“Ho guardato l’immutabilità e la luce”. T.S. Eliot lettore di Rupert Brooke
Letterature
Paola Tonussi
Il ragazzo più curioso al mondo – fu questa la prima impressione delle sorelle Olivier, sue vicine di casa e compagne d’avventure a Limpsfield, nel cuore del Surrey. Da vere selvagge, avevano condiviso con lui i giorni migliori della loro infanzia, tra case sugli alberi ed “esperimenti” animali, ricordando l’insegna dei giochi più audaci. Fra i tanti, lo avevano visto correre lungo i pendii delle Downs, con una livrea di coniglio sulle spalle, alla scoperta delle innocenti creature dei boschi. Da allora, per tutti gli amici, sarebbe stato sempre “Bunny”, il soprannome di una vita.
Il vero coniglio qui è David Garnett, conosciuto come scrittore e editore di successo, tra i nomi di punta del Novecento inglese, e membro satellite del famigerato Gruppo di Bloomsbury.
Figlio d’arte di Constance Garnett – la raffinata traduttrice dei realisti russi – e del noto Edward – lo scopritore di giovani talenti, da D. H. Lawrence a John Galsworthy, per i tipi Duckworth –, era destinato a tenere l’altezza del genio familiare. Circondato da accese discussioni intorno a Turgenev, Čechov, Dostoevskij e Tolstoj, con veementi posizioni d’attivismo politico, cresce nel fermento culturale del suo ambiente, presso il cottage di Cearne, sulla mitica valle del Weald. È in questo rifugio che fin da piccolo ha la fortuna di incontrare gli autori preminenti dell’epoca, chiamati a raccolta dal padre, acuto critico letterario. Tra i suoi ospiti d’eccezione, l’autore di Lady Chatterley aveva lì un tronco d’albero tutto per lui, dove fermarsi a comporre versi, diventando agli occhi del più giovane una sorta di mentore. Adocchiato come un covo di abitanti delle foreste e un riparo oltremanica per esiliati russi, il Cearne rappresenta il primo tassello di un’educazione artistica e intellettuale folta di stimoli e spinte progressiste.
Una volta cresciuto, il clima domestico gli appare come una fucina di pensiero e ardente idealismo rivoluzionario:
“Sono stato educato ad accettare atti di violenza e omicidio politico con una pietà che rasenta l’ammirazione; ho conosciuto e provato rispetto per almeno due assassini famosi”.
Fin dalla tenera età, David combina la passione naturalistica con il crescente interesse verso le arti. Nel 1905 entra all’University School College di Londra, da qui si dirige verso lo studio delle lingue, e dopo un soggiorno in Germania viene ammesso, nel 1910, al prestigioso Imperial College, per studiare zoologia e botanica. Allievo di eminenti scienziati del calibro di John B. Farmer e amico dello zoologo Paul Montague, studente modello del Dipartimento di Zoologia a Cambridge, si prepara a una carriera che, nel profondo, non lo soddisfa. Nel tempo libero si nutre di classici, vagando dagli scandalosi drammi della Restaurazione ai romanzi contemporanei, eccitato da Trollope e Swinburne. Non stupisce allora la scelta più tarda di mettere da parte gli studi per dedicarsi alla scrittura, tra esperimenti poetici e prime recensioni di critica letteraria, muovendosi a passi sempre più veloci.
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Da ragazzino aveva inseguito tutte e quattro le sorelle della porta accanto: Bryn, Margery, Daphne e Noël (lontane cugine di Sir Laurence, l’attore di Amleto e Rebecca),incantate dal “glorioso” amico del cuore. Assieme amavano allestire messinscena di famosi plays presso i Champions, la casa degli Olivier, tramutando un covone nel loro palcoscenico privato. Figlie del Commendatore della Giamaica, allevate per suo volere allo “stato di natura”, le ragazze verranno lanciate a intraprendere una moderna educazione universitaria. Entrano quindi a far parte dei ranghi del Fabianesimo del ramo Cambridge, da cui il legame con Rupert Brooke, il poeta-idolo del King’s College. Ricordando i vividi racconti delle Olivier, sarà proprio quest’ultimo a recuperare il nomignolo di loro invenzione. Con sua meraviglia, lo studente di scienze è presto l’invitato speciale della star dell’Università nella casa di campagna a Grantchester, dove i due si immergono in lunghe nuotate di mezzanotte al fiume e profonde conversazioni sul “senso” della letteratura. Un po’ curioso della sua materia, Rupert lo sfida:
“Mio caro, ti ho chiamato ‘Bunny’ perché credevo intendessero che hai la mente come un coniglio; ed ero d’accordo. (Nota bene: non è la stessa cosa di avere la testa di un coniglio.) […] Ma tu, stai ancora imparando la formula scientifica per far crescere i cavoli? Puoi spruzzare qualche miscela chimica sul terreno e far spuntare delle rose? O stai solo seduto sotto le siepi, in estasi, a produrre poesie?”
