Ritorno su Andrea Cortellessa. Su “Tuttolibri” de “La Stampa” il critico letterario ha allineato i libri più belli degli ultimi vent’anni, sotto il logo “Del XXI secolo il canone è questo”. Ha fatto bene. Nell’epoca dell’obliqua ubiquità, dove si stampa di tutto ma è letteralmente impossibile leggere tutto quello che passa per il cortile editoriale, bisogna fare delle scelte. Opinabili per forza di cose: uno che sceglie obbliga un altro a prendere posizione. O a scegliere altro. Cortellessa si concentra sui romanzi italiani, è un intellettuale autentico, io sono un trickster, per cui posso permettermi di vergare la lista dei 10 libri italiani di poesia più importanti del Ventennio. Due cose, superficialmente, mi sorprendono. Primo: l’Italia è, letteralmente, terra di poeti. La poesia, intendo, porta avanti la fiamma del linguaggio, piantando la torcia in un futuro a venire – che forse non avverrà mai. Il romanzo mi pare stia sul ciglio della cronaca e delle buone intenzioni, di solito si esaurisce presto – fatta salva l’avventatezza linguistica di alcuni, pochissimi. Secondo: quando si parla di poesia contemporanea il balbettio sfinisce, è un’orda di pettegolezzi. Di norma, il problema si risolve impilando una vasta lista di autori, più o meno autorevoli, la poesia è vacca dalle poppe abbienti. Insomma, non si sceglie. Così, ad esempio, il saggio di Alberto Bertoni, “Poesia italiana dal Novecento a oggi” (Marietti, 2019), si riduce a un registro di lirici nuovi; quando il prof s’impegna a fare “Lezioni di poesia”, si concentra sui soliti noti (nel caso specifico: Giovanni Giudici, Emilio Rentocchini, Valerio Magrelli). Bertoni ha ragione: nella notte in cui le vacche sono nere, più che sondare le ombre (snidate nel nome&cognome) meglio affidarsi all’usato sicuro. Ma io, ripeto, non sono un critico, sono uno con la cerbottana nella cinghia, per cui oso la scelta. Mi doto di una sola regola: scegliere libri che costituiscano, nell’ultimo ventennio, l’esplosione di un autore e non il riassunto della sua pur luminosa parabola (esempio: Milo De Angelis e Valerio Magrelli, per dire, sono poeti che hanno già espresso il loro talento ben prima del nuovo millennio). Intanto, i primi 10 libri a mio giudizio necessari. (d.b.)
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Maria Grazia Calandrone, La scimmia randagia (2003)
Epica e politica, assoluta e senza assoluzione, teatrale e combattiva, offesa e inoffensiva, la poesia della Calandrone nasce per essere detta, è dettato che si fa atto. Ne filai gli esordi, ricordo, all’inizio del millennio, che restano ancora statuari. “E la parte arcaica del cervello intravede/ nuvole in cielo cattive e poi copre il tuo volto nel crematorio bianco.// File di pioppi nel silenzio atomico. Della disadorna anemica delle erbe/ sale il Te Deum, la lode”.
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Pierluigi Cappello, Assetto di volo (2006)
La poesia è così: affare per pochi, misura della solitudine. Eppure, è rito che va spartito, condiviso. Cosa simile al pane. A questo mi manda la poesia di Cappello, allo stesso tempo iliadica, epica, e nuda. “Ci vuole un’estate piena e un padre calmo,/ un dio non assiso in mezzo agli sconfitti/ ma così in tutta bellezza lo posso immaginare/ come un bambino alle prime pedalate”.
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Simone Cattaneo, Peace & Love (2012)
Tra Martin Scorsese e Machiavelli, tra lo sketch periferico, da sottosuolo, alla rivelazione meridiana, che incatena alla nostra inadempienza al vivere. Ne amo, pure, quelle pozze di intrepida dolcezza. “Quella forza che tramuta/ il giorno in sera/ e la sera in giorno,/ proprio quella forza/ vorrei scheggiare/ così che trascini anche me/ in quel nulla, in quell’umore/ dove nuda si libra/ la gemma del tuo dolore”.
