“L’arte insegna una libertà pericolosa, antisociale”. Per Philippe Sollers
Politica culturale
Epistolari con la morte. «Per due anni gli ho scritto, tutti i giorni, mattina e sera», mi dice la mamma, Isa Perazzini. Nel 1999, su un’agenda, Marco Pesaresi scrive: «Ho incontrato una israelita sul treno verso Vladivostok. Mi ha parlato dei suoi sogni e delle sue memorie. Mi sento orgoglioso di vivere». Il reportage sulla “Transiberiana” è uno degli ultimi lavori, tra i più felici («è stupendo incontrare persone così diverse e così vicine nello stesso tempo. Questo viaggio non lo dimenticherò affatto»), firmati dal geniale fotografo. Due anni dopo, il 22 dicembre del 2001, sprofonda con la sua automobile nel porto di Rimini. Dalla macchina, insieme al corpo, hanno recuperato il portafogli in pelle marrone. Gonfio di soldi. Banconote indiane, messicane, giapponesi, statunitensi. Sembra un mappamondo. C’era anche il libro curato da Fernanda Pivano sui poeti americani della Beat Generation. Generazioni di perduti che si assecondano.
Marco Pesaresi, classe 1964, fotografo selvaggio. Quattro anni fa il suo corpo è stato smobilitato dal cimitero monumentale di Rimini, quello dove riposa anche Federico Fellini, e ridotto in cenere. «Tornerà al mare, nel suo mare», diceva la mamma. Per l’occasione, scrisse al figlio un’ultima lettera, celata nel pudore, in mare, come un amuleto, insieme a lui.
Viaggio agli inferi senza ritorno. Venticinque anni fa, «senza aspettare garanzie o commissioni dai giornali», Marco Pesaresi parte per Berlino. Comincia da lì l’ostinata catabasi nelle metropolitane più importanti del mondo: Londra, New York, Tokyo, Calcutta, Madrid, Parigi, Mosca, Milano, Città del Messico. «Rimasi coinvolto ed eccitato all’idea di fotografare le differenze di costume e di estetica degli abitanti del mondo nelle viscere della terra», scrive lui. Come il Marlow di Joseph Conrad, Pesaresi compie un viaggio nel cuore di tenebra dell’uomo. Senza sguardi consolatori. Colmo, soltanto, di pietà e talento. Nel 1998 l’agenzia fotografica Contrasto, dopo aver venduto i fotoreportage di Pesaresi alle testate di mezzo mondo (da “El Paìs” al “The Independent” passando per “Panorama” e per “Sette”, l’inserto del “Corriere della Sera”), pubblica “Underground. Un viaggio metropolitano”. Il libro diventa immediatamente di culto. E quasi subito introvabile.
Contrasto pensa in grande: l’introduzione del libro la firma Francis Ford Coppola (che parla del «film duro e terrificante» “L’incidente”, di Joseph Losey, premio speciale della giuria a Cannes, nel 1967, «che si svolge quasi per intero in una carrozza della metropolitana di New York», in cui «ho visto Martin Sheen per la prima volta, prima di chiamarlo per “Apocalypse Now”», devastante, grandiosa anamnesi del “cuore di tenebra”).
Le singole stazioni metropolitane vengono descritte da grandi firme: Dominique La Pierre parla di Calcutta; Tiziano Terzani di Tokyo («i treni sfrecciano via, come visionarie apparizioni»); Manuel Vàzquez Montalbàn di Mosca (con incipit da romanzo: «Il regime di Stalin concepì la metropolitana di Mosca come un tempio sontuoso dove ogni giorno il proletariato poteva ricevere la conferma di quanto fosse stato fortunato ad aver fatto la rivoluzione»); Beppe Severgnini di Londra. Marco Pesaresi non fu disorientato dalla fama, dedicò «questo libro al sole», per festeggiare passò dalla Questura di Rimini. Rinnova il passaporto. Torna in Russia. Verso la «terra che dorme, la Siberia» .
