È capitato di prendere tra le mani quel libricino presuntuoso di Ennio Flaiano che raccoglie note sparse, dispettose, un tantino embricate tra anni Cinquanta e Sessanta: Il diario degli errori. Questo quadernetto costruito su un piano di giustapposizioni tematiche che spaziano dal calcio al collage, dal cinema al matrimonio, si legge molto più volentieri oggi dopo una partita di calcio della nazionale che non nel 2002, quando fu pubblicato da Adelphi.
Prendiamo un pensiero infilato lì da Flaiano sul calcio e gli italiani: “Italia, paese di porci e di mascalzoni. Il paese delle mistificazioni alimentari, della fede utilitaria (l’attesa del miracolo a tutti i livelli) della mancanza di senso civico (le città distrutte, la speculazione edilizia portata al limite) della protesta teppistica, un paese di ladri e di bagnini (che aspettano l’estate) un paese che vive per le lotterie e il giuoco del calcio, per le canzoni e per le ferie pagate. Un paese che conserva tutti i suoi escrementi.”
Tra totocalcio e gioco del calcio Flaiano non fa differenze qualitative e passa all’attacco dopo aver viaggiato come un pellegrino del cinema tra Francia e Stati Uniti, sicché il rientro in Italia gli sembra sempre uguale o quasi negli anni Cinquanta e anche nel decennio successivo – che è poi il nudo arco cronologico lungo il quale si stendono le note che leggeremo, estendibile ad libitum sino all’altrieri, teso com’è alla ricerca di un perpetuo, di un carattere fisso, di un punctum dolens su cui crocifiggere quella macchietta che poi è l’italiano senza pretese particolari di costituire “la società stretta”, per chi si ricorda dei discorsi altissimi ma non invecchiati di Leopardi (e di Bollati ne L’italiano).
Questo, per dire, è un esempio di rimpatriata alla Flaiano: “Triste ritorno in Italia, che mi appare un paese di giocatori di totocalcio. Squallore. Da Ventimiglia a Genova, grassa signora che chiede un passaggio. Forse vuol fare una marchetta. La lascio in un caffè di Genova, dopo aver preso un panino. Scrivo queste cose perché possono servirmi. Inutile abbondare in particolari.”
E non staremo nemmeno noi a diffonderci in particolari perché sono proprio le note di Flaiano che stingono sulle due-tre righe e si allontanano largamente da quelle formulazioni a cui si erano abituati i lettori affezionati a libricini come La solitudine del satiro o al Diario notturno.
Ecco dunque servito qualche passaggio piccolo e caricato come granello di pepe a condimento di una breve chiacchierata su certi passaggi frammentari del Diario degli errori:
“«… Occorre che l’uomo, governato dalle proprie sensazioni, scopra nella virtù attrattive sensuali » (Pierre ai massoni in Guerra e pace, P. VI, C. VII).”
“Famiglia romana con padre liberale e figlio maggiore comunista, minore fascista, zio prete, madre monarchica, figlia mantenuta: si sfidano tutti gli eventi.”
“Togliete all’italiano le case di tolleranza. Non gli resterà, per i suoi ricordi, che la vita militare.”
Ma apriamo una parentesi quadra sul taglio di natura più propriamente da effemeride di queste annotazioni sul carattere e i costumi degli italiani del dopoguerra (e tutto sommato anche del dopo partita). Non escluderei così recisamente che Flaiano fosse un devoto della teoria dei climi settecentesca; per dir meglio, da abruzzese qual era, Flaiano sentiva fresco e ben distinto il refolo del grecale sul collo.
Non deve sembrare solo una battuta sulla freddezza di Flaiano che è sì accorto lettore e divulgatore ai suoi tempi di un nuovo volterrianesimo per giornali e per dame – ma è soprattutto un finissimo giocatori di scacchi vista mare. In effetti è la stessa qualità diaristica, di natura materica frammentaria di queste note che non si assemblano agevolmente in un libro filato (o filiforme che sia) a fare di Flaiano un vero uomo dell’Adriatico. Il diario degli errori visto in questa luce non è altro che un insieme di appunti, un brogliaccio inesauribile che si vuol far leggere sotto il sole e lambiti dal vento che porta pensieri levantini.
Prendete ad esempio queste considerazioni, pressate tra angoscia e disincanto, tra estasi e arrocco, tra quel dare e avere che in fondo è una partita di scacchi:
“19 settembre. Sulla spiaggia, con Lelè e Rosetta sino all’Axrone. Nessuno. Una donna che prende il sole tra le dune. Mare vivo, azzurro, freddo. Deliziosa sensazione di calma, di pace finalmente raggiunta. Al ritorno, raccolgo conchiglie. Granchi morti, gusci di patelle. Meduse morte, ossi di seppia, alghe. Aeroplani che corrono a coppie. Cielo levigato. Una barca grigio scura e rossa (a pezze) bellissima. Bambino che insegue una farfalla.”
“Non c’è che una stagione: l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L’autunno la ricorda, l’inverno l’invoca, la primavera l’invidia e tenta puerilmente di guastarla.”
“Gli italiani, poiché identificano ogni idea di peccato col Sesso, credono che l’Inferno sia un luogo dove bene o male si organizzano orge un po’ dolorose ma tuttavia divertenti, visto che i peccatori sono nudi.”
“Il sesso non esiste in natura. È pura immaginazione, quindi insaziabile – ineducabile.”
“La domenica è il giorno in cui si vedono i mariti. Tutta la settimana tu vedi le mogli, poi la domenica vedi che hanno un marito, tutte, e vanno al ristorante – e passeggiano nel quartiere.”
“In amore gli scritti volano e le parole restano.”
