07 Maggio 2020

“Nessun uomo è un’isola, ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto”. John Donne: un antidoto al tempo della peste (ma la Campo piglia nuvole per pietre…)

Un interessante trafiletto della sezione Church sul Times parla di poesia ora che il Regno Unito piange più vittime dell’Italia: in questa classifica dei dolori, è surreale vedere un popolo che viene istruito per rileggersi il suo John Donne. In effetti, quando gli inglesi hanno bisogno di rincuorare in tempi spaventosi, di morte su vasta scala, affondano mano nel forziere senza fondo della tradizione letteraria. Da noi, al massimo, una rifrittura della peste secondo don Manzoni.

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Ma insomma. Che ha fatto John Donne di così importante per consolare in tempo di pandemia? Ha sofferto, stava per morire intorno al 1623, a meno di 42 anni. Compose le Devozioni. Dalle Devozioni pescò saggiamente anche la Campo.

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Il suo Donne personale nella ‘bianca’ Einaudi è ripartito in modo incongruo tra poesie amorose e teologiche: quelle liete sono poche, pochissime. Le poesie d’amore, schiacciate e filtrate dai nuovi mondi che annichiliscono l’uomo e le sue passioncelle, sono esigue rispetto a quelle teologiche selezionate dalla Campo.

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Donne è frustrato dal suo Dio più di Giobbe e Agostino, perché viene dopo questi giganti. La Campo da par suo fa di tutto per nascondersi, stendere una mano di bianco su un’altra di bianco. La si capisce un po’ per volta, col passare del tempo e si nota anche come abbia levigato la lingua di Donne che invece è poeta duro, materico.

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Quanto alla lingua. Là dove in Alchimia d’amore Donne scrive un finale infausto, che il corpo della donna è mummy, una mummia, la nostra geniale Cristina risolve filosoficamente scrivendo che il corpo di donna è vuota forma. Questo non per dire che Donne fosse misogino: ma era di un’epoca crudele, è diverso. Quindi anche in poesia ricorre a termini precisi. Guardate ad esempio nella meditazione alla Devozione 18: “L’uomo prima di avere un’anima immortale ha un’anima nei sensi e ancor prima nel suo essere vegetativo”. Fin qui, nota aristotelica. Poi l’impennata: “la sua parte immortale non riesce a cancellare le altre anime che vengono prima di lei e quando lei muore si porta con sé tutte le altre: l’uomo non vegeta più, non sente più. Questa è la madre a cui siamo affidati affinché rispettiamo la nostra madre naturale: cresciamo nel suo grembo e quando lei ci consegna al mondo siamo trapiantati al di fuori di lei, siamo chiamati ad entrare nel mondo. Una volta che siamo usciti dalla madre e apparteniamo al ventre della terra, iniziamo a diminuire. Quando la terra passa la nostra consegna, la nostra tomba si apre per far entrare altri. Non siamo mai trapiantati, ma trasportati, la nostra polvere soffiata via insieme alla polvere profana, con tutti i venti”.

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Donne chiude il cerchio come aveva promesso. L’ultimo discorso che abbiamo di lui, nel 1630 (qui in inglese la traduzione italiana qui) dice lo stesso citando Isaia e in filigrana  Ezechiele: “Questo ventre che dovrebbe essere la casa della vita diviene morte nel momento stesso che Dio vi ci installa. Quel che Dio spesso minaccia, quella chiusura del ventre, non è poi una maledizione così pesante o disagevole come quel giorno di angoscia, di castigo e di vergogna, quando i figli sono arrivati fino al punto di nascere, ma manca la forza per partorire”. Donne è amletico: peggio scontare la vita o non nascere proprio? Che brivido. Chiudere l’ultimo discorso con una citazione di una citazione. Come a non concludere, ad annullarsi. Quindi, se sofferenza deve essere, meglio che il figlio della donna venga alla luce, evitandole di soffrire il parto di un figlio morto.

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A chi sembrasse quindi di aver a che fare con un poeta dalla scrittura eterea non resta che leggere le Devozioni dove Donne racconta come se ne stava per andare al creatore, nel 1623. Stavano anche per applicargli dei piccioni in testa, in un disperato tentativo di sottrargli vapore…

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Le Devozioni comunque si compongono di meno di venti capitoli ognuno dei quali ha una meditazione, una rimostranza e una preghiera. Un’organizzazione serrata, una prosa che gli studiosi non sanno se andasse originariamente sciolta in prosa o lasciata in versi. La Campo da par suo diede una versione dall’andamento tenue: ecco la numero 17.

Nessun uomo è un’isola
completo in se stesso;
ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto.
Se anche solo una nuvola
venisse lavata via dal mare,
l’Europa ne sarebbe diminuita,
come se le mancasse un promontorio,
come se venisse a mancare
una dimora di amici tuoi,
o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce,
perché io sono parte dell’umanità.
E dunque non chiedere mai
per chi suona la campana:
essa suona per te.

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Anche qui, l’originale era un goccio diverso. Intanto, Campo prende un granchio. Prende clod per cloud; lei pensa alle nuvole, Donne parla di rocce del mare. Donne dice poi secchissimo: non mandare qualcuno a chiedere per chi suona la campana. Non vagamente non chiedere mai… Più prosaico.  Come la poesia di Shakespeare che nasce dal sangue, per una platea di marinai a riposo e di infaticabili Maddalene.
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Ancora due parole sulla Campo. Nella sua introduzione ad alto tasso religioso aveva parole alate, quando dice di Donne che entrava a Corte nel 1597, a 25 anni: “il suo cattolicesimo, se non formalmente ripudiato, è già sepolto nel silenzio, come quello di William Byrd, musico di Corte, o del grande John Bull, o di Shakespeare: l’immenso taciturno che non proferì mai verbo di fede se non celato dietro una maschera, una persona”. Che azzardo, togliere Shakespeare al sancta sanctorum dei puritani e infilarlo tra i cattolici… La delizia della Campo è tutta qui, nel suggerire in punta di piedi che avrebbe molte cose da dire, e invece si limita  a scostare una sottile parete, la fusuma delle case giapponesi, facendoti perdere nella tua curiosità… Cosa pensava Donne di Shakespeare?
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Allusioni della Campo, curiosità che innesca la silenziosa tigre assente: quando addita un parallelo tra la fede segreta di Donne e il “mistico in panni frivoli, il Conte di Arundel”. Solo che di lui non restano scritti. Solo il suo dolore, una morte in carcere perché cattolico, la sua campana che suonava anche per il poeta.

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Un turbine. Donne è così. Arriva in alto perché conosce tutti i vermi: è lui l’autore della Devozione che diede un titolo a Hemingway (e pure il motto a un supermercato): “Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso; ognuno è parte del continente, parte dell’intero. Se anche uno sciocco lembo di terra fosse ricoperto dal mare, sarebbe un danno come se fosse l’Europa tutta, non c’è differenza fra dove vivi tu o il tuo amico: la morte di ciascuno mi diminuisce e quindi non mandar mai a chiedere in giro per chi suona la campana; suona per te. Non dico questo per cercare compassione né per offrirla, come se non fossimo già miserevoli tutti quanti, ma dobbiamo proprio andare a prendere di più dal nostro vicino, prendere la sua miseria”.

Andrea Bianchi

*In copertina: ritratto di John Donne di Isaac Oliver, 1616

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