
“Il sangue versato, la freschezza della luna”. Georg Trakl, poeta del crepuscolo
Poesia
Giulio Solzi Gaboardi
Proprio ieri, rileggendo Kellomäki, quei versi leggeri e bronzei (“È esistito davvero tutto questo? E se sì, c’è bisogno/ di perturbare la quiete di quelle cose antiche,/ di tormentarsi coi dettagli, vagliando mica e mica,/ imitando – sovente con successo – quel mondo in sogno?/ Risorge solo chi crede: negi angeli, nelle radici”), mi dico: Iosif Brodskij è l’emblema dell’aristocrazia lirica. Legato alla tradizione russa, recide i rapporti con il regime dei Soviet, vive da espatriato, nella nostalgia. Trapianta in Occidente – vedendo in Venezia un frammento di Est, cresciuto leggendo la Achmatova, adorando Mandel’stam, esegeta di Montale – una sapienza formale assoluta, edifica labirinti di cristallo. C’è quell’incontro, inoltre, che sorprende. Brodskij che beve caffè con Mikhail Baryšnikov, più giovane di lui di otto anni, il geniale ballerino, compagno di Rudolf Nureyev, icona dell’American Ballet Theatre e del New York City Ballet. Quest’anno Mikhail ha compiuto 70 anni, Brodskij ci manca dal 1996 (ma per fortuna possiamo leggerlo per bene): l’anno scorso il ballerino ha creato uno spettacolo, Brodsky/Baryshnikov, passato recentemente in Italia, in cui rievoca l’amicizia ventennale. Qualche ora prima di morire, Brodskij riuscì a fare gli auguri di compleanno all’amico che come lui, lasciando la Russia, aveva abbandonato “così tanta bellezza”. Di questa memoria di Baryšnikov – pubblicata l’anno scorso in UK – è alto il concetto finale: la capacità del poeta, con un balenio di occhi, di scavare l’interlocutore, di vincerne i rottami psichici, le piccole censure, l’iceberg delle malizie, ed estrarre il vero; ma soprattutto, il fatto che frequentare un grande poeta significhi crescere in fierezza morale. L’arte non è virtuosa – ma dona una specie di virile moralità, un dettame etico, severo, fulgido.
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Ho incontrato per la prima volta Iosif Brodskij a cena, a New York, era l’inizio d’autunno del 1974. Ero appena scappato dall’Unione Sovietica, da cui lui si era allontanato due anni prima. Dopo cena siamo andati in un caffè al Greenwich Village. Ricordo di aver bevuto così tanto caffè ‘espresso’ – non ne ero certo abituato – che non riuscii ad addormentarmi, a causa delle palpitazioni cardiache.
Le palpitazioni, però, non erano dovute soltanto al caffè. “Abbiamo molto di cui parlare”, mi disse Iosif. Lo facemmo. Venivamo entrambi da Leningrado e avevamo molti amici, conoscenti, esperienze in comune. Abbiamo parlato di dove avevo vissuto per dieci anni a Leningrado, Iosif conosceva ogni luogo. Era affascinato dall’architettura – i canali, gli archi, i ponti e i palazzi italiani di Leningrado che si rifrangono come astrazioni lungo le increspature della Neva. Quando gli dissi che il mio ultimo appartamento era vicino all’Ermitage, di fronte al fiume Moika, vicino alla casa dove Puskin ha vissuto ed è morto, inarcò gli occhi. Mi disse, con un sorriso ironico: “E abbiamo lasciato tutta quella bellezza…”.
Mi ascoltò attentamente. Iosif ti guardava direttamente negli occhi, come se potesse strappare la verità dal suo interlocutore. Penso che sia davvero così. Iosif era così. Sapeva osservare le persone, setacciarle con il suo intelletto, trasformando le sue osservazioni in versi. Quella notte ha avuto del buon materiale perché mi ha sfidato a parlare nel mio atroce inglese con il cameriere greco, egualmente in difficoltà – una specie di linguaggio così come viene che Iosif pareva assaporare.
Non abbiamo mai smesso di parlare. Per i successivi vent’anni abbiamo parlato ogni settimana – l’ultima volta, mi ha fatto gli auguri di compleanno, era il 27 gennaio del 1996, sarebbe morto poche ore dopo.
L’incontro con Iosif ha avuto un influsso epocale su di me. Conoscevo la sua poesia, lo ammiravo, benché le sue poesie non fossero pubblicate in Unione Sovietica e si diffondessero clandestinamente. Iosif è uno dei pochi poeti – l’unico, forse – della generazione sovietica al pari dei ‘magnifici quattro’: Osip Mandel’stam, Anna Achmatova, Boris Pasternak, Marina Cvetaeva.
Iosif ha avuto una grande influenza sul mio modo di guardare la vita. In un certo senso, è stato la mia bussola morale. Siamo stati diversi in molte cose – Iosif era un conservatore sia nelle questioni etiche, politiche che in quelle estetiche, io sono un liberale. Tuttavia, anche se questo può suonare pretenzioso, se possiedo una certa fermezza morale è grazie a lui.
Mikhail Baryšnikov