05 Dicembre 2024

“Ci sono uomini nei quali geme dio”. Intorno a Hugo Mujica, il poeta estremo

“[…] è un puro miracolo che quel libro sia giunto nelle mie mani”

C. Campo

Poeta fra i più importanti del panorama contemporaneo argentino e internazionale, filosofo e saggista, Hugo Mujica ha avuto indubbiamente una vita insolita. Leggerete, nell’autobiografia, oltre al resto, dei 7 anni passati in silenzio, in un monastero trappista. Questa credo sia stata l’esperienza più significativa e incisiva nella genesi della lunga e ricca produzione poetica.

Ho incontrato questa poesia per caso o per destino, tanti anni fa, leggendo le prime traduzioni uscite in Italia per Raffaelli e poi per Lietocolle. Questa nuova traduzione di Zingonia Zingone, poetessa e traduttrice, amica del poeta e della sua opera, è una splendida testimonianza di maestria e affetto, di stima e certosina cura della gioia di ogni incanto di questi brevi testi, incanto ri-donato nella lingua italiana senza tradire il vero motivo per il quale ci si spende e ci si dona nella poesia, come nella vita: l’amore per la bellezza.

Alcune brevi occhiate a questa, a mio parere, stupefacente raccolta, a questi versi sfuggenti come tramonti e immobili come bottiglie di Morandi (pittore al quale il poeta si è certamente ispirato, forse per radunare l’essenziale).

In ogni vita a dio muore un figlio

Sono testi scabri e brevi, dove sembra quasi venga fatto l’appello all’essenziale, l’appello a questa quasi armata brancaleone che è l’essenziale, l’alba, la notte, il grido, la mano come fossero cose che si contano sulla punta di una mano, come due pani e due pesci e di cui potrebbe far parte ora un uccello, ora un uomo, ora un bambino, un pronome, ora verbi impersonali, la cui persona è ognuno.

C’è una frontalità che caratterizza evidentemente l’essenziale: la chiamata a esserci, come per un appuntamento, in un tempo senza tempo, un presente sprezzante e poco socievole con la malinconia du temps perdu

ho compreso che il vento non passa,

                                                ho compreso che sta sempre arrivando.

Torna alla mente anche la saggezza delle vergini del vangelo che conservano l’olio per andare incontro allo sposo, perché non sapremo né il giorno né l’ora.

È una poesia che veglia, desta e tesa, direi appunto quasi fatta a immagine e somiglianza di una breve scultura. Le nature morte di Morandi hanno quella malinconia di chi è ritrovato insieme quasi solo per fare il quadro, la malinconia di qualcosa che è con qualcos’altro, ma potrebbe, da un momento all’altro, separarsi. Cosa c’entrano le cose fra loro? Cosa le unisce? Nei testi di Mujica mi pare ci sia questa risposta: tutto, cioè nulla. Non ci sono didascalie al senso e significato dell’esistenza. Percepisco solo che in questi testi gli estremi opposti co-abitano e che questo mi pare sia una delle ragioni della pace che ricevo. Questa poesia è piena di cose miti.

Sono poesie drammatiche, tese, in pace.

Cristina Campo dice che la vera poesia è geroglifica e io aggiungo che la fenditura per comprenderla è come il taglio di Fontana. In realtà ci sono dei taglidifontana nel testo come fossero bordi che delimitano sia un’entrata, che un’uscita. I versi che mi hanno accompagnato per tanti anni e che erano belli come una conchiglia vuota sono questi:

o come cercando
un figlio perduto tra la folla,

  senza sapere dov’è,
senza sapere se è nato

soprattutto quest’ultimo verso, senza sapere dov’è, senza sapere se è nato mi ha sempre portato in un luogo segreto, quei luoghi dove si va a piangere o a tirare sassi contro l’infinito. Detta così sembra una banalità o un tentativo di dolcificare il vuoto, bohemizzare o idolatrare lo spleen, fumare una sigaretta guardando il niente. No.

Mujica è un poeta estremo, che non ha paura di vedere il vuoto e rimanere senza aprire e chiudere la mano, esercizio spirituale di chi sa che “il destino non è nel campo che si possiede, ma nella perla per cui si vende quel campo” (Campo).

Questo fuori attira tutto a sé, come se nascere fosse un verbo-luogo, un verbo bianco come il bastone in questa poesia, un verbo trasparente, come il vuoto.

Vedere non è aprire gli occhi,
è mettere da parte il bastone bianco:

avere l’audacia di camminare
                  sul sapersi perduto.

La poesia di Mujica è poesia spericolata della vita, è il crinale del quotidiano.

Nel vedere ciò che c’è, c’è tutto.

Questa poesia non guarda un pensiero, non fissa un concetto. Scappa con la realtà, rimane con la vita addosso. Per questo è spericolato e non ha paura del vuoto, dell’uomo nudo, della rosa senza un perché di Silesio, della fede assoluta senza speranza. Perché dice, e leggo e mi commuovo:

ci sono uomini nei quali geme dio
perché non trova un uomo
dove morire di carne,

ma non piange come chi lo fa
da solo,
piange come chi piange abbracciato a un bambino.

Della sua biografia mi pare di avere rintracciato ben poco se non degli sprazzi, come il gesto quotidiano di guardarsi allo specchio, con l’agonia del guardare crocifisso dal guardare, con gli occhi inchiodati nei chiodi degli occhi, attraversato e unito dalla crepa di un ciottolo spezzato. Sento il ferro freddo di cui si parla.

(Dovrei portare un chiodo e piantarlo e sarei un ottimo lettore letterario di queste poesie, un critico pungente e inflessibile).

