19 Agosto 2019

Ma chi li legge davvero i bestseller? Nessuno, neanche gli editor (altrimenti qualcuno si accorgerebbe di quel cumulo di banalità). Tanto, per vendere, basta la pubblicità

Narrativa di genere, anche pluripremiata.

Io dubito fortemente che davvero qualcuno legga quella roba (anche se si vende a centinaia di migliaia di copie).

Infatti la trovi, dopo un decennio, accatastata dai robivecchi, palesemente mai sfogliata.

Anche nelle case editrici, temo, non la legge nessuno (a parte forse il malcapitato che deve rabberciarne in qualche modo punteggiatura e sintassi). Tanto in ogni caso a farla vendere è la réclame.

“Alice si cagò addosso, alle nove in punto di una mattina di gennaio”. Tali (non invento nulla) la svolta essenziale e il sottile e finissimo fulcro psicologico di un romanzo di genere alonato addirittura di un certo prestigio midcult (e, va pur detto, dalla bella copertina).

“Il signor conte si levò per tempo, alle ore otto e mezzo precise… La signora contessa indossò un abito lilla con una ricca fioritura di merletti alla gola… Teresina si moriva di fame… Lucrezia spasimava d’amore… Oh, santo Dio! e che volete che me n’importi?”. Così ironizzava Pirandello (e, consonanza illuminante, Valéry, che rifiutava categoricamente di scrivere una frase come “La Marquise sortit à cinq heures”). Quei nobiliari scorci, benché artefatti, erano se non altro più fini della diarrea fulminante, e non meno insignificanti.

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Un altro di questi romanzi di genere con pretese letterarie (simili se vogliamo ai caroselli  dei profumi o dei supermercati girati da Fellini o da Woody Allen) ruota (con tanto di preziosismi e contorcimenti sintattici e psicologici pseudoproustiani) intorno alle vicende di un feticista ossessionato dal razziare mutande.

Ho solo sfogliato Harry Potter. Ma dubito che quella prosa dalle inverosimili velleità auliche sia davvero comprensibile ai bambini che si fanno regalare il libro per collocarlo su una mensola in mezzo ai pupazzetti. (In alcuni licei si tenta di ridestare l’interesse dei giovinetti facendo leggere Harry Potter in latino. Il che conferma che gli studi classici sono davvero al crepuscolo).

Inutile insistere sul recente, ponderoso ed osannato, tomo, con ambizioni di romanzo storico, che fa lavorare gli elettricisti nel 1846 e (horribile auditu) fa scrivere una lettera a Francesco De Sanctis nel 1922. Il redattore (quello che un tempo era chiamato ‘il negro’, espressione oggi politicamente inaccettabile) avrà pensato di essere pagato troppo poco per leggere un libro intero. Del resto Montale, una volta, rimproverato per il carattere approssimativo di una sua recensione, non rispose forse che in un paio d’ore non si poteva fare di più?

Ed è lecito, al riguardo, chiedersi anche fino a che punto i prestigiosi recensori che lodano quegli oggetti cartacei li leggano davvero (anche perché difficilmente, dati i ritmi implacabili dell’industria culturale, ne avrebbero il tempo materiale), e non si fidino piuttosto di sinossi, schede editoriali, comunicati stampa… La ‘lettura obliqua’, o ‘lettura professionale’ (glancing through, dicono gli anglosassoni con evocativa concisione), è del resto, di fatto, una non-lettura, insufficiente anche per un’interrogazione liceale.

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Io dubito che quei tomi e tometti, e gli alti elogi che li investono, siano davvero letti da qualcuno con somma attenzione. Il pubblico (per quanto non adeguatamente preparato dalla scuola sempre più, o sempre meno… quello che preferite, donde la minaccia neofascista populista eccetera eccetera…), si accorgerebbe di quelle assurdità. E forse andrebbe in libreria pretendendo indietro i soldi (come molti fecero, si narra, constatando la ben più letterariamente giustificabile carenza d’interpunzione nell’Ulisse di Joyce).

C’è da chiedersi, insomma, se, tutto considerato, essendo di fatto comunque latitanti un effettivo pubblico e un’effettiva critica, non sia meglio dedicarsi ad elitarie ricerche erudite o a criptiche e cerebrali (certo ‘inadeguate al target’, ammesso che un target esista) liriche alessandrine mallarmeane ermetiche. Le quali forse, un giorno, troveranno qualche decina di lettori reali ed attenti (se non addirittura appassionati).

A parte, ovviamente, le ragioni economiche. Per guadagnarsi da vivere più o meno bene, riempire pagine a vanvera è sempre meglio che lavorare.

Dunque, a chi dirà che la mia è solo invidia, posso solo rispondere che in fondo ha ragione.

Matteo Veronesi

*In copertina: Aldous Huxley (1894-1963) fotografato da Richard Avedon, 1956

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