Unitosi alla cerchia di amici capeggiata da Brooke, composta da ardenti intellettuali e socialisti fabiani – Jacques Raverat, Ka Cox, Gwen Raverat e Frances Cornford (nipoti di Darwin), Dudley Ward e le Olivier – ritroverà nel loro credo lo spirito fanciullesco e la vicinanza al mondo naturale che lo dominavano al tempo della prima giovinezza. Come molti contemporanei edoardiani, i giovani “Neopagani” (così li irrideva Virginia Woolf per l’eletto stile di vita naturista) si erano spogliati dei rigidi codici di costume osservati dalle generazioni precedenti, conducendo una vita semplicein aperta comunione tra i sessi. Seguendo i precetti del mistico Edward Carpenter (I figli di Walt Whitman, 1902) e assimilata la lezione romantica di P. B. Shelley, questi hippies ante-litteram assecondavano il loro piano di ritorno alla Natura, riassumibile in tre punti cardine: vita all’aperto, cameratismo ed eterna giovinezza. Dopo campeggi in riva ai laghi, picnic campestri e strenue passeggiate in montagna, finivano per ritrovarsi a recitare passi di classici attorno ai falò, nell’amata New Forest o alle soglie di Penhurst, antica dimora di Sidney. Tutti loro avrebbero ricordato il neofita come il ragazzo instancabile e febbrile, con tenda e sacco a pelo sempre pronti, fiero di nobili letture, vorace e colto. “Un romanzo, un’ora” era il suo motto personale.
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Ma la vera scintilla di vita, per David, si accende al momento dell’incontro con quelli della cricca di Bloomsbury. Attirato dall’arte della conversazione e folgorato dal carisma dei suoi vertici, in primis “la Sfinge” Lytton Strachey, seguito dalla materna Vanessa Bell (née Stephen), sorella di Virginia, e con lei il pittore Duncan Grant, viene accolto a braccia aperte nelle loro stanze. Desiderato da Duncan in un coup de foudre e adorato da Adrian (fratello delle Stephen), verrà ricordato dalla Woolf come “uno dei romantici giovanotti” sotto la corte delle Olivier, cooptato per simpatia, passione e inclinazioni tra i membri più giovani del Set. Man mano, si addentrerà un po’ furtivo nell’élite di pittori e letterati, infiltrandosi tra le sue file come una docile volpe alla ricerca del cibo preferito.
Al numero 46 di Gordon Square e nelle altre case della nuova famiglia allargata, la sua vita e carriera prenderanno una piega inaspettata, nutrendosi dei concetti di bene e bello dei seguaci di G. E. Moore (Principia Ethica, 1903), per discutere questioni relative alla “copula” (fornication) e “sodomia” (buggery), intese come faccende d’ordine naturale, non più materia d’impudicizia. Beffeggiandosi d’ogni residuo di pruderie vittoriana, nessun velo di decoro poteva reggere quanto il comune desiderio di verità, relativa all’esperienza del singolo, ora parte di una comunità attraverso l’ascolto di ciascuno. La parola d’ordine, assunta a vera e propria regola d’arte, era infatti solo una: libertà – sia essa espressiva, artistica o sessuale, praticata fuori ogni asfittica norma di condotta imposta dall’alto.
