Purché l’arte ritorni feroce, ovvero: contro le facili mode odierne. “Heimat”
Arte
Jonathan Salina
Vorrei ripercorrere alcuni passaggi tratti da Il salvacondotto di Boris Pasternak. Si tratta di un’autobiografia, colma di immagini, di riflessioni personali e scientifiche, di descrizioni astratte e non… il diario di un poeta, insomma. È un libricino un tantino complesso per chi snobba i ragionamenti astratti… o più semplicemente per chi non è abituato a leggere la realtà tra le righe. Oggigiorno, quella di non leggere la realtà tra le righe, è una grave piaga.
I passaggi che seguono parlano dell’incontro di Boris Pasternak con la poesia.
“Indicata a grandi tratti, come in un abbozzo, la mia realtà di quel tempo, mi domando, dove e in forza di che sia scaturita la poesia. Non devo meditare a lungo sulla risposta. È il solo sentimento che la memoria mi abbia serbato in tutta la sua freschezza”.
Fermiamoci a pensare a quando si era bambini: il ricordo di un profumo, di un gesto, di una scena, di un gioco, di un volto, di un pensiero, o di una sensazione inspiegabilmente conservata fino al momento presente. Essa ci colpisce appunto per la sua freschezza, per la sua dolcezza. Cosa ci ha permette di conservare questo tipo di ricordo? La memoria. Che tipo di memoria? Inconscia? Se Pasternak parla della poesia associandola ad un ricordo di questo tipo, la poesia ha la stessa forza della memoria, una forza non spiegata, silente e viva.
“Nasceva la poesia negli intervalli delle esperienze, dalla varietà del loro moto, dal ristagno delle più inerti e dal loro accatastarsi sul remoto orizzonte della memoria. Il più impetuoso era l’amore, a volte sorpassando la natura, precedeva il sole”.
Tutti i pensieri e le sensazioni che non vengono espresse verbalmente, tutti i giudizi di fronte a questo o quel fatto, gli impeti di tenerezza che sopraggiungono a volte ripensando a qualcuno o a qualcosa, il lento procedere degli sguardi che si appoggiano su delle foglie che si muovono al vento, sulla ragazza seduta sull’autobus, il dolce susseguirsi dei suoni che riecheggiano ora il silenzio, ora una canzone… tutto questo e molto altro è ciò che si inserisce negli intervalli delle esperienze, ciò che si deposita negli interstizi della nostra pelle. E, povera poesia, tutto ciò che si posa tra gli interstizi, sia delle mattonelle, che di noi stessi, viene quasi sempre evitato.
“In coda, su piani diversi, arrancavano le altre esperienze. Udivo spesso il sibilo di una tristezza, che non era nata con me. Aggredendomi alle spalle, quel sibilo mi atterriva e mi colmava di pietà. Veniva dalle cose quotidiane e ora minacciava d’intralciare la realtà, ora scongiurava d’essere associato all’aria viva”.
Vi siete mai chiesti da dove nasca la tristezza, quella che non ha nemmeno spiegazione, quella non dettata banalmente da un fatto spiacevole, ma la tristezza che si prova a tratti anche cucinando un piatto di pasta? È lei, una creatura fragile e a volte fastidiosa, come una vecchietta o un adolescente, che minaccia di intralciare la nostra realtà. E vuole essere associata all’aria viva, capite? Pasternak tratta le sensazioni come fossero esseri umani in carne ed ossa. Egli ama tutta la realtà, non solo quella apparente.
“Ancor più intensa era l’azione delle cose inanimate. Modelli per le nature morte predilette dai pittori. Accatastandosi nella zona più remota dell’universo estetico e giacendo in stato di immobilità, davano l’idea più completa dell’insieme dinamico di quell’universo, come ogni limite che ci sembri in contrasto. La loro disposizione designava il confine oltre il quale non ha più senso lo stupore o la compassione”.
Pasternak con “cose inanimate” definisce qualsiasi cosa che si può frammettere tra noi e il nostro orizzonte. Può essere anche una catasta di coperte sopra un letto sfatto o un cestino di frutta sul tavolo in un momento in cui tutto ci sta sul cazzo. Quell’oggetto è lì e chiede di essere amato.
“Questa figurazione mi sembrava sempre solo un mezzo per uscire dalle difficoltà, non un fine. Il fine continuavo a vederlo nel trasporre la cosa raffigurata dall’asse freddo a quello caldo, nel proiettare le cose vissute all’inseguimento della vita”.
