Esistono pregiudizi, a proposito dei pregiudizi. Intanto, devono per forza essere qualcosa di negativo – letteralmente, non dovrebbe andare necessariamente così. (Poi uno ci pensa sopra e si accorge che il pregiudizio positivo quasi sempre è un’illusione, per cui va bene lo stesso). Accade poi che ognuno di noi possa avere tra le sue frequentazioni qualche persona sbagliata, una cattiva compagnia. A me succede di avere quello che un giorno mi ha detto che bisogna leggere Arminio. Per far la guerra ai miei pregiudizi (“non l’ho letto e non mi piace”), ho preso allora l’ultimo libro di Franco Arminio, Sacro minore, pubblicato da Einaudi. Adesso i miei post-giudizi sono peggio dei miei pregiudizi, per cui non è che il tipo in questione ci abbia guadagnato. Non mi va infatti di chiamarlo scrittore, né tanto meno poeta – non basta andare a capo ogni tanto, per essere un poeta. E non dirò neanche che ho letto la sua ultima fatica letteraria, come spesso si dice. Spero davvero che non sia arrivato addirittura a faticare, per scrivere ’sta cosa, perché sarebbe davvero troppo. (Venti minuti per leggere – ma quanto ci avrà messo, per scrivere? Non più di un’oretta, speriamo).
Ma leggiamo, vediamo se è proprio vero quel che dice la quarta di copertina:
“Sacro è per definizione ciò che ha importanza suprema per un suo misterioso legame con il trascendente. Non potendo vedere ciò che non esiste, Arminio ha costruito con Sacro Minore un calibrato e assai originale breviario poetico con l’intento struggente di affermare il sacro unicamente con quello che c’è intorno a noi: un filo d’erba, una lumaca, una radiografia”.
(Andrea Di Consoli)
Sì, ciao core, ci abbiamo la Dickinson de noantri, ci abbiamo. Come dicono nello sport, vediamo dunque le fasi salienti, gli highlights di questo assai originale breviario poetico.
Immaginate dunque 152 pagine, occupate ciascuna da uno a otto versi (oddio, versi, vabbè). E in mezzo roba da umiliare Leopardi (Sacro riuscire ancora a piegarsi / e allacciarsi le scarpe), travolgere Montale (Sacro sarebbe aver conservato le scarpe / che avevo a sette anni), asfaltare Zanzotto (Sacro / il silenzio che c’è / tra le dita dei piedi), sbertucciare Perugina, quello dei Baci:
Sacro
più dell’amore notturno
è svegliarsi uniti
Lungo il nostro cammino di lettori, incontriamo la coccolosa deriva tutta cuoricini e fiorellini (Sacro arrivare in un paese / e spiarlo con tenerezza); le affermazioni apodittiche e molto discutibili (Sacro è che all’amore / puoi dare tante possibilità, / prende sempre una strada sola); perfino grandi rimasticamenti di Tao mal digerito (Sacro avanzare indifesi, / indietreggiare quando siamo forti – verrebbe piuttosto da dire che se quello avanza, inseguitelo brandendo Rimbaud, altro che storie).
A un certo punto non si riesce a fare a meno di leggere e immaginare i commenti della Vulvia di Guzzanti: Sacro è credere ai guadagni / che vengono dalle perdite (Decrescita felice! Solo su Rieducational Channel); Sacro fare molte visite ai malati, / anche quando stanno bene (Menagrami! Solo su RC); Sacro è che io sono qui / perché alcune persone dentro di me / non devono morire (Psicotici!); Sacro è toccarsi. / Qualunque essere umano / può morire se non lo tocchiamo (Stalkers!).
L’uomo vorrebbe essere il cantore della vita minima e della propria umiltà, solo che si capisce che la stima di sé dev’essere piuttosto altina, anche se non è affatto chiaro perché. Per cui talvolta gli scappano vezzi superomistici (Sacro è curare qualcuno / guardandolo – cose che neanche Gesù, che infatti esortava ad alta voce Lazzaro ad alzarsi). A volte, poi, questi vezzi assumono forme di veri e propri – ma ingiustificati – deliri d’onnipotenza (Sacro / è scrivere / la frase che Dio / non ha scritto – solo che Arminio non se ne rende conto, però tante cose si possono dire di Nostro Signore, certo non che sia così ovvio e banale nelle sue espressioni).
Talvolta il sacro è nascosto dal profano (Sacro è il dito perso del falegname – ma noi immaginiamo piuttosto le sue comprensibilissime bestemmie), altre volte scivola, chissà quanto consapevolmente, nel più inaspettato BDSM (Sacro è salire sul tuo corpo, / scendere dal mio). Davvero gustosissimi, comunque, gli involontari pezzi d’umorismo (Sacro che oggi sono nati un bambino / e un vitello – per cui chi scrive per testimoniarlo dev’essere il pezzo mancante di un celebre quadretto natalizio).
Non mancano – non potevano! – le paracule strizzatine d’occhio alla cronaca (Sacro è costruire una casa / e prevedere la camera / dei profughi) e ai kompagni:
Sacri gli operai
che hanno lavorato all’Isochimica
di Avellino, quelli che sono morti,
quelli che hanno paura di ammalarsi.
La mancanza di originalità, ovviamente, non può che sconfinare in terreni già battutissimi da altri. Solo che il Nostro non regge mai il confronto: Sacro / è prendersi ogni tanto / la testa / tra le mani (il Vasco Rossi ancora vivo di quando ogni volta che rimango / con la testa tra le mani / e rimando / tutto a domani suonava più credibile, oltre che struggente); Sacro / è che se il cielo / ci cadesse addosso / non farebbe / alcun rumore (il capo di Asterix, Abraracourcix, aveva gli stessi problemi, ma era più simpatico); Sacro nel tempo delle ciliegie / comprarne un chilo / e andare al cimitero. / Mettere due ciliegie / ad ogni morto / fino a quando non finiscono (e qui siamo proprio al Favoloso mondo di Armenì, solo che questo è decisamente meno affascinante).
Sacro è non perdere la timidezza, esordisce Arminio. E si capisce che questo per lui dev’essere un problema autentico, visto che ci va una certa faccia tosta per scrivere cose del genere e spacciarle addirittura per poesia. Tant’è che perfino in Einaudi, che negli anni ha finito per pubblicare veramente di tutto nella collana bianca di poesia, qualche dubbio dev’essere sorto. E alla fine il fegato non ce l’hanno avuto nemmeno loro, tanto che Arminio l’hanno piazzato nella collana Stile libero.
C’è un punto, tuttavia, sul quale Arminio ha indubbiamente ragione: Sacro il ridere irrefrenabile tra due amici. Ma non solo due, tanti: portate questo libro al vostro baretto di fiducia, declamate con convinzione ad alta voce. Le risate, grasse, sono garantite per tutti. Perfino per quello che inizialmente aveva suggerito il libro, che alla fine ha necessariamente dovuto rimangiarsi il consiglio.
Cino Vescovi
Nota: Tanti anni fa Sergio Claudio Perroni curava un blog, Poetastri.com (Consigli e stroncature per chi ama la poesia). È ancora disponibile in Rete, per fortuna. Chi scrive ha avuto più volte l’opportunità, sotto altre spoglie, di collaborare. Questo pezzo è dedicato a lui, in memoriam. Siamo sicuri che, ovunque sia adesso, non può aver fatto a meno di ridere anche lui, di fronte a versi di tale pochezza.