Allo scoppio della Prima guerra, seguendo l’esempio di Lytton e Maynard Keynes (il celeberrimo economista), rinuncia ad arruolarsi, a dispetto di tanti giovani mossi da uno smodato sentimento patriottico. Di questo periodo avrebbe ricordato la cortese proposta di Brooke (morto nel ’15, alla volta di Gallipoli), che lo voleva ad ogni costo al suo fianco contro i turchi. Salutati con rammarico i compagni in armi, da irsuto pacifista, finisce a lavorare i campi del Suffolk con Duncan, altro bracciante tra i “pavidi” obiettori di coscienza.
Per allontanarsi dalla metropoli e tenere stretto l’amato pittore (poi padre segreto della figlia Angelica, in custodia del marito Clive Bell, famoso critico d’arte), Vanessa pensa bene di affittare la tenuta di Charleston, nella campagna del Sussex, che sotto le sue cure diventa un tempio delle arti e loro quartier generale. Qui Bunny, Nessa e Duncan creano, sullo sfondo della guerra, un complicato ménage à trois, guadagnandosi l’ironica citazione di Dorothy Parker:
“Vivevano dentro cornici, dipingevano a cerchi e amavano in triangoli”.
Un giorno, i due artisti ritraggono l’intruso durante la stessa seduta, ognuno secondo la propria prospettiva, filtrata ora dalla passione ora da pennellate di gelosia, in stile post-impressionista: su una tela è un Adone tutto muscoli, sull’altra più morbido e femmineo.
Il periodo terminerà inevitabilmente con una burrasca di litigi, lasciandolo solo, a girovagare per Londra. Del resto, cosa ci faceva lui, scribacchino alle prime armi, nel gotha di Bloomsbury? Non gli bastavano più le tele strappate, le poesiole romantiche, gli schizzi di romanzi o le recensioni a scellino. Doveva imparare e fare di meglio, sforzandosi da autodidatta, assimilando tutti gli stimoli che poteva attingere, come una suzione d’ape dai fiori più succulenti e maturi, da lì andare avanti sulla propria strada.
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Influenzato dalle cime letterarie di Woolf e Forster, ai quali era devoto, e memore dell’incoraggiamento di Rupert, sempre prodigo di consigli affettuosi per i suoi amici, decide di prendere coraggio e abbracciare finalmente la carriera di scrittore.
Imbarcatosi sulla nuova rotta narrativa, dalla vena assai prolifica, dopo un esordio sensazionale – ispirato alla cocainomane Betty May (Dope Darling, 1919, firmato ‘Leda Burke’) – la prima opera a suo nome, Lady Into Fox (La signora trasformata in volpe, in Italia è edita per Adelphi), gli consegna la fama nell’immediato dopoguerra. Pubblicata in contemporanea all’altra Fox (La volpe) di D. H. Lawrence nel fatidico 1922 (annus mirabilis del Modernismo inglese), la novella allegorica – dedicata a Duncan Grant – unisce brio narrativo e immaginazione favolistica in una peculiare parodia di antiche Metamorfosi. Nuovo Esopo della modernità, Garnett lascia tramutare fantasmagoricamente la sua signora in volpe: madre di cuccioli concepiti in natura, con cui il marito – tale Signor Tebrick – si trova a giocare fino ad accoglierli nella sua casa, pur di proteggerli dal mondo esterno, ma finendo per scontarne le conseguenze sulla propria pelle. Le scene, vivide e feroci, suggellano il carattere violento della natura, facendosi metafora degli intimi legami umani:
“A volte il Signor Tebrick sentiva la loro mancanza per ore e ore, o addirittura per un giorno intero, e non sapendo dove fossero era ansioso e solitario. […] Per il momento, erano tutte perfettamente abituate alla sua presenza, ed erano arrivate a vederlo come un loro naturale compagno. Nonostante fosse per molti aspetti fastidioso quando spaventava i conigli, erano sempre contente di rivederlo dopo essere state lontane. Questa loro affettuosità era, potete starne certi, la fonte di più grande felicità per il Signor Tebrick in questo periodo. Adesso, infatti, viveva solo per le sue volpi. L’amore per la sua volpina si era esteso inaspettatamente fino a comprendere i cuccioli, e ora questi erano i suoi compagni di gioco d’ogni giorno, tanto che li conosceva come se fossero i suoi stessi figli. […] Qualche volta cacciava anche con loro, perlopiù uscendo allo scoperto e spaventando i conigli a cui i cuccioli tendevano un’imboscata, così che questi corressero dritti nelle loro fauci”.
