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Politica culturale

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Letterature
Barbara Costa
I ponti
Cieli grigi cristallini. Uno stravagante disegno di ponti,
questi dritti, quelli a cupola, altri discendenti
obliquamente ad angolo sui primi, e queste figure
si rinnovano negli altri circuiti illuminati del canale,
ma tutti così lunghi e leggeri che le rive, cariche
di cupole, affondano e si restringono. Alcuni
di questi ponti sono ancora carichi di tuguri. Altri
sostengono alberi, dei segnali, fragili parapetti.
Gli accordi minori si intersecano, e ruotano; le corde
salgono dalle sponde. Distinguiamo una giacca rossa,
forse altri costumi e strumenti
musicali. Sono questi brani popolari, frammenti di
concerti maestosi, resti d’inni pubblici?
L’acqua è grigia e blu, larga come un braccio di mare.
Un raggio bianco, cadendo dall’alto del cielo, annienta
questa commedia.
La parte visionaria e magica dell’opera di Rimbaud, caratterizzata da uno slancio proteso all’invisibile, provoca, nel lettore non iniziato, un senso di stupore che si dilegua quando la sua poesia, rivelandosi attraverso un linguaggio di cristallo, scopre il fulgore della visione.
Ma non bisogna essere per forza iniziati o meno, leggendo Le illuminazioni rimbaudiane. Servirebbe ‒ piuttosto, e per fortuna ‒ un’apertura al reale; l’accettazione di quella forma che incontra lo sguardo, reggendo l’urto di qualcosa che effettivamente ci parla. Perciò, Rimbaud ne I ponti ‒ quattordicesima stazione di una via tutta illuminata e da scoprire, tra crisi e visionarietà ‒ non fa nient’altro che descriverci ponti bizzarri, romani?, originali. Sembra che ce ne parli così come li vede: dritti o a cupola, che s’intersecano tra di loro, quasi incastrandosi; oppure, affondando e restringendo quelle rive che accompagnano il loro peso sulla prospettiva.
Sono ponti poveri, quelli del poeta: ancora carichi, aggravati di tuguri; portatori di un senso opprimente di miseria e di squallore. Pur tuttavia, la vita scorre accanto agli alberi, ai parapetti; e corde (per fissare barche?) salgono dalle sponde. Assistiamo forse persino a un concerto pubblico. Strumentisti con giacche rosse ed altri costumi suonano frammenti frammisti alla visione.
L’acqua ‒ tutt’intorno, come il cielo ‒ è grigia e blu. Quando un raggio diafano, improvvisamente, guizzando dall’alto, annulla la messinscena.
Che si tratti di una burla del poeta? Di una farsa messa in bella vista, per distrarci da una visione fin troppo reale…