22 Luglio 2024

“In un luogo che precede la parola”. Omaggio a Bill Viola

«Se una cosa piace a tua madre, se per lei è comprensibile, allora è per definizione pessima» disse in un’intervista a “La Lettura”[1] Bill Viola, il videoartist italo-americano che ha reinventato l’arte del passato.

«I musei d’arte antica erano per me come ospedali tirati a lucido, fatti per conservare opere morte che interessavano solo vecchi studiosi».

Oggi la frequentazione di quei musei gli è valsa il titolo di «Rembrandt dell’era del video», come disse la critica d’arte Laura Cumming. Viola è stato l’artista che più di tutti ha saputo coniugare l’estetica del passato, in particolare quella rinascimentale, con i nuovi mezzi tecnologici, affrontando i temi eterni dell’uomo.

Bill Viola si è spento lo scorso 12 luglio nella sua casa di Long Beach in California, a causa di complicazioni dovute a un Alzheimer precoce. Nato nel 1951 nel Queens, New York, rimane affascinato dal mondo del video già ai tempi della scuola elementare, quando, a soli nove anni, nominato “Capitano della squadra TV”, gli fu assegnato il compito di spostare un televisore su un carrello da un’aula all’altra. Il bagliore blu del monitor lo affascinò e non lo ha mai più abbandonato.

Laureatosi alla Syracuse University, dove studia pittura e musica elettronica, Viola entra in contatto con i protagonisti della sperimentazione musicale dell’epoca, come Franklin E. Morris e David Tudor, ma anche con quei pionieri che intrapresero un uso artistico della videocamera: Bruce Nauman, Peter Campus, Frank Gillette e, soprattutto, Kim June Paik, di cui fu anche assistente.

Nel 1974 arriva il primo incarico importante: assistente tecnico di produzione presso art/tapes/22 di Firenze, uno dei primi studi di videoarte, della gallerista Grazia Conti Bicocchi. Il soggiorno italiano modificò radicalmente l’immaginario estetico di Viola, perché riuscì a sentire «a livello esperienziale, sulla propria pelle, la storia dell’arte»[2]. Sono anni di sperimentazione: ormai usciti dalla cultura prevalentemente figurativa degli anni Cinquanta, l’arte concettuale della seconda metà dei Sessanta aveva rivoluzionato dalle fondamenta l’operare artistico, per cui la ricerca si era spostata sulla fase creativa dell’opera e i linguaggi tradizionali risultavano insufficienti, si era alla ricerca di mezzi espressivi inediti e di tecniche nuove. Il video, strumento praticamente privo di tradizione, aveva da poco iniziato la sua storia con i vari Paik e Campus, concentrati a creare immagini astratte, o con i Nauman, interessati alla ripresa della performance, l’immagine in movimento; ma Viola compie una sintesi differente: affascinato dai maestri rinascimentali, per i quali l’umanesimo era centrale, nota che le loro opere non si trovavano nei musei, ma nella comunità

«in luoghi pubblici – cattedrali, chiese, cappelle, corti, monumenti, uffici municipali, piazze e facciate di palazzi – e, di più, molte opere erano ancora nei luoghi per i quali erano stati commissionati cinquecento anni prima. […] qui la storia era veramente parte del presente. E le idee più nuove circolavano in un insieme più grande»[3].

Ricorda che spesso la mattina vedeva una vecchietta per strada dare acqua fresca ai fiori sotto un quadro della Madonna, collocato in una piccola edicola all’angolo del suo palazzo. A Firenze Viola torna, paradossalmente, agli elementi naturali di base dell’immagine: la luce, il tempo, lo spazio, che interagiscono con l’ambiente. Il suo interesse non è il medium, la tecnologia, che risulta solo uno dei mezzi a disposizione dell’artista, come la tela o il marmo: la sua ricerca opera sulle condizioni in cui l’uomo percepisce ed esperisce un’immagine.

È del giugno 1975 la videoinstallazione Il Vapore, ispirata dalla lettura di un brano del poeta e mistico persiano Jalaluddin Rumi del XIII secolo: un monitor mostra l’artista stesso nell’atto di riempire un recipiente d’acqua con la bocca, mentre nella stanza si diffonde un suono registrato in precedenza. Il video viene mixato con le immagini dei visitatori ripresi in diretta da una videocamera, per cui il pubblico è parte attiva e coesiste, nel presente, con il passato. Il vapore che fuoriesce dal recipiente sprigiona un profumo di eucalipto, rendendo l’esperienza multisensoriale.

Il Vapore (1975). © Bill Viola Studio

Viola avverte che è tempo di nuove esperienze e compie il suo primo viaggio in Giappone. A Tokyo gli si propone un’immagine non diversa da quella a cui aveva assistito a Firenze: mentre sta visitando una galleria che ospita una serie di statue di Bodhisattva, legge la guida per ampliare la propria conoscenza della storia e della critica dell’arte, quando vede una vecchina che percorre tutta la schiera delle statue inchinandosi di fronte a esse e compiendo rituali sacri:

«Ebbi l’impressione che fino a quel momento avessi osservato le opere come se stessi fissando il monitor di un computer su un tavolo lucidato, ammirandone il design e la forma, senza mai accenderlo»[4].

Nelle sue opere successive, Viola, oltre a coniugare la cultura Occidentale con quella Orientale, si concentra sull’esperienza: le immagini sono radicate nel vissuto dell’artista, per cui il soggetto è totalmente arrischiato. L’artista interpreta le immagini non solo come segni grafici o visuali, ma in qualità di segni emotivi e, come tali, vanno vissute, bisogna quindi attraversarle e non osservarle.