Se la poesia è davvero geroglifica mi limito a guardarla come le colonne intarsiate dove ogni tanto emerge il muso di un lupo, la mano di un angelo, la coda di un leone, il profilo dei santi, la bocca aperta di un bambino, Gesù Cristo.

È una poesia dove, come quel fiore può essere tutto, tutto può essere tutto. In appena tutto. L’incarnato affiora come un pensiero che è stato quarant’anni nel deserto, prima di pronunciare il suo nome. È una parola piena di digiuno.

Ma su quel tutto in tutto vorrei fermarmi solo un attimo perché credo che lì dimori la luce di questa visione. Se in tutto c’è tutto ci possiamo commuovere davanti a tutto, cioè abbiamo solo la dolcissima presenza degli avverbi per indicarci un luogo caro al poeta: fuori. Dove tutto è pieno di ciò che manca. Quindi non manca niente, neanche ciò che manca.

È una poesia estrema, una poesia della soglia, del vegliare. È un boicottaggio del gonfio, è voler dormire sulla panchina, per terra, in quei luoghi del vivere dove fra la nascita e la morte c’è solo l’aria che entra e esce. Ma attenzione. Si potrebbe parlare di mistica, o di mistica della carne, per citare un titolo fra i tanti che trattano l’argomento. A me viene in mente questo verso di Cvetaeva citata da Ceronetti “…l’anima, che per l’uomo comune/è il vertice della spiritualità,/ per l’uomo spirituale è quasi carne” e ho trovato questo passo tratto da un saggio di Mujica, uscito su Pangea:

Si nasce nell’urlo.
Lì si inaugura la carne.

Tutta la poesia di Mujica mi pare lasci l’inesprimibile inespresso, come l’urlo nella statua di Maria Maddalena nel Compianto al Cristo morto a Bologna. La si legge e ci si chiede: dove sono? La si legge e ci si chiede: ma cos’è stato? C’è scritto quasi nulla. È poi quel quasi, piccolo come polvere sotto a una porta che non si chiude, rubicondo come la mano piena del sangue di chi è nato appoggiandosi un attimo lì.

Senza quella parola sarei caduta. Senza quella parola, che è il mio nome, sarei morta.

Non ci può essere una conclusione, un riassunto, un elenco di parole-chiave o parole-chiodo. Si ha meno paura di raggiungere luoghi impervi come il proprio vuoto, dove l’arte vera ti abbandona bendato, perché non si possa ritornare nei rifugi e si scelga il fuori, ognuno il suo.

Perché nemmeno i versi riempiano la mano aperta e poi perché, e qui tutto ritorna al silenzio da cui siamo partiti, perché, e lo spiega bene questo verso, qui tutti hanno bisogno di chi morire.

Francesca Serragnoli

***

ALBA

fermo,
come se non si muovesse
affinché il sangue non debordi
la bocca

fermo,

come se sentisse un uccello
ferito
sul palmo della mano

senza chiudere la mano
senza aprire gli occhi.

c’è una fede che è assoluta:

una fede senza speranza.

*

CI SONO CANI CHE MUOIONO DELLA MORTE DEL PADRONE

ci sono cani
che muoiono della morte del padrone

corpi che non fanno l’amore,
fanno la paura

che non si agitano,
                                    tremano.

e ci sono uomini
nei quali muore dio
come una goccia di ceralacca
sul petto
di un busto di marmo,

sono quelli che piangono quando credono
di stare parlando,
o gridano quando sognano, ma all’alba
dimenticano il grido
con cui accesero la notte.

ci sono uomini nei quali geme dio
perché non trova un uomo
dove morire di carne,

ma non piange come chi lo fa
da solo,
piange come chi piange abbracciato a un bambino.

*

PRIMA DI NIENTE, PER NIENTE

I

ci sono vite che si consumano
dietro una finestra,

muoiono senza aver trovato
una via,
muoiono perché non sono partite.

ci sono preghiere che sono la loro propria eco;

speranze che sono specchi:
aspettano
solo ciò che aspettano,
si trasformano nella statua
di quello che aspettavano,

sono la paura di perdere
non il desiderio dell’incontro.

II

ci sono altre, altre vite, che palpitano vita:
cercano
ciò che ancora non ha nome
fanno del caso la loro speranza,

non guardano in lontananza
                                   fanno della lontananza una scorciatoia.

è quella degli uomini che parlano con parole
che non sono parole
sono colpi
contro il petto della vita,

come quelli dei carcerati
contro i muri
affinché da un’altra cella qualcuno risponda.

sono come muti che muovono
le labbra
in un girotondo di ciechi,

come muti, sì,
ma senza chiudere la bocca, senza tradire l’urlo.

III

e ci sono vite che né urlano
né colpiscono,
che non hanno neppure mura sulle quali
tatuare un nome,
sulle quali incidere il loro passaggio,

sono vite alle intemperie: è l’attesa
in carne viva

come quella di un mendicante in mezzo
a una terra deserta

davanti a nessuno, per niente,
ma senza abbassare né chiudere la mano.

*

ABBANDONO

Tra il pugno
e la mano che si apre
                                         si dispiega una vita.

Solo la morte non ci è estranea,
solo ciò che più ci appartiene nasce in noi
                                                       dall’abbandono.

L

Amare già da adesso
ciò che mai saremo,

così l’eternità,
    così ogni battito.

Hugo Mujica

*Si pubblica per gentile concessione, la prefazione di Francesca Serragnoli e una silloge di poesie da: Hugo Mujica, “E tutto nomina”, trad. it. di Zingonia Zingone, InternoPoesia, 2024

Gruppo MAGOG