Fiutando le sue tracce, l’amico T. E. Lawrence coglieva nel racconto il potere del simbolo, avvertendo l’autore del duro colpo dell’artificio:
“Devi renderti conto che sei uscito fuori da ogni realismo. La tua opera è simbolista in ogni fibra […] un significato che non si esplicita mai, né tantomeno potrebbe, ma non per questo è implicito né ha a che vedere con qualcosa che i tuoi personaggi possono dire o fare, ma che accade”.
All’immensa popolarità del libro rispondono i maggiori critici e scrittori contemporanei: Woolf e H. G. Wells lo accolgono entusiasti, mentre Conrad lo definisce “la perfetta incarnazione della psicologia di uomini e bestie”. Sulla stessa linea, il successivo A Man in the Zoo (Un uomo allo zoo, 1924) mette in gabbia i “rapporti d’affari tra uomini e animali”, così come The Sailor’s Return (Il ritorno del marinaio, 1925) li riporta allo stato brado.
E visto che l’immaginario animale era di casa a Bloomsbury – Capra, Delfino, Scimmia e Mandrillo sono soltanto alcuni dei numerosi epiteti acclusi par lettre – la fantasiosa Virginia conia per un Bunny più maturo un nuovo soprannome. Consacrando un’amicizia destinata a crescere e durare negli anni, diventa così il suo “Badger”, il tasso dalla pelliccia brizzolata.
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Se la passione per gli animali aveva infiammato la liaison con Duncan, sempre circondato da creature domestiche, l’antico legame con la Russia lo condurrà dritto a nozze con l’illustratrice Ray A. Marshall, dopo aver ammirato i suoi disegni slavi. Infatti, ancora bambino aveva cavalcato insieme ai ragazzi tartari sulle stesse steppe immaginate dall’Orlando woolfiano, sopravvivendo perfino a un agguato di lupi. Presa in moglie la sua musa (il cui figlio Richard, futuro scrittore, andrà sulle orme paterne in The White Dragon, 1963), la sua vita sentimentale è un rovello di flirt e relazioni extraconiugali. Continuando le solite scappatelle a Londra e spasmodici giochi di seduzione con importanti figure dei salotti cittadini, lascia agli occhi delle sue amanti l’allure da scapolo senza speranze. Così, sotto copertura, riapproda a Bloomsbury, sulla mezza età ma sempre carico di un fascino magnetico. Individua subito la futura preda nella figlia dei suoi vecchi amici, che aveva visto nascere a Charleston, quando sollevò la profezia di un tenero rapimento appena compiuti i vent’anni. A questo punto, la prima volta di Angelica si consuma nientedimeno che nella camera degli ospiti di Wells. E dopo la scomparsa di Ray, i due arrivano al matrimonio, a sorpresa di tutti.
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All’apice della carriera, negli anni Venti, diventa figura di spicco nei circoli letterari di Londra, prendendo in mano la gestione di una libreria a Soho, e aiutando Francis Meynell a fondare la sua Nonesuch Press. Insieme a lui, s’iscrive nella linea di editori di genio solcata da Michael Sadleir e T. S. Eliot (leader della Faber & Faber), che incontrerà. Risalente a quel periodo, Never Be a Bookseller (1929) è un’autobiografia ironica e insieme un affresco lucido sul mondo della cultura del tempo.
Più tardi, insieme alla morte di Virginia, la nuova guerra porta con sé un forte senso di rabbia e disillusione. Come tanti conterranei che non presero parte alla prima, sente ora di non potersi più astenere. Diventa perciò volontario nella Royal Air Force, svolgendo anche un’intensa campagna propagandistica come scrittore impegnato, ravvisabile in The Battle of Britain (La battaglia della Gran Bretagna, 1941) e War in the Air (La guerra nell’aria, 1939-1941), al fianco di un quaderno d’appunti come apprendista aviatore, A Rabbit in the Air (Un coniglio in aria, 1931). Coniglio di nome e non di fatto, spiccava il volo sul suo aeroplano di guerra.
