativo greco; “existimanda est”, la famigerata “perifrastica passiva”, contiene un’idea di obbligo o necessità assente nell’originale; la discesa agli Inferi non è propriamente un funerale, un “funus”…

E si dovrà pur dire, a discolpa dell’Intelligenza Artificiale, che anche quella assolutamente umana (anzi umanistica) di Ficino si lascia sfuggire “quasi Iupiter sophista sit” (laddove, fra l’altro, forse la consecutio preferirebbe “esset”). La perfezione non è (nella traduzione almeno) della macchina, e neppure dell’uomo.

L’“infedeltà” può essere gelido e ottuso e meccanico fraintendimento, ma anche salutare “sovrainterpretazione” che scava e approfondisce i sostrati del senso (può darsi che quel presente, “sit”, sia il perenne presente dell’eternità).

Ma ancor oggi, agli sventurati aspiranti insegnanti, oso dare un vecchio consiglio. L’ingiallito Tantucci (che a molti ricorda la giovinezza ‒ altri preferivano Rimbaud, e non avevano torto) sia il vostro vangelo, il vostro livre de chevet; frugatelo e rifrugatelo, voluttuosamente, diceva il poeta, “con mano notturna e diurna”: la scuola è sempre scuola, e “scolastico” è aggettivo sempre alonato di polvere e tedio.

Quanto poi ad una traduzione che voglia essere opera d’arte, essa avrà sempre in sé l’impronta di quella “feconda irriverenza” di cui parlava Ortega y Gasset: la quale fa “morire il testo” come regola e modello per farlo rinascere come umanità remota e perduta con la quale è però possibile tornare, medianicamente, ad immedesimarsi – non tanto per la sua presunta perfezione, quanto precisamente per i suoi, e nostri, errori, per i suoi e nostri erramenti, purché sorti non da un delirio di meccanica esattezza, ma da un sempre troncato anelito di appressamento all’origine.

Tanta est haec in Minoem Homeri laus paucis verbis explicita, ut nunquam pari laudatione heroum quemquam extulerit. Quod enim Iupiter sophista est, eaque ars praeclarissima, quum alibi saepenumero, tum hoc in loco vel maxime patefacit. Nam Minos annos novem cum Iove collocutum inquit, ad eumque disciplinae gratia proficisci solitum, quasi Iupiter sophista sit. Quod autem tanto munere, hoc est ab Iove eruditum esse, alium heroa nullum Homerus affecit, mira quaedam laus existimanda est. Quin etiam in Odyssea ubi funus describitur, Minoem mortuorum animas iudicante, aureum sceptrum tenentem induxit. Rhadamanthum vero neque hic, neque alibi iudicantem, aut cum Ioue colloquentem inducit. Quamobrem ab Homero prae ceteris omnibus Minoem honoratum assero.

Matteo Veronesi

*Gli scritti di Matteo Veronesi si possono leggere anche qui

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