30 Agosto 2024

“Un sentiero sull’arcobaleno”. I canti dei nativi americani

Mary Austin scriveva i suoi libri sugli alberi. Si era fatta costruire una casa da un eccentrico architetto di San Francisco, l’aveva ribattezzata “Wick-i-up”. La casa si sviluppava su due alberi dal vasto tronco; era il 1906 e quando Mary saliva lassù non ammetteva che la interrompessero. Scrivere a mezz’aria: come i boa, come i giaguari. Mary aveva gli occhi inspessiti dalla determinazione, parevano falene. A Carmel-by-the-Sea aveva conosciuto Jack London, Ambrose Bierce, Siclair Lewis e quella vasta comunità di scrittori; nel 1903 aveva pubblicato il suo libro di maggior successo, The Land of Little Rain, ambientato nel deserto del Mojave, che aveva girato in lungo e in largo.

Nata in Illinois, femminista, la affascinavano i miti dei nativi americani, di cui difendeva ricchezza culturale e diritti. Nel 1918 accettò la proposta dello scrittore George William Cronyn, di curare una “antologia di canzoni e inni degli indiani del Nord America”. L’antologia fu pubblicata a New York, da Boni and Liveright Inc., con un titolo suggestivo, The Path on the Rainbow; la poesia in esergo, Early Moon, è tradotta con efficacia da Carl Sandburg, il grande poeta, futuro premio Pulitzer – sua così:

“Neonata luna, sembri una canoa, una canoa papoose, d’argento, che naviga verso Ovest.

Un anello di volpi argentate, una nebbia di argentate volpi siede attorno a questa luna indiana.

Stella gialla per il corsiero, liane di stelle blu per i corridori: voi altri, osservate.

O volpi, neonata luna, corridori, siate memoria infuocata, la bianca scrittura che inciderà i sogni del Rosso Uomo.

Chi è acquattato, braccia e gambe incrociate, e ha aggiogato il suo sguardo alla luna, al muso delle stelle, all’Ovest?

Chi sono i fantasmi del Mississippi, dalla fronte color rame, che vanno su nervosi destrieri a notte? Niente briglie al collo dei cavalli, ma amorevoli braccia: cavalcano su vecchi sentieri, di notte.

Perché vengono a noi quando le volpi argentate siedono intorno alla luna mattutina, papoose d’argento, che vaga verso Ovest?”

Nella lunga introduzione ai canti dei nativi – di cui qui si dà conto, traducendo un repertorio – Mary Austin scrisse, in sostanza, che la poesia è sorgiva in quegli uomini, che il canto dà sostanza al loro mondo. I nativi vivono nel canto (“Più volte, nelle alte Sierras, ho osservato il mio aiutante indiano che si allontanava, a una certa ora del giorno, ruotando ritmicamente i piedi, canticchiando tra sé. Mi disse che era una canzone che aveva composto lui, da intonare insieme alla moglie, nei giorni del loro distacco… La poesia è il sentiero sull’arcobaleno su cui l’anima ascende. Gli stregoni cantano per curare gli infermi, in tempo di guerra le mogli si radunano attorno alla donna del capo e cantano per impetrare il successo dei mariti”).

Mary Austin – complice Rousseau mescolato alla mescalina Emerson – idealizza, va da sé, questo popolo di poeti, riconoscendo nei nativi lo stigma dell’era omerica. “L’arte dei nativi, quando iniziò a essere oggetto d’indagine da parte della cultura europea, aveva raggiunto un livello simile a quello dei Greci di età omerica. La lirica era sviluppata, l’epica era solida, il dramma si stava sviluppando secondo i rituali della danza e del fuoco sacrificale. Poesia e dramma non erano ancora separati dal canto: tutta l’arte, almeno in parte, sorgeva dal Grande Mistero. Il canto era intriso di magia, le canzoni avevano un potere magico. Per questo, erano legate a specifici movimenti del corpo. Parola, melodia, danza erano mescolate come l’acqua del fiume, i suoi affluenti, la velocità del moto”.