Pesaresi non è un fotografo per riviste patinate, disprezza il divismo, non fotografa, per statuto morale, i vip. Cresciuto alla periferia di Rimini, tra Viserba e Torre Pedrera, ha conosciuto fin da piccolo i sobborghi dell’anima. Mamma attivissima, che gestisce un negozio di abbigliamento, due sorelle di fragorosa bellezza, Marco, parola di genitore, «è un disgraziato. Lo andavo a prendere in spiaggia, a quattordici anni, stordito dalla droga. “Senza la fotografia sarei morto da un pezzo”, me lo diceva sempre». A 26 anni Marco si trasferisce a Londra. Una manciata di anni prima, si fa accompagnare in Senegal da un “vucumprà” conosciuto sulla spiaggia di Rimini. Fotografa di notte, in un bianco e nero allucinato, riprende riti ancestrali, ignoti. L’agenzia Contrasto, affascinata dal talento del ragazzino (Marco, che amava, dopo i suoi viaggi sfiancanti, simili alle stazioni di una via crucis autoimposta, leggere le poesie del Pascoli nel giardino di fianco alla casa natale del poeta, sembra, nelle fotografie che ci restano, sempre un fanciullino, un bimbo eterno) lo assume nel suo paddock di fotografi.
La vita stupefacente. I documenti fotografici di Marco Pesaresi, custoditi interamente (si tratta di 50mila materiali disparati, tra negativi, prove, foto) nell’archivio dell’Associazione Savignano Immagini, per conto del Comune romagnolo, sono abbacinanti. L’agenzia Contrasto (www.contrasto.it) mantiene i diritti di pubblicazione su oltre 1600 scatti: al di là di “Underground”, Pesaresi è celebre per aver dissezionato il mondo notturno della Riviera Romagnola, in progetti fotografici epocali (convogliati in parte nel lavoro postumo, “Rimini”). Nel 2001 viaggia lungo il Po, recensendo la vita, cruda, la nebbia, crudele e fragile, come vetro. «Sento il dovere e la virtù di scrivere»: Pesaresi è tra i rari fotografi in grado di testimoniare la propria epopea, oltre agli occhi, ci svela il suo cuore. Il diario di bordo che racconta l’impresa metropolitana è pubblicato da Danilo Montanari Editore come “Underground Story”, la penna di Coppola è stata sostituita con quella di Marco Missiroli.
Ma ancora molto è da studiare. Nel diario russo, Pesaresi ci racconta l’avventura a Novosibirsk, Distretto Federale Siberiano, un milione e mezzo di abitanti, zero gradi di temperatura annua media. All’Hotel Sibir «ho incontrato Valery. Ho voluto provare l’ebbrezza della prostituta russa, è stato interessante. Rimarchevole. Una sensata ingordigia. Voleva 100 dollari. Glieli ho dati. E ho aggiunto 500 rubli per i massaggi. L’ho baciata tutta la notte e non ne ho abbastanza. Non andare a Vladivostok mi ha ripetuto Valery. Invece devo raggiungere questa città e fotografarla, adagiata sul Mar del Giappone». Poco prima si impone, «non voglio leggere, desidero entrare completamente nel viaggio. Devo fotografare con intelligenza. Concentrare le forze, senza disperderle». Cercava gli strati della vita che non hanno subito la bonifica del benessere, Marco. Voleva l’humus. Voleva il dolore. “Underground” è stato l’Inferno folgorante di Pesaresi; il ciclo sugli “Shopping Centre” e sui “Mall of America” (altro, ennesimo luogo artificiale, terra di mezzo, fittizia, come le metropolitane, tra crudeltà e amore) ne è il Purgatorio. Nell’agenda del 2001, Pesaresi segna gli appuntamenti, a gennaio, a marzo dell’anno seguente, il 2002. Vuole iniziare un ciclo sugli “Aeroporti del mondo”. Sarà il suo Paradiso. Ma non riesce a compierlo, non si pensa degno, al cielo preferisce il mare. E inabissarsi. (d.b.)
*In copertina: una fotografia di Marco Pesaresi dalla metropolitana di Tokyo, 1998