15 Novembre 2019

“La Resistenza fu anche urlare un profondo bisogno di libertà”: Ippolita Luzzo intervista Giacomo Verri

Finalista al Premio Calvino 2012, Giacomo Verri ha pubblicato per Nutrimenti il libro Partigiano Inverno ed ora ritorna sul tema della Resistenza e sue implicazioni con Un altro candore, edito sempre per Nutrimenti. Vive e insegna a Borgosesia ed eccolo qui sul treno per chiacchierare con noi. Sul treno per dove? E poi ci dirai come mai il tuo interesse verso i temi della Resistenza

Giacomo Verri: In questo momento sono su un treno che mi sta portando a Parma per un incontro organizzato dall’istituto storico, e in particolare da Marco Minardi, proprio intorno al tema della narrazione resistenziale oggi. La Resistenza è un argomento che mi ha sempre affascinato, fin dagli anni della scuola: alle elementari ho avuto come maestra Nadia Moscatelli, figlia del celebre comandante partigiano della Valsesia Cino Moscatelli. Insomma le storie di Resistenza hanno spesso fatto parte del mio orizzonte culturale. Non solo, credo che la Resistenza rappresenti ancora oggi il più grande serbatoio di temi narrativi del nostro Novecento.

Ippolita Luzzo: Caro Giacomo, tutto mi parla della Resistenza in questo periodo. Franco Piol, scrittore, regista e sceneggiatore di Roma, mi ha da poco mandato il suo libro sulla Resistenza Le macchie nere e anche nel suo libro ci sono i temi di un continuo domandarsi individuale sulla base del periodo storico.

Giacomo Verri: È così. Ma questa volta con Un altro candore ho voluto indagare le libertà potenziali che la Resistenza aveva prospettato e che non sempre gli anni postbellici hanno saputo realizzare. Intendo dire che in questo nuovo romanzo non tratto tanto delle libertà politiche e sociali per le quali i combattenti avevano lottato, ma mi soffermo piuttosto su quelle libertà individuali che non erano il primo obiettivo della Resistenza. Ecco allora che uno dei temi fondamentali è l’omosessualità tra partigiani. Si trattava di una libertà che era nata spontaneamente e che certo non ha poi avuto un seguito negli anni dell’immediato dopoguerra, e neppure nei decenni successivi. Ho voluto strutturare il romanzo in due tempi che non rappresentano una suggestione cinematografica quanto un’indicazione del fatto che in ogni esistenza sussistono dei momenti differenti, dei tempi appunto, che scandiscono in maniera anche diametralmente opposta le nostre vite. Così nel romanzo abbiamo un primo tempo, quello degli anni Quaranta e della Resistenza, vista come luogo in cui stavano nascendo una serie di libertà spontanee, e un secondo tempo, quello degli anni Settanta, che è un po’ la naturale prosecuzione di quel primo tempo. In sostanza la Resistenza è vista come il momento aurorale di quella voglia di libertà individuali che sarebbe scoppiata trent’anni dopo, dal Sessantotto in avanti. Eric Obsbawm stesso, nel suo Secolo breve, aveva parlato degli slogan del ’68 come di pubbliche proclamazioni di desideri e di sogni privati.

Ippolita Luzzo: Sì, per questo ho sentito vicino il libro di Piol. Vorrei ricordare che Mainardi è dal 2007 Direttore dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma. Ora mi è più chiara la genesi del romanzo e sembra un lavoro utile proprio perché ora vengono sconfessati tutti quegli aneliti di libertà individuale. Nel tuo libro i personaggi sembrano spinti da circostanze esterne ad agire, vedi l’incidente alla moglie di Claudio e poi lei che insiste a far chiamare da Claudio quel suo amico della Resistenza. Su queste esistenze tu a chi vorresti dare ora una chance in più?

Giacomo Verri: Hai ragione nel dire che i personaggi del mio romanzo sembrano spinti a fare quel che fanno – soprattutto Claudio e Donata – perché incentivati da eventi esterni. È però anche vero che, dopo l’incidente che apre il romanzo, Donata diventa regista della vita affettiva che la lega a suo marito Claudio. È lei che dopo quarant’anni di matrimonio lo invita a rispolverare quell’antico amore omosessuale. E lo fa come estremo gesto di affetto, lei in quel momento si sta prendendo cura ancora una volta del marito. Quindi sicuramente il personaggio che subito mi viene in mente e al quale vorrei dare una chance in più è proprio Claudio, indissolubilmente legato – e ciò sembra paradossale – a sua moglie Donata, la donna che anni prima aveva sposato come ripiego e che nella sua vita di ultrasettantenne è ormai una presenza fondamentale).

Ippolita Luzzo: Il romanzo racconta episodi degli anni Quaranta, Settanta, e Novanta, e ad un certo punto tu fai pronunciare a un personaggio queste parole: “Dico che come uomini liberi abbiamo perso quel legame che ci univa alla montagna. Là eravamo obbligati a stare gli uni accanto agli altri, per proteggerci”. A causa di questo vivere di oggi senza rapporti, non ci proteggiamo più, è vero? Possiamo chiamare questo un manifesto di felicità?

Giacomo Verri: Sicuramente in montagna si erano scritti numerosi manifesti di felicità con inchiostro invisibile. In ogni caso non voglio sostenere che oggi non ci proteggiamo più, ma dire semplicemente che forse, allora, si era vissuta una forma di protezione più naturale, più spontanea, più ampia, aperta com’era anche a chi non faceva parte del nostro stretto cerchio di parenti o di amici. Là in montagna si era imparata una forma di solidarietà che poi si è andata seccando, o semplicemente si è rintanata in anfratti sempre più angusti. Tuttavia il secondo tempo delle esistenze dei personaggi non è per forza un secondo tempo negativo: se gli anni partigiani furono l’occasione per urlare forte il bisogno di alcune libertà anche personali, se era stato il momento di imporle al di là delle regole sociali-feticcio che il benpensare poteva indicare, è anche vero che il secondo tempo, quello degli anni Settanta e soprattutto quello degli anni Novanta, è un tempo più intimo e più meditativo, un luogo dello spirito in cui approfondire, nelle coscienze dei singoli, ciò che aveva rappresentato quell’esplosione di possibilità che fu la Resistenza. Anche laddove quelle possibilità non si erano immediatamente realizzate.

Ippolita Luzzo: Lasciamo ai lettori il piacere di leggere e conoscere i personaggi di Un altro candore. Io voglio ricordare che curi un blog (giacomoverri.wordpress.com) e in questo blog vi è una sezione dedicata ai libri tanto amati. Chi metteresti, fra i libri su questa tematica?

Giacomo Verri: La mente corre subito a Una questione privata di Fenoglio, ovviamente. E poi a tanti spunti che si trovano in autori classici o recenti, da Calvino a Meneghello, dalla Baldelli a Aldo Simeone. Tuttavia, in particolare, sulla tematica dell’amore tra uomini (o tra donne) durante la Resistenza, beh, sono un po’ in difficoltà a trovare altri titoli. Ma l’amico Stefano Trucco mi ha detto di andare a cercare qualcosa tra le pagine di Curzio Malaparte.

Ippolita Luzzo

*In copertina: Giacomo Verri nel ritratto fotografico di Luisa Morniroli

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