Così composti, i canti dei nativi rischiano di sembrare le fonti gnostiche di Walt Whitman: ma un conto è l’inno rituale – grazie a cui gli alberi si muovono, i corvi parlano e lo sciamano va, autenticamente, a saggiare l’ira dei morti – altro il gesto culturale, il ‘libro’, la lettura attorno al fuoco compiuta dall’inclito, munifico europeo. Svuotate di potenza magica, quelle parole perdono brio, perdono quota d’aria: possiamo leggerle come leggiamo i poeti di epoca T’ang, i canti delle geishe, i club parnassiani parigini. Senza origine né direzione, quei testi, inevitabilmente, ci appaiono come ispirazioni lunari, spaiate, nel glutine di un frainteso. Allo stesso modo – credo – rischiamo di leggere i Salmi come referti clinici di un’anima in pena, entità d’abisso, e non per quello che sono: pilastri della liturgia, implorazione della calata di Dio su di noi, opera di guarigione, guerra contro il male. Poesia è altro – o non è nient’altro che questo: speleologia nel mistero, fattura, frattura.

Un tempo, ad ogni modo, le ‘poesie’ dei nativi occupavano un particolare – e particolarmente florido – ambito dell’editoria italiana. Di recente, La Vita Felice ha ripubblicato i Canti indiani del Nord America raccolti da Aldo Celli e stampati da Fussi nel 1959. Nel 1998 una edizione tascabile di 57 canti Navajo, a cura di Giuseppe Strazzeri, comparve nei mitici “Miti Poesia”, tra 41 poesie di Montale, 51 poesie di Emily Dickinson e 25 poesie di Wislawa Szymborska; il libretto costava 4900 lire. L’esperimento più ardito – per sfoggio di sfrontato ingegno lirico – comunque, lo ha percorso Franco Meli con Canti e narrazioni degli Indiani d’America, era il 1978, stampava Guanda, leggere per credere.

Quanto al resto, per inquadrare che significato ha il canto nella vita ‘religiosa’ – dunque: totale – dei nativi, occorre leggere, per lo meno, Riti e misteri degli indiani d’America (a cura di Enrico Comba, Utet, 2001). In questo caso, la messe di testi, vastissima, non indulge sul pedale lirico, dacché il gesto – l’atto magico – supera l’incanto retorico.

“Le attività propriamente religiose non sono un aspetto separato e isolato della vita sociale e individuale, ma coinvolgono vari aspetti della vita quotidiana e sono a volte difficilmente isolabili da contesti diversi: la caccia, l’agricoltura, la preparazione di utensili, l’abbattimento di un albero, la costruzione di un edificio, sono spesso attività inestricabilmente connesse con pratiche di ordine religioso e rituale… Il ‘potere invisibile’ si manifesta in un ambito dell’esperienza umana che non si distingue in modo netto e reciso da quello delle altre attività e modalità di azione dell’essere umano: il contesto più consueto in cui è possibile fare esperienza di un incontro con questo potere è costituito da quello che potremmo chiamare ‘il mondo della natura’”.

Enrico Comba

Dunque: vivere nel canto, la cronaca del nostro stare al mondo.

Certo, Mary Austin come Fenimore Cooper e Edward S. Curtis, come molta, non per forza fasulla, cinematografia americana (Corvo rosso non avrai il mio scalpo!; Piccolo grande uomo; Balla coi lupi; L’ultimo dei Mohicani), hanno tentato di ricostruire un’immagine perduta (spesso fittizia, fittavola dei propri demoni) dei nativi – scomparsa in parte perfino a loro stessi. In ciò, forse, non è tanto il desiderio di scoprire l’infanzia del mondo, ma la nostra: l’epoca, appunto, in cui vestivamo la pelle del bisonte e cavalcavamo il puma, ogni sogno era autentico, ogni voce una chiamata, e a nostro ordine, i topi diventavano leoni, il letto un elefante che ci scortava nel giardino segreto. Buona lettura.

**

Irochesi

Canto delle oscurità

Veglia nell’oscuro
venite, ascoltate
gettatevi nel magico andare:

ora il cielo è vuoto
di stelle, il sole
bruca altrove.

Vieni, perditi:
non è amica la notte
ha chiuso le palpebre.

Che la luna ci dimentichi
ora arriva l’oscurità.

*

L’aquila

Cade la rugiada
e nessuno mi è vicino.

Dove sei, piccolo caprimulgo
perché mi riduco ora
a chiamarti, a chiamarti?

Ha urlato tutta la notte
con le grandi ali spiegate
afferrando l’oscurità
con gli artigli: sento

l’aquila che tira la coperta
da Est, mentre tutto dorme.

Vola veloce trascinando il sole bue
si apposta sulla riva del cielo orientale.

Caprimulgo, povero caprimulgo.
Non ti seguo più: quando la notte
sorgerà ancora, mi chiederai
di seguirti?

*

Winnebago

Canto rituale

Lo Spirito mi ha detto:

“Sogna, sogna ancora
e dimmi – e sognati!”