Al termine del conflitto, i Garnett trascorrono estati inglesi divisi tra il sud della Francia e la casa di Charleston, spedendo le quattro figlie – Henrietta, Amaryllis, Nerissa e Fanny – in collegio per il resto dell’anno. Ma le tempeste d’amore mettono a repentaglio il matrimonio. Rifugiata a Cassis alla rottura delle nozze, l’erede di Bloomsbury continuerà la tradizione di famiglia, da rinomata pittrice, mettendo su carta i suoi tumultuosi ricordi in Deceived with Kindness (Ingannata con dolcezza, uscito nel 1984). Intanto, un tasso un po’ sbandato scopre più lontano, a Montcuq, la sua tana.
Padre radioso e coinvolgente quanto distaccato e autoritario, convinto sostenitore della pura libertà personale, dovrà affrontare il “giro di vite” delle figlie, tra paure e perdizioni, come aveva assistito anni prima ai loro incredibili successi artistici.
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Tra i Bloomsberries più longevi, spettava a lui il compito di riunire le lettere e i diari della pittrice Dora Carrington – con la stessa cura riposta negli epistolari di Lawrence d’Arabia – per preservare la memoria degli amici scrittori, elogiati uno ad uno in Great Friends (1979). Ormai anziano, riesce addirittura ad assistere al fenomeno di Woodstock, per riportare le sue impressioni in The First ‘Hippy’ Revolution (1970), ricordando i “tempi d’oro” quando lui e compagni erano stati figli dei fiori prima di tutti.
Fra le altre opere celebri si ricordano: Aspects of Love (Aspetti dell’amore, 1955), la novella scritta appassionatamente per Angelica e sceneggiata da Andrew Lloyd Webber, ancora oggi sulla ribalta del West End, dove tieni i fili del desiderio contro ogni vincolo sociale e familiare; Pocahontas, il romanzo storico a sfondo coloniale sulla «bella selvaggia della Virginia»; i racconti naturalistici a soggetto a animale The Grasshoppers Come(1931) e Master Cat (1974). Infine verranno i libri di memorie – The Golden Echo (1953), The Flowers of the Forest (1955) e The Familiar Faces (1962) – raccolti sotto il titolo The Golden Echo (L’eco d’oro). Illuminati da riverberi poetici, i memoir sono frammenti di nostalgia che accarezzano gli anni della giovinezza contro la sfida del tempo:
“Il mio titolo è tratto dalla poesia di Gerald Manley Hopkins. La prima parte, L’eco di piombo, è un lamento per la bellezza peritura. Nella seconda parte, L’eco d’oro, il poeta parla di Dio che in cielo preserva ogni ciuffo di capelli e ciglia […] Non condivido la fede di Hopkins in Dio o nella vita ultraterrena. So soltanto, come Salomone, che ogni generazione di uomini svanisce come foglie e fiori di estati dimenticate. Ma, come i fiori schiacciati nei libri, una debole ombra rimane al nostro posto nelle opere d’arte e nei testi scritti”.
Dopo rapide incursioni nella “Swinging London”, e varcati gli Ottanta, gli ultimi anni lo vedono in ritiro aristocratico presso un pied-à-terre in affitto al Castello di Charry, nei dintorni di Cahors: il posto ideale – pensava – per un fantomatico autore di memorie. Mutato il pelo con l’avanzare dell’età e divenuto più orso di spirito che tasso, era ancora l’affabulatore impetuoso e animalesco, amante della vita rurale e dei compagni a quattro zampe.
Durante l’inverno del 1981, se ne andava in letargo, lasciando carta e penna ancora fresche d’inchiostro. Nella memoria dei cuori lontani sarebbe rimasto “il fantastico Bunny”: un insieme di fantasia e coraggio, sempre pronto a tentare il salto più lungo nella lotta implacabile della vita.
Pierluigi Piscopo
*La vita selvaggia di David Garnett è raccontata da Sarah Knights nella prima biografia ufficiale in lingua inglese, “Bloomsbury’s Outsider: A Life of David Garnett” (Bloomsbury Reader, 2015).
*In copertina: David Garnett (1892-1981)