16 Dicembre 2022

“Se sto bene? Mi trovo in un manicomio”. L’ultimo libro di Cormac McCarthy, “Stella Maris”

È riuscito nel suo miracolo. Il ‘ragazzo’ della letteratura occidentale, Cormac McCarthy, novant’anni l’anno prossimo e un lignaggio che lo fa il solo, estremista erede di Herman Melville e William Faulkner, stupisce, lascia perplessi, zittisce i trionfalismi della critica cardinalizia. Il libro a dittico, inaugurato da “The Passenger”, è ora compiuto: “Stella Maris” – di cui pubblichiamo in anteprima una traduzione ad opera di Fabrizia Sabbatini – si concentra sulla figura di Alicia Western, donna bellissima, genio matematico di inquietante precocità, scoscesa nel delirio della mente. Il libro, di fatto, riferisce la diagnosi della donna e si divarica in un lungo dialogo tra la paziente e il chi la ha in cura. “A slow-motion study of obliteration”, lo definisce il “Guardian”, per lo più stroncando il romanzo in forma di “dialogo platonico”, letto con un gustoso disagio. “‘Il mondo non ha creato alcun essere vivente che non intenda distruggere’, risponde Alicia al dottor Cohen. È il nichilismo da manuale di McCarthy ridotto a un succo nocivo: non è un paese per vecchi matematici. Se una volta questa sentenza pareva audace – la crudeltà di un cuore polverizzato, l’indifferenza cosmica – ora è ovvia. McCarthy ha speso la carriera fissando il vuoto, ora ha iniziato ad attraversarlo”. Dal “New Yorker” al “NY Times”, i massimi giornali della stampa anglofona si sono confrontati con i pensieri involuti, ipnotici e violenti del vecchio Cormac. Uscendone sbalestrati, tra rispetto devozionale e intontimento totale. Talento inattuale, Cormac viene da un altro mondo – questo, non si rende conto neppure del dio malvagio che gli dilania il cranio a morsi: crede sia un solletico, lauto languore invernale. Buona lettura.

***

Stella Maris

Black River Falls, Wisconsin

Fondata nel 1902

Dal 1950 struttura aconfessionale e casa di cura per pazienti psichiatrici.

Unità Residente, 27 ottobre 1972

Caso 72-118

La paziente è una donna ebrea/caucasica di vent’anni. Attraente, forse anoressica. Arrivata in questa struttura sei giorni fa, apparentemente in autobus e priva di bagagli. Ammissione firmata dal dottor Wegner. La paziente aveva in borsa un sacchetto di plastica pieno di banconote da cento dollari – per un totale di circa quarantamila – che ha tentato di consegnare alla receptionist. La paziente è una dottoranda in matematica presso l’Università di Chicago e ha ricevuto una diagnosi di schizofrenia paranoide con un’eziologia di lunga data di allucinazioni visive e uditive. È già stata in cura presso questa struttura in due precedenti occasioni.

*

I

Ciao. Sono il dottor Cohen.

Non sei il dottor Cohen che attendevo.

Sono costernato. Forse aspettavi il dottor Robert Cohen.

Sì. Ho l’impressione che qui i dottor Cohen non manchino.

Evidentemente no. Come stai? Ti senti bene?

Se sto bene?

Sì.

Mi trovo in un manicomio.

Sì. A parte ciò, intendo.

Da quant’è che lo fai?

Circa quattordici anni.

Registrerai tutto.  

Erano gli accordi. Giusto?

Credo di sì. Ma all’epoca pensavo tu fossi qualcun altro.

Non è così.

No. Ma va bene. Però vorrei ricordare che ho accettato di parlare soltanto. Niente terapie.

Certo. C’è qualcosa che vorresti chiedermi? Prima di iniziare.

Abbiamo già iniziato. Tipo, cosa?

Forse dovresti parlarmi un po’ di te.

Oh cielo.

No?

Dobbiamo basarci sui numeri?

Mi dispiace.

Va tutto bene. È solo che sono abbastanza ingenua da continuare a immaginare che sia possibile lanciare queste sortite su un vettore che non sia strappato in modo del tutto implausibile.

Che c’è? È il mio tono di voce?

Va tutto bene. Faremo a modo tuo. Che diavolo.

Bene. Non mi va di iniziare male. Ho solo pensato che avresti voluto dirmi qualcosa sul motivo per cui sei qui.

Non avevo alcun altro posto dove andare.

E perché qui?

Ci ero già stata.

Per quale motivo?

Perché non sono riuscita a entrare alla Coletta.

E perché la Coletta?

È lì che hanno mandato Rosemary Kennedy. Dopo che suo padre le ha fatto strizzare il cervello.

Hai qualche legame con la famiglia?

No. Non sapevo nulla di centri psichiatrici. Ho solo pensato che se era quello il posto che avevano scelto probabilmente si trattava di un bel posto. Ma in realtà penso che le abbiano torchiato il cervello da qualche altra parte.

Ti riferisci a una lobotomia.

Sì.

