Il cammino del camaleonte è quello di un animale che, zampettando, si appollaia sui rami e ne assume il colore: per W.B. Yeats (che definiva una simile fase con il nome classico di hodos chamaliontis) esso è il sentiero dei saggi. Con la medesima denominazione Grazia Marchianò, la filosofa compagna di Elémire Zolla nell’ultimo tratto di vita, conclude la pubblicazione dell’opera omnia zolliana: avendo raggiunto la tappa del quindicesimo volume, dal sottotitolo Scritti di letteratura anglo-americana. Archeologia del sadismo. Un diritto scettico(Marsilio editori, 2024), la curatrice è uscita dal mondo in una maniera che a pochissimi riesce di fare.
Adesso, quindi, restano i libri. I tomi rilegati con costola in tinta arancione possono infine giacere sullo scaffale, in attesa della consueta disattenzione con cui gli intellettuali mainstream si applicano a ciò che è realmente critico o costruttivo: in un certo senso, i libri di Zolla anelano al loro destino di puro e integrale oblio.
Ma prima di affidare il tutto alla corrente del flusso e alla navicella della completa dimenticanza, quest’ultimo volume offre tre pepite auree, in ordine enantiodromico, a canone inverso: prima pepita, la certezza che si deve essere scettici di fronte al diritto, sempre, a qualunque diritto, perché
“quando il costume diventa norma si è entrati nell’alienazione […] Soltanto quando l’uomo si pietrifica e aliena ricorre a norme e chiama certezza del diritto il surrogato del radicamento in una società […] La norma nasce con la pietrificazione della vita, con lo sradicamento (magari sur place). Jus scriptum è maledizione”.
Seconda pepita, il libro ci offre la rivelazione che il sadismo è il fondo cancrenoso su cui l’individuo contemporaneo poggia l’intera propria (lucidamente violentata e ridotta al mutismo) esistenza: curando l’edizione degli scritti del Marchese de Sade, nei primi Anni Sessanta Zolla si produsse in un’introduzione di trentasette minuziose pagine, il cui fulcro devastante non consisteva nella fenomenologia della violenza sessuale volontaria raffinata sadicamente sino alla perversione – quelle sono bazzecole da lasciare senz’altro ai bavosi. La rivelazione zolliana è che D.A.F. de Sade fu… “un militare di carriera” (p.227)! Lampante. Per noi che non crediamo a profezie né a previsioni, questo spiega tutto: da Napoleone all’attuale terza guerra mondiale diffusa, attraverso il prosciugamento di tutte risorse naturali per spese militari, nel presente ebete in cui siamo immersi.
“Quanti si sono accecati di fronte allo spietato sadismo degli eserciti […]? E chi ha visto la vera natura della disciplina?”
È per queste fulminanti righe trascritte da invisibili testi sibillini e augurali che a Zolla dobbiamo perdonare la colpa massima, che secondo W.B. Yeats è quella di aver scritto libri: «né il Cristo né il Buddha né Socrate scrissero un libro, perché scriverlo equivale a scambiare la vita per un processo logico» [Autobiografie (1926)]. Ma una volta che saremo riusciti a concedergli venia, osserveremo un ultimo fenomeno: che il camaleontismo zolliano non è mimetismo e mutazione di pelle, a seconda dell’oggetto al quale si applica: è l’esatto opposto – perché sono gli argomenti, i soggetti a mutare (a diventare cangianti) sotto la penna dello scrittore: lo sanno i tanti lettori ammaliati dalle pagine perfette dove s’incastonano frasi equidistanti dalla sabbia mobile della prosa purpurea e dagli scogli infecondi della saggistica universitaria.
Un esempio, che fa da terza pepita, la pagina reperita nel filone demoniaco dei narratori puritani statunitensi di metà Ottocento:
“Perché la vita presente sembra onirica, a paragone del passato? Perché nulla rimane della schiettezza che pure un giorno fu conosciuta dall’uomo? Hawthorne osserva (nella descrizione del carnevale romano) che oggigiorno è smarrito il divertimento «nell’antica semplicità della vera allegria, ma c’è uno sforzo quasi inconscio, simile alla pretesa di gaiezza con cui ci inganniamo di fronte a uno scherzo consumato»; altrove determina quella qualità ormai smarrita dall’anima umana come «elasticity»; forse nel confessionale cattolico tuttora si ritrova, grazie al rituale, un poco di quella elasticità dell’innocenza antica e il sospetto affiora ugualmente in Clarel. Nel capitolo xxvi Hawthorne osserva: ‘Un personaggio semplice e gioioso non trova posto per se stesso tra le figure sagge e oscure che getterebbero vergogna sulla sua allegria senza sofisticazione. Tutto il sistema degli affari dell’uomo quale è oggi consolidato, è costruito apposta per escludere l’anima incurante e felice… È una regola ferrea dell’oggi esigere un oggetto e un proposito nella vita. Fa di noi tante parti di un complicato schema di progresso che può soltanto farci arrivare a una regione più fredda e triste di quella dove si nacque. Insiste che tutti si aggiunga un’inezia – ma acquistata con sforzo incessante – a una pila accumulata di utilità, il cui unico uso sarà di gravare sulla nostra posterità con pensieri ancor più pesanti e una fatica ancora più grave della nostra. Non c’è vita che oggi vada errando come un ruscello libero; per il minimo ruscello c’è una macina da mulino da girare. Sbagliamo, a causa di una risoluzione troppo strenua di voler procedere giusto’.
Si profila un ideale d’uomo ancora incorrotto, capace di vivere senza sforzi deliberati, senza smanie accumulatrici, indifferente all’imperio dell’Utilità, da queste considerazioni del mondo ormai senza fauni, senza leggiadria né leggerezza” (p.135)
Pagina aurea. Così, ora che le parole e le opere di Zolla sono là, ristampate in un ordine voluto da mente di donna (la Marchianò), e se ne stanno in germe, come il concepimento di una sizigia ormai intoccabile dagli insulti del tempo e delle società, esse sembrano un frutto che penda dal ramo di un albero sempreverde e stilla rugiade, in un carmelo del tutto inaccessibile. Riecheggiano dopo mezzo millennio le parole di Pico della Mirandola:
«Chi non ammirerà questo nostro camaleonte? O piuttosto chi ammirerà altra cosa di più? Di lui non a torto Asclepio ateniese, per l’aspetto cangiante e la natura mutevole, disse che nei misteri era simboleggiato da Proteo» [Oratio de Hominis Dignitate §.7.32].
Andrea G. Sciffo