“L’amore è una cosa troppo importante per lasciarla fare agli amanti.”
Questo può anche dare un primo assaggio della cronaca a microfoni spenti di Flaiano, che sarà comunque bene non trascurare nella sua dimensione più aforistica e meno riposata, senza quell’avvolgimento a spirale che invece era proprio della generazione a lui precedente, incantata dai giochi dannunziani o leopardiani di un certo rondismo consumato. Del resto Flaiano è nato proprio nel 1910, quindi un decennio prima di signori come Calvino, Pasolini e, che so, Sciascia: gente comunque venuta dopo di lui e il cui discanto era più radicale, più viscerale mentre in Flaiano tutto, ogni pedina sia essa nera o bianca, torre o regina, evade l’accertamento dei dati che quando non sono controllati dall’intelligenza dell’aforista si evolve a favore di aneddoto, della storia del gatto morto, dell’amante della mantenuta e via dicendo.
Questo per dire che tirando le fila di un ipotetico e primo confronto tra Flaiano e agli altri moralisti italiani tutto in lui è meditato, costruito nei gorghi di una metà di Novecento ormai spenta, disarticolata, vittima insolita di un abuso di edilizia letteraria da cui Flaiano non si fece mai avvincere: piuttosto, si fece baciare dal cinema.
Flaiano si diede allora anima e corpo alle praterie del pensiero critico, cercò riparo dietro una fase nascosta nella tundra, bivaccò sotto il cielo stellato dopo aver vinto uno Strega. Non era uomo da chiudersi in appartamento, vista anche la sua mole.
Ma qui è bene rimandare alla visione diretta di quei film rispolverati pochi anni fa dalla Cineteca di Bologna dove il nome di Flaiano compare sempre tra gli sceneggiatori.
Andava detto per non far pendere il bilancio critico del centenario felliniano a discapito dell’entourage che comunque sapeva circondare il Maestro.
Andrea Bianchi
Ennio Flaiano, citazioni sparpagliate dal Diario degli errori
Viviamo di ricordi e di immaginazioni. Queste, per la futura attività. Tutto ciò che facciamo ci sembra senza peso, evitabile, noioso. Quel che abbiamo fatto si confonde con quello che vorremmo fare.
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In Italia i perseguitati non fanno fortuna né suscitano simpatie, perché sono deboli. L’italiano è profondamente realista (biologicamente) cioè profondamente naturale. Può apparire vile, è soltanto troppo inserito nella natura. E gli animali assalgono il più debole, i vecchi, quelli che non possono più difendersi. Accettando la realtà crede di fare il suo bene, prolunga invece la sua schiavitù.
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Il turista è un essere che non rimane ferito da ciò che vede. Una donna che passa basta a sconvolgere l’ipotesi della mia vita, prospettandomene un’altra. Una casa che avrei voluto abitare, un paese dove avrei voluto nascere, e uno dove vorrei morire.
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L’inverno è lastricato di buone intenzioni.
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La vita italiana si svolge a vari livelli storici. Questo succede anche in altri paesi, ma in Italia il fenomeno è osservabile a occhio nudo. C’è gente che vive in pieno medio-evo e agisce non al di fuori della legge, ma senza conoscerla. Per altri la vita è quella del Cinquecento. Egle e la sorella che sanno del marito sotto il letto e parlano bene di lui, che ascolta. La madre li ha avvisati.
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Il telefono per questa gente è un elemento magico. Suonano tre volte, abbassano, attendono di essere chiamati. Non usano il gettone, parlano nell’acustico. Riti magici.
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Seguire la moda è per la donna una misura di sicurezza. Si potrebbe citare Nietzsche: «Non si è mai dato il caso di una donna che in un abito molto scollato purché sia di un gran sarto abbia preso un raffreddore». In questo caso il gran sarto garantisce la donna di essere nella corrente giusta e aumenta le sue difese contro gli agenti esterni non solo, ma anche contro i propri dubbi.
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Seguendo la moda la donna e anche l’uomo si mettono nelle condizioni dei fachiri, cioè respingono il dolore.
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In un romanzo francese dell’800, non ricordo il titolo né l’autore, un giovane chiede una prova d’amore alla sua amata. La prova d’amore è questa: mettersi un paio d’occhiali neri a teatro. La donna rifiuta. E il grande amore finisce così. Oggi un giovane può chiedere una prova al contrario: che la ragazza si levi gli occhiali enormi che vanno di moda oggi. Immagino che sarà respinto.
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Il bello dell’innamorarsi è il principio. Ti sembra tutto nuovo. Dopo un anno non riesci a capire perché tutto ti sembrava nuovo. Secondo te bisognerebbe innamorarsi ogni… diciamo ogni due anni. No, allora diventa un lavoro.
Voi donne non amate mica il marito ma il matrimonio. Vi piace essere sposate come a noi uomini piace essere laureati, diplomati, specializzati. Io sono laureato in legge, per esempio. Io non amo mica la legge, amo la mia laurea.
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Teseo entra nel labirinto per uccidere il Minotauro. Non trova nessuno, va avanti indietro, nessuno. Di colpo si accorge che il Minotauro è lui stesso. Si tocca la testa, sente le corna. Il pelo, le zampe. Pieno di terrore, perché sa che Teseo lo va cercando, è entrato nel labirinto per ucciderlo. Fuga disordinata del Minotauro-Teseo. Sbatte la testa, inciampa, cade, si rialza ansante. Vede Arianna. Oh, Arianne, ma soeur! – Ma Arianna è lì: col suo filo in una mano e una spada nell’altra mano, per ucciderlo. (Tipo di commedia francese da rappresentare a Parigi, in un teatrino d’avanguardia, dove il Minotauro è di casa).