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Alessandro Ceni, Mattoni per l’altare del fuoco (2002)
Libro visionario, orfico, selvatico, boschivo, anomalo, di ricerca linguistica e sciamanica. Va sussurrato con la dedizione dell’inno dato in pasto alle foglie. “Sia la nostra morte/ al suo occhio teso di passero/ grande di rami e di viluppi/ né mai distolga il passo una volta compiuto”. Poesia che va sorbita, servita.
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Federico Italiano, L’invasione dei granchi giganti (2010)
Poesia complessa, colta, ironica, letteraria, scanzonata, vertiginosa, europea. Alcuni poemetti di questa raccolta (“Il tradimento dei rospi”; “La nuova età gregaria o l’invasione delle locuste”; “Schiller”; “I Mirmidoni”) dovrebbero essere delle acquisizioni ‘scientifiche’, date, della letteratura italiana recente. Ritaglio da “Discorso di un giovane alla sua prescelta”, ambientato “In una tenda a oriente del Volga, 3500 a.C. circa”: “Coltiveremo la terra estirpata al bosco,/ il fuoco la renderà albume,/ e tu ingrasserai come conviene,/ avremo tempo per le arnie/ e per la contemplazione dei temporali. Non temere”.
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Gian Ruggero Manzoni, Scritture scelte (2006)
Il talento di GRM esplode nell’ultimo ventennio, sia nel campo del romanzo (“Il Morbo”, 2002; “Acufeni”, 2014) che in quello poetico (“Tutto il calore del mondo”, con opere di Mimmo Paladino, è del 2013). Poesia di lotta e di sapienza, quella di GRM (“Più la vita è randagia più/ il senso vero che l’abita è/ sedentario”), che percorre gli assoluti con nitore apodittico, da vergare sugli stipiti delle porte. Vale, di questo libro antologico, la scelta di farsi fuori da tutti: stampato per le Edizioni del Bradipo, introvabile, per pochi accoliti. La poesia di GRM va stanata, va scelta, prediletta, al di là di ogni magagna editoriale.
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Alessandro Rivali, La caduta di Bisanzio (2010)
Scrittura distillata dal fuoco, dove tutto – presente, passato, avvenire – è uno, significativo, con tensione di icona. L’epica gratificata da una gioia per la parola esatta, sfocia in un progetto che Rivali lavora da anni, “La terra di Caino”. “La sella di pietra è un veliero/ che contempla la rosa dei mari.// Nelle terre alte dei sette laghi/ l’acqua ristora la sete di Dio”.
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Francesca Serragnoli, Il fianco dove appoggiare un figlio (2011)
Esplosione in cristallo, la poesia ha trame che ti bucano gli occhi – e cosa puoi fare se confondi il lamento con la legge? Rigore e visione si equilibrano nella poesia di Francesca Serragnoli, tra i grandi poeti del tempo presente. “Ti raccolgo con le mie braccia bucate/ regina di paglia sento/ irrigidirsi l’osso del passero/ prima del volo/ e la fiamma agitarsi/ e ballare”
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Andrea Temporelli, Terramadre (2012)
Il poema che ricapitola ogni amare fino al punto che precisa la rinuncia. L’atto di nascita specifica il precipizio: adorare l’uomo, per estinguerlo. Leggete qui, che grandezza: “Non c’è più tempo e non c’è solitudine:/ se la fine certifica l’amore/ fermo il respiro adesso nel poema:/ adamantino chiodo dentro il vuoto/ per darti appiglio, figlio, almeno un poco./ Qui poggia il piede per la capriola/ con cui mi onorerai dimenticandomi.// Noi viviamo definitivamente”.
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Isacco Turina, I destini minori (2017)
Scrittura incisa nel quarzo, che disorienta con inesorabile lucidità, praticata da un autore che si nasconde. L’esito è un libro memorabile. “La mano del bambino stacca i camion/ dalla strada e li solleva nel volo./ Le cose che ora chiami vere/ avranno la misura di un giocattolo”.