E perché gliel’avrebbero fatta?

Perché era strana e suo padre aveva paura che qualcuno la scopasse. Non era propriamente ciò che aveva in mente il vecchio.

È tutto vero?

Sì. Purtroppo.

Perché hai sentito il bisogno di dover andare da qualche parte?

Intendi questa volta?

Sì. Stavolta.

L’ho fatto e basta. Avevo appena lasciato l’Italia. Dove mio fratello era in coma. Continuavano a cercare di estorcermi il permesso per staccare la spina. A farmi firmare le carte. Così sono fuggita. Non sapevo cos’altro fare.

Era qualcosa a cui non riuscivi a costringerti? L’idea di recidergli ogni supporto vitale?

Sì.

È cerebralmente morto?

Non voglio parlare di mio fratello.

Certo, va bene. Raccontami solo perché è in coma.

È stato un incidente d’auto. Era un pilota di auto da corsa. Davvero, non mi va.

Va bene così. C’è qualcosa che vorresti chiedermi?

Riguardo a cosa?

Qualsiasi cosa. Anche di me, se vuoi. Posso chiamarti Alicia?

Vuoi che ti chieda di te.

Se ti va. Sì.

Tu insegni all’Università.

A Madison. Sì.

So dov’è l’Università. Ti vesti stranamente bene per essere un accademico.

Grazie.

Non era un complimento. Tu non sei uno psicanalista.

Sono uno psichiatra.

Non sei un medico.

Di fatto lo sono.

Cos’altro?

Sono sposato. Ho due figli. Mia moglie gestisce un programma per bambini per la città. Ho quarantatré anni.

Cosa fai quando nessuno ti controlla?

Nulla. E tu?

Fumo una sigaretta occasionale. Non bevo e non faccio uso di droghe. Né di farmaci. Non hai sigarette, suppongo.

No. Ma potrei procurartene.

Bene.

Cos’altro?

Intrattengo conversazioni clandestine con personaggi apparentemente inesistenti. Sono stata definita una teaser tu-sai-cosa, ma non credo sia vero. Pare che le persone mi trovino interessante, ma ho praticamente smesso di parlare con loro. Parlo con i miei compagni pazzi.

Non parli con altri matematici?

Non più. Solo con alcuni.

Perché?

È una lunga storia.

Ti occupi ancora di matematica?

No. Non di ciò che chiameresti matematica.

Di che tipo di matematica ti stavi occupando?

Topologia. Studio dei luoghi.

Ma non lo stai più facendo.

No. Mi sono distratta.

Cos’è che ti ha distratta?

La topologia. Lo studio dei luoghi.

Forse dovremmo accantonare per un attimo la matematica.

Sarebbe meglio. Ad ogni modo non avevo idea di cosa stessi facendo.

Sono sorpreso di sentirtelo dire. Non potevi farti aiutare da altri colleghi matematici?

No. Nemmeno loro ne avevano idea.

Sei certa che sia tutto ok con la registrazione?

Sicura. E se dico cazzo o qualcosa del genere? Penso di averlo fatto, in realtà. Anche adesso.

Non lo so. Penso che l’accordo non prevedesse alcun privilegio di editing.

Non sono molto seria.

Oh.

Alicia mi piace. Lo preferisco ad Henrietta.

Di nuovo non sei seria.

No.

Va bene. Non vuoi dirmi nient’altro di tuo fratello?

Inizi a ricordarmi il programma Eliza. No. Non. Voglio.

Il programma psichiatrico digitale.

Sì.

Va bene. Di cosa ti piacerebbe parlare?

Non lo so. Penso solo che dovrei essere più arrogante. Se hai davvero voglia di parlare con me, dovremmo tagliare un po’ di stronzate. Non pensi?

Penso di sì. Credo che tu abbia assolutamente ragione.

Come questa.

Pensi sia una stronzata?

È chiaramente una stronzata. Non c’è alcuna possibilità che tu possa pensare che io abbia ragione.

Vero.

E non dirmi che è vero.

Significa solo che sto cercando di capire il tuo punto di vista. C’è qualcuno con cui sei in contatto?

Intendi fra le persone reali?

Preferibilmente. Sì.

Non proprio.

Niente matematici? Nessuno dell’Università?

Pensavo che non avremmo più parlato di matematica.

Giusto.

Scrivo ancora a Grothendieck ma ha lasciato IHES e non risponde. Il che va bene. Non mi aspetto che lo faccia.

È un matematico?

Sì. O lo era.

Dove vive?

Non so dove abita adesso. Suppongo si trovi ancora in Francia.

Non è un nome molto francese.

Non è affatto un nome francese. Il nome di suo padre era Schapiro. Poi Tanaroff. Era privo di cittadinanza. Un bambino sfollato durante la guerra. Nascondersi. Correre per salvarsi la vita. Suo padre morì ad Auschwitz.

Dove spedisci le lettere?

A IHES. Non hai idea di chi sia lui, vero?

No.

Bene. Eravamo amici. Siamo amici. Ci accomuna un certo scetticismo.

