Mary Austin scriveva i suoi libri sugli alberi. Si era fatta costruire una casa da un eccentrico architetto di San Francisco, l’aveva ribattezzata “Wick-i-up”. La casa si sviluppava su due alberi dal vasto tronco; era il 1906 e quando Mary saliva lassù non ammetteva che la interrompessero. Scrivere a mezz’aria: come i boa, come i giaguari. Mary aveva gli occhi inspessiti dalla determinazione, parevano falene. A Carmel-by-the-Sea aveva conosciuto Jack London, Ambrose Bierce, Siclair Lewis e quella vasta comunità di scrittori; nel 1903 aveva pubblicato il suo libro di maggior successo, The Land of Little Rain, ambientato nel deserto del Mojave, che aveva girato in lungo e in largo.
Nata in Illinois, femminista, la affascinavano i miti dei nativi americani, di cui difendeva ricchezza culturale e diritti. Nel 1918 accettò la proposta dello scrittore George William Cronyn, di curare una “antologia di canzoni e inni degli indiani del Nord America”. L’antologia fu pubblicata a New York, da Boni and Liveright Inc., con un titolo suggestivo, The Path on the Rainbow; la poesia in esergo, Early Moon, è tradotta con efficacia da Carl Sandburg, il grande poeta, futuro premio Pulitzer – sua così:
“Neonata