Alla fine degli anni Ottanta, vivrà un periodo di profonda crisi creativa, iniziata metaforicamente nel deserto americano, nel quale si era recato per portare “oltre” la sua riflessione sull’immagine: era alla ricerca di un mondo alternativo rispetto a quello meramente visivo, intendeva espandere i livelli di realtà.

«Il risultato è stato che ero sopraffatto e bloccato dalle immagini. La mia creatività ne è stata paralizzata per molti anni; cercavo di continuare a lavorare, ma non riuscivo a finire l’opera sul deserto»[5].

È da questo momento in poi che Viola inizia gradualmente a pensare a una nuova composizione dell’immagine, che si costruisce attraverso la realizzazione di scene quasi cinematografiche. Nelle opere della maturità l’artista invita, infatti, i suoi personaggi a muoversi nello spazio in condizioni ogni volta diverse: quello che gli interessa è indagare “al rallentatore” i comportamenti dell’uomo, insistendo in particolare sull’espressività del volto e sulla sensibilità del corpo. Come The Quintet of the Silent (2000) in cui l’artista rappresenta cinque uomini attraversati da un’ondata di emozioni intense: all’inizio della sequenza li vediamo con un’espressione indifferente, ma gradualmente l’emozione anima ciascuno di loro e scorgiamo sui loro volti l’intensificarsi dell’energia emotiva; oppure in Man Searching for Immortality/ Woman Searching for Eternity (2013) un uomo e una donna nudi camminano verso lo spettatore, lo guardano direttamente negli occhi, accendono una piccola torcia e con lentezza iniziano un intimo rituale, esaminando attentamente il proprio corpo per trovare tracce di malattia o alterazione: un qualche presagio di morte.

The Quintet of the Silent (2000). Photo: Kira Perov © Bill Viola Studio

Nell’ultimo Viola assistiamo anche a un recupero delle immagini tradizionali, quelle con al centro l’uomo che tanto lo avevano ispirato durante il soggiorno fiorentino:

«Quello che mi importa davvero è cosa accade quando queste immagini entrano dentro di noi, ci vivono dentro, crescono, si trasformano in qualcosa d’altro. Guardo a lungo quelle immagini, lascio che penetrino, a volte faccio un disegno, ma non sempre, poi lo metto via, me ne dimentico. L’opera che realizzo, così, è qualcosa che nasce da quello che si è prodotto dentro di me, in un luogo che precede la parola, qualcosa che appartiene al mondo delle emozioni elementari di ogni essere umano»[6].

E così nella sequenza video The Greeting, ispirata alla Visitazione di Pontormo (1528-1529 ca.) due donne stanno conversando, quando sopraggiunge una terza, le due si preparano a salutarla, ma appare chiaro che una la conosce bene mentre l’altra meno, o forse per niente. Si alza una leggera brezza e la luce cambia sottilmente nell’istante in cui la nuova arrivata saluta la donna che conosce, ignorando l’altra. Le due amiche si abbracciano, la nuova sussurra qualcosa all’orecchio dell’altra, isolando la terza. Infine, con silenzio imbarazzato, vengono fatte le presentazioni e le tre donne si scambiano convenevoli. Il linguaggio inconscio del corpo e le sfumature di sguardi e gesti fugaci sono accentuati dalla loro lentezza, indugiando nella coscienza dell’osservatore, ma le azioni e le intenzioni dei personaggi non trovano una spiegazione né diventano evidenti. Il significato preciso dell’evento resta sospeso come un gesto ambiguo e speculativo.

The Greeting (1995). Photo: Kira Perov © Bill Viola Studio

La sua ultima mostra in Italia, “Bill Viola”, risale al 2023 (24 febbraio-25 giugno) a Milano presso le sale di Palazzo Reale.

Viola era l’ultimo maestro della videoarte, con la sua morte si mette fine a questa stagione rivoluzionaria della storia dell’arte per aprire le porte a quella successiva, fatta di nano tecnologie, intelligenza artificiale e video gaming: un futuro tutto da scoprire. Fino al 28 luglio The Night Journey, il videogioco firmato Bill Viola (2007-2018) sarà alla CaixaForum di Tarragona, in un’esposizione dal titolo “Homo Ludens. Videojuegos para entender el presente”. Sembra così lontana la memorabile personale del 2017 in Palazzo Strozzi: “Bill Viola. Rinascimento elettronico”, in cui l’architettura della sede dialogava perfettamente con le opere di questo erede culturale dei maestri rinascimentali.

Camilla Gaetano

In copertina: Bill Viola davanti alla sua opere Deluge. Photo: ©Alessandro Moggi.


[1] R. Polese, Il colore Viola del manierismo, “La Lettura” 2014.

[2] A. Galansino, Bill Viola, Artedossier Giunti, Firenze-Milano 2017.

[3] Bill Viola, un rinascimento a Firenze, in M.G. Bicocchi, art/tapes/22 – tra Firenze e Santa Teresa dietro le quinte dell’arte (‘73/’87), Venezia 2003.

[4] J. Hanhardt, in Bill Viola. Rinascimento elettronico, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi, 10 marzo-23 luglio 2017), a cura di A. Galansino e K. Perov, Firenze 2017.

[5] A Conversation: Hans Belting and Bill Viola, in Bill Viola, The Passions, Getty Publications, Paul Getty Trust, Los Angeles 28 giugno 2002, p. 197.

[6] R. Polese, Il colore Viola del manierismo, “La Lettura” 2014.

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