Proiettare le cose vissute all’inseguimento della vita è il risultato di una proporzione: una cosa vissuta sta all’emozione provata come “x” sta all’inseguimento della vita. In quella “x” un poeta cerca di proiettare l’impeto, il sogno, l’emozione che si dispiega o che si immagina, la dose di rischio, di paura, di tristezza, di gioia e di mistero che si cala in qualsiasi esperienza che ti porta a rincorrere, a bramare la vita, a piangere per essa.
“Noi raffiguriamo gli uomini per esporli all’atmosfera. All’atmosfera o, che è lo stesso, alla natura. Per trasfondere in lei la nostra passione. Noi incontriamo a viva forza la quotidianità nella prosa per amore della poesia. Immettiamo la prosa nella poesia per amore della musica”.
Ricordiamoci che Pasternak prima di esprimere se stesso con la poesia, era un musicista. Fin da bambino sognava di diventare pianista e compositore e si dedicò per tanto tempo al piano, alla teoria della musica e alla composizione. Inizialmente, quindi, il suo primo approccio con la poesia è avvenuto attraverso la musica. La musica a mio avviso è lo scheletro della poesia. Non tanto per ciò che concerne ritmo o armonia (anche questo), ma proprio per la similitudine che intercorre tra l’essenza del suono e ciò che traspare attraverso la parola e il verso. Immaginiamoci un paesaggio amato, una collina nota, un litorale al tramonto o qualsiasi altra cosa che ci colpisce. Cosa ci sorprende? Il fatto che vediamo le cose rappresentate come oggettivamente belle (mare, prato, alberi, visi) o perché ci provocano qualcosa? In quel qualcosa si inserisce la poesia. Lo stesso vale per una sinfonia amata, il susseguirsi delle note secondo un ordine datole dal musicista provoca in noi qualcosa, un’emozione. Primo step: la prosa vive per amore della poesia, per il desiderio di esprimere quel qualcosa, e la poesia, secondo step, vive per amore della musica, per l’inesprimibile espresso con dei versi e in prima istanza incontrabile attraverso la musica.
“A tratti l’amore sopravanza il sole. Mi riferivo a quella evidenza del sentimento che primeggiava ogni mattina su tutto con l’autenticità della sua novella, confermata per la centesima volta. Pensavo insomma all’evidenza della forza che oltrepassa l’evidenza della luce. […]. Quando concepiamo Tristano, Romeo, Giulietta e altri come la rappresentazione di una passione forte, sottovalutiamo il contenuto. Il loro tema è più ampio di questo tema forte. È il tema stesso della forza. Da questo tema nasce l’arte”.
Cosa intende Pasternak per forza? È indubbiamente un sentimento che oltrepassa appunto l’oggettività della luce, delle cose percepibili con la vista. Si potrebbe chiamare forza, l’amore? Io credo ch’egli per forza intenda l’immaginazione, il secondo mondo esistente oltre a quello percepibile. L’immaginazione che sovverte, distrugge e ricostruisce mondi, l’immaginazione che ci fa sentire più vivi che mai. È un sapere, dice Pasternak, non un’evasione dalla realtà:
“In quanto uomo io sono totalmente soggetto alla mia immaginazione. In che cosa consiste? Si tratta del sapere privo della vicinanza chiara, sonora, elettrizzante del gesto, dell’azione, del movimento. È esso stesso pieno di elettricità. È il sapere impregnato di elettricità, di pericolo, di sentimento, di auto sacrificio, di movimento. […] Se ci si abbandona fiduciosi, esso sviluppa delle forze magnetiche in movimento. Sei in grado di guardare in avanti, di intuire, e l’ispirazione ti ha permeato fino al punto che puoi addirittura intraprendere qualcosa, muovere le braccia e le gambe, agire…[…]”.
Le parole non servono per farci sperimentare qualcosa di così profondo e importante. Chiedo pertanto scusa in anticipo per la mia presunzione nel voler dispiegare – qualcuno dirà – considerazioni puramente soggettive. Prendetela come una testimonianza. In primis quella di Pasternak. Tutti sappiamo quanto una testimonianza sia importante. Una testimonianza forte e positiva: la testimonianza di chi ha sperimentato la gioia di tuffarsi nel grande mare della vita assaporandone la forza.
Isabella Serra
*Il salvacondotto di Boris Pasternak si può leggere nel ‘Meridiano’ Mondadori curato da Vittorio Strada, che raccoglie le Opere narrative (1994) del poeta russo oppure, in volume singolo, nell’edizione Passigli (1998).