Non si può immaginare frutto migliore della banana, già di per sé simpatica e goliardica, per un’opera d’arte che punta sulla provocazione. Così se Maurizio Cattelan ne attacca una al muro con un pezzo di nastro adesivo da imballaggio, come ha fatto all’Art Basel di Miami, e la vende per addirittura 120.000 dollari, l’attenzione è assicurata. Il titolo, Comedian, pare faccia riferimento alla battuta di un personaggio della serie tv Arrested Development, sui ricchi che non sanno quanto costa una banana.
I significati profondi quindi, a cercarli, ci sono: le differenze di classe, la precarietà e la marcescenza della società contemporanea, il declino dell’Occidente e altre varie amenità, invero un po’ già sentite ma non importa, ogni opera è storia a sé. Questa volta, però, accade altro: David Datuna, newyorkese originario dell’Est Europa, anche lui artista quotato, signore robusto dalla faccia simpatica, passa di lì come per caso e se la mangia. Si lascia filmare, afferma che “l’opera di Cattelan è deliziosa”, intitola il video “l’artista affamato”. È una performance. È arte a sua volta.
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I due erano d’accordo fin dall’inizio? Non lo sapremo mai, l’arte è anche mistero. Quella contemporanea poi ha una sua componente di astuzia e una, forse ancor più forte, di umorismo. Sì, perché non è vero che se tutto questo ti fa ridere, se ti torna in mente il film di Sordi sulle vacanze intelligenti o la fantozziana “cagata pazzesca” – che trova illustre precedente artistico nientemeno che nella Merda d’artista di Manzoni – allora non capisci niente di arte. Anzi, forse stai proprio capendo tutto. Forse ti sei reso conto di trovarti dentro a una vera e propria commedia dell’arte, e il titolo stesso di quest’opera di Cattelan ce lo rammenta. E nemmeno vale la pena indignarsi, gridare allo scandalo o sentirsi presi in giro, poiché l’arte contemporanea è una delle poche cose, forse l’unica, che si può al tempo stesso apprezzare e deridere.
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“Lo potevo fare anch’io”, è la frase che sempre in questi casi sorge spontanea, oltre ad essere il titolo dell’ottimo manuale d’arte contemporanea di Francesco Bonami. Fare che cosa? Attaccare una banana al muro. Sì, e pure mangiarla. Potevi, ma non ci hai pensato, è la classica risposta. Come non hai pensato ai tagli di Fontana, all’urinatoio di Duchamp, alla Mozzarella in carrozza di De Dominicis, alle tele bianche di Ryman, alle sgocciolature di Pollock, a tutte le stramberie di Warhol. E se esclamerai “ah, che tempi quando c’erano Michelangelo e Leonardo!”, ne sarà ulteriore conferma, perché l’arte contemporanea vuole proprio questo: metterci davanti a uno specchio, alla realtà del presente, spesso alla crisi e al vuoto.
Ora però la banana è stata mangiata, l’opera d’arte non c’è più. Quale miglior rappresentazione del nulla? Eppure l’acquirente, quello che ha sborsato 120.000 dollari, non rimarrà insoddisfatto: già Walter Benjamin nel suo saggio del 1936 L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, teorizzava la fine dell’opera artistica come evento unico e irripetibile. E se oltre che riproducibile fosse anche commestibile? Ecco infatti già pronta un’altra banana – potenzialmente infinite banane – tutte firmate Cattelan. L’idea ha il primato sulla tecnica, questo è un principio cardine dell’arte contemporanea, e il contratto di vendita già prevedeva che sia la banana che lo scotch, entrambi soggetti a deterioramento, sarebbero stati sostituiti nel tempo.
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Questa volta però, a mio parere, qualcosa stride. Previsto o no che fosse, l’intervento di Datuna ha modificato l’opera, che non è più, ora, quel che era prima, cioè una banana attaccata al muro. Sarebbe piuttosto un nastro adesivo strappato e una buccia vuota e, se volessimo proprio essere artisti fino all’estremo, una scatoletta con l’indicazione “merda d’artista dopo aver mangiato la banana di Cattelan”. Se l’arte concettuale è il prevalere dell’idea, gli artisti in gioco ora sono due e sono imprescindibili uno dall’altro. L’idea di Cattelan è stata letteralmente fagocitata da quella di Datuna.
È lui ora l’artista, quello folle e irriverente, affamato di fame e di fama, che osa l’inosabile. L’imperdonabile che mangia il frutto proibito. Anche perché, riconosciamolo, questa volta l’idea di Cattelan era di per sé fragile. Dopo che hai impiccato bambini agli alberi, ucciso Wojtyła colpendolo con un meteorite, messo Hitler in ginocchio a pregare, infilato Kennedy in una bara a piedi nudi, inchiodato un ragazzino al banco di scuola, tutte opere di indiscutibile inventiva, attaccare al muro una banana è, onestamente, parva cosa. Ed è proprio questo il problema dell’arte basata sull’idea: che le idee a un certo punto finiscono. Che lo spettatore si abitua e non si stupisce più. Che la provocazione non può crescere all’infinito.
Un atto di onestà e di purezza sarebbe ora, da parte di Cattelan, dividere quei 120.000 dollari con Datuna, almeno in parti uguali, oppure metterli a buon frutto, e mai termine fu più appropriato. Ma esiste anche un’altra ipotesi: che stia per annunciare il suo ritiro e che questa sia la sua ultima opera. Il simbolico passaggio di testimone ad un altro artista, che divorandolo lo supera e lo ingloba. L’espressione del momento più commovente e tragico nella vita di ogni grande artista: la fine dell’ispirazione. In tal caso, questa diventerebbe la sua opera migliore, la più crudele, quella irripetibile e definitiva.
Viviana Viviani
Editing di Luisa Baron