Riguardo a cosa?

Riguardo alla matematica.

Non sono sicuro di seguirti.

È normale.

Sei scettica sulla matematica?

Sì.

Ti senti in qualche modo delusa dalla materia? Non riesco a capire come si possa essere scettici sull’intera disciplina.

Lo so.

Ma ne sei rimasta delusa.

Questo sarebbe un modo per dirlo.

Com’è accaduto?

Allora. In questo caso era guidata da un gruppo di malvagie equazioni differenziali alle derivate parziali, aberranti e del tutto dannose che avevano cospirato per usurpare la propria realtà dai circuiti cerebrali del loro creatore in maniera non troppo diversa dalla ribellione descritta da Milton e per sventolare la propria bandiera come uno stato indipendente indecifrabile da Dio e dagli uomini. Qualcosa del genere.

Pensi che le mie domande siano ingenue.

Assolutamente. No. Non lo penso. Una domanda non è mai una sconfitta.

È un matematico importante, il tuo amico?

Grothendieck. È ampiamente considerato come il più importante matematico del ventesimo secolo. Se ignori il fatto che Hilbert, Poincaré, Dedekind e Cantor sono vissuti tutti nel ventesimo secolo. Cosa che dovresti, dal momento che il loro lavoro principale è stato svolto nel diciannovesimo. E non sono una grande fan di von Neumann.

Purtroppo non conosco neanche uno di quei nomi.

Lo so. È tutto normale. Beh, non proprio. Ma va bene così.

Grothendieck.

Sì.

Lavoravi con lui?

Non so se si possa definire lavoro. Parlavamo parecchio. Veniva all’Istituto il martedì. Ho passato molto tempo a casa sua. A mangiare con la sua famiglia. Poi le conversazioni andavano avanti fino a notte fonda. In un certo senso eravamo insieme nello stesso manicomio. L’Istituto era stato fondato per lui e per un altro matematico di nome Dieudonné da un ricco russo di nome Motchane – se questo era il suo vero nome – che era matto da legare. È stato modellato sulla base dello IAS. A Princeton. Oppenheimer era uno dei consiglieri. Sono stata lì per un anno, ma a quel tempo i fondi avevano cominciato a prosciugarsi. Alla fine non ho mai ricevuto tutti i soldi della mia borsa di studio. Lì ero l’unica donna. All’inizio pensavano che lavorassi in cucina.

Presumo non sia stata una bella esperienza.

È stato fantastico. Anche se a Chicago ho avuto un mucchio di problemi. Ma Grothendieck è persona che sa ascoltare ogni parola. Annuendo e scarabocchiando sul suo taccuino. Parlando. Ponendoti le domande che non riescono ad affiorare alla superficie della tua coscienza.

Quanti anni avevi?

Diciassette.

E la tua età non era un problema?

Non se l’è mai posto.

Perché non scrive?

Principalmente perché ha abbandonato la matematica.

Come te.

Sì. Come me.

È stato difficile?

Molto. Penso che forse sia più difficile perdere una sola cosa che perdere tutto.

Una cosa potrebbe essere tutto.

Esattamente. La matematica era tutto ciò che avevamo. Non è che l’abbiamo abbandonata per dedicarci al golf. Ora viene invitato a parlare ai seminari e quando si presenta avanza dibattiti sull’ambiente o se la prende con i guerrafondai. I suoi genitori erano attivisti politici. È molto devoto alla loro memoria. Ha un disegno a matita di suo padre sulla scrivania e quella che credo sia una maschera mortuaria di sua madre. Ma la verità è che lo hanno abbandonato da bambino per inseguire il loro sogno ideologico di un mondo che non sarebbe mai cambiato e la mia ipotesi è che si sia sentito obbligato a sostenerne la causa per giustificare il loro tradimento nei suoi confronti. È sposato e ha dei figli. E ho paura che farà la stessa cosa.

Stai piangendo?

Mi dispiace.

Però ha rinunciato a tutto.

Sì.

Come mai?

I suoi amici credono che sia diventato sempre più instabile mentalmente.

Ed è vero?

È complicato. Si finisce per parlare di fede. Della natura della realtà. Ad ogni modo, alcuni dei miei colleghi matematici si divertirebbero a sentir parlare di abbandono della matematica presentato come prova di instabilità mentale.

Quanti anni ha?

Quarantaquattro.

E tu sei andata in Francia per accettare una borsa di studio presso il suo Istituto.

Sono andata in Francia per stare con mio fratello. Non sapevo se sarebbe tornato. Ma sì. Volevo entrare all’Istituto. Lì stavano facendo ciò che desideravo fare.

Ti eri già laureata all’Università di Chicago.

Sì.

A sedici anni.

Sì. Ero nel programma di dottorato. Lo sono ancora, suppongo. Non avevo vita, davvero. Non facevo altro che lavorare.

E se non fossi diventata una matematica cosa avresti voluto essere?

Morta.

Cormac McCarthy

*La traduzione e la cura del testo sono di Fabrizia Sabbatini

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