Il feticcio è costato 210mila e 600 euro, l’ha comprato il Van Gogh Museum di Amsterdam: potrete ammirarlo, a una cifra meno considerevole, dal prossimo ottobre. Il prestigioso museo, infatti, ha intenzione di aprire una mostra dal titolo empatico – ed enfatico – Your Loving Vincent: Van Gogh’s Greatest Letters. Nonostante l’aggettivo con cui è stato classificato il costoso feticcio – “eccezionale” – il contenuto del medesimo è noto ed è – soprattutto – gratis. Andate in Biblioteca – pardon, aprono le discoteche, le spiagge rigurgitano di corpi, ma le biblioteche sono inaccessibili: dovete prenotare, attendere, prelevare. Insomma, chiedete alla Biblioteca di tenervi da parte il libro Scrivere la vita, stampa Donzelli, che raccoglie 265 lettere di Van Gogh, fotocopiate le pagine 845-846. Il feticcio venduto a caro prezzo è quello.
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Più che il contenuto, conta la leggenda. Il feticcio è una lettera inviata a Émile Bernard da Arles il primo o il 2 novembre del 1888, da Van Gogh e Paul Gauguin. La firmano entrambi. Van Gogh è entusiasta – “credo senz’altro nella possibilità di una grandiosa rinascita dell’arte” –, Gauguin un po’ meno – “Non dia retta a Vincent, come lei sa ha l’ammirazione facile e idem l’indulgenza”. Entrambi però convergono “che questa nuova arte avrà come patria i tropici” (Van Gogh), come se il disorientamento oceanico fosse un nuovo Eden. Conosciamo l’esito: Gauguin, tornato in Francia dopo il viaggio in Martinica – travolto dalla malaria – prova a vivere con Van Gogh. La convivenza non funziona, i due litigano, nel dicembre del 1888 Van Gogh si mozza l’orecchio, Gauguin torna, terrorizzato, a Parigi. Vincent muore nell’estate del 1890; qualche mese dopo Gauguin trova la propria nuova vita a Tahiti.
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La lettera, giunta da collezione privata, ha nitore di reliquia: testimonia la relazione pericolosa tra i due più importanti pittori della modernità; qualcosa come il ritrovamento di una epistola di San Paolo a San Pietro. Eppure, valutando la calligrafia di Vincent o penetrando gli sgorbi di Paul non ne assorbiamo il genio. Quella grafia, piuttosto, ci rimanda a un quadro, a un istante, al coraggio che ci vuole – e che manca – nel rischiare il pane e il fiato per darsi all’arte, a darsi anima e soprattutto corpo alla creazione.
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La stampa ha estrapolato questa frase dalla lettera, per insaporire la notizia: “Abbiamo fatto qualche puntatina ai bordelli e probabilmente finiremo per andare spesso a lavorarci”. La parte più interessante, però, è quella in cui Van Gogh parla di Gauguin. “Gauguin mi interessa parecchio come uomo – parecchio. Per molto tempo mi è sembrato che in questo nostro sporco mestiere di pittori abbiamo un grande bisogno di persone che abbiano mani e stomaco da operai. Gusti più naturali – temperamenti più amorosi e caritatevoli – di quelli dei boulevardiers parigini, decadenti e smidollati. Ora in questo caso senz’alcun dubbio ci troviamo di fronte a una creatura vergine dagli istinti ferini. In Gauguin il sangue e il sesso prevalgono sull’ambizione”. L’idea, appunto, non è quella di fare della propria vita un’opera d’arte, ma di calare l’arte nel gorgo della vita; ancora di più, l’arte sancisce il valore di un uomo, è l’esito della sua barbarica dedizione, del suo morso; l’arte si fa con il sangue, con lo sperma, perché l’artista dà la vita, la propria, e crea l’altra.
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Ecco il senso del feticcio, allora. Quella lettera è sangue, di cui si nutrono gli spettatori-vampiri delle spettacolari mostre d’arte; è vita per gli esangui spettatori della vita, spettrali.
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In un meraviglioso libro di Oto Bihalji-Merin, Primitivi contemporanei (allora il Saggiatore, ora lo trovate nel mercato usato): “Paul Gauguin aveva considerato una prigione della natura umana l’edificio del pensiero razionalistico della società. La nostalgia per il primordiale, il barbarico, il primitivo lo costrinse ad abbandonare l’Europa e a cercare rapporti mitici e un’unione con le divinità e la natura nelle remote isole dei Mari del Sud. Al principio meccanico della civiltà contrappose lo spirito della natura. E al posto del virtuosismo collocò la forza vitale dei primitivi”. L’arte porta all’altro mondo, al selvaggio, all’origine ricreata, al mattatoio della nostalgia. Quella lettera, quindi, è una zattera, è un monito. (d.b.)
*In copertina: Willem Dafoe è Van Gogh con l’orecchio mozzato in “Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità” (2018)