Ho cercato la solitudine
perché mi fosse svelata
la saggezza.

Dice lo Spirito:

“Sogna, sogna ancora
e dimmi – e sognati!”

Che il mondo intero
presti ascolto: ora sono
uno sciamano.

Per questo lo Spirito
dice: “Dimmi chi sono
                   sognami!”

Tutto mi è stato rivelato
dal principio – tutto
ora mi è noto: ascoltatemi!

Per questo lo Spirito
dice: “Dimmi chi sono
                      sognami!”

**

Il vento mi trascina in cielo
il vento mi trascina per il cosmo.
Il mio corpo è qui, nella valle –
ma il vento mi trascina in cielo.

*

Paiute

Canzoni per la vita che ritorna

Vento scuote i salici
               vento scrolla l’erba

Alti crescono i pioppi
              alti crescono e verdi

Lenta antilope
magra antilope
rotoli sulla terra

Nebbia che snebbia
fulmine che fulmina
turbine che turbina

Scivola la terra
sulla neve – sulla neve
la terra scivola

Genera polvere il tornado
genera polvere la montagna
montagne di polvere ovunque

La roccia parla
              le pietre ululano
                            le montagne dialogano

*

Pueblo

Preghiera per la pioggia

Navigate, nuvole – nuvole
vaste come pianure
venite, lavate la terra.

Il sole abbraccia la terra
per fecondarla. Luna
Leone del Nord
Orso dell’Ovest
Tasso del Sud
Lupo dell’Est

Aquila dei cieli
Toporagno della terra
Vecchio eroe di guerra
Guerrieri delle sei montagne del mondo

Intercedete con il popolo
delle nuvole per noi
che agguantino la terra.

Ciotola di nubi
              vaso d’acqua
                            dateci il vostro cuore
che la terra sia annaffiata.

Percorro l’antica strada
che ha tracciato il vomere canto.

Donna con perle bianche
che vivi dove muore il sole
Madre Tifone
Padre Tuono
latori di salutari sogni

Donna gialla del Nord
Donna blu dell’Ovest
Donna rossa del Sud
Donna bianca dell’Est
Donna albina allo Zenit
Donna nera al Nadir

Intercedete per noi
presso il sacro popolo delle nubi.

*

Shoshone

L’amica del cuore

Mirabile è la bianca
stella del crepuscolo
che dardeggia in cielo
alla fine del giorno

Ma è più bella
l’amica del mio cuore
quella che tra tutte
mi è cara

Superba è la bianca stella
del crepuscolo e la luna
che vaga fino alla fine del cielo:

ma soltanto lei è degna
di essere amata
di conficcarsi nel mio cuore.

*

Festa dei lupi

Oh, oh o-o
Venite, ombre – ombre accorrete

Oh, oh o-o
venite ombre, fantasmi notturni
venite e danzate

Oh, oh o-o
venute lupi
cavalcate l’ululato

Venite corvi
becco che dilania
vieni!

Oh, oh o-o
ascoltate il ghigno delle ossa
guardate la mia nudità

Lupi, corvi della terra

Ammirate la cosa che si spoglia

*

Inno dell’amante

Canta l’oceano la tempesta canta
tamburi sfregiano la notte
tamburi sulle tracce dell’amore battono nell’oscurità
ho il vento nei polsi, marea che mi spezza
il grido è la mia unica nota
trafigge il cielo come una stella su di te

Gooltha dai seni potenti
vengo dal fiume, ho superato le colline
e il mare si sbriciola sulle rocce –
Acque nelle Acque, monotona forza del canto guerriero

Ma la mia voce
ha il suono di una zolla
mentre la tua voce è dolce all’orecchio del cacciatore

Sei il falco stridulo che supera il vento:
              il tuo bacio fende il buio
                            la luna ha origine dai tuoi occhi

Durante il giorno, i tuoni sembrano
le linee della risacca: spumeggiano di luce

I venti hanno il passo del cacciatore
sono rapidi e non lasciano traccia:

mia amata semina la risata
              sgrana la luce dagli occhi
rosso trionfa l’amore sulla foresta
come quando si ammazza un alce

Io sorgo dal tuo cuore
le ali fiammeggiano come il sole
dammi la tua mano, entriamo nella Buona Terra
corri con i palmi suoi seni, con le cosce che lampeggiano:
la riva è bianca, il mare intona un inno
i tamburi hanno preparato l’alba per noi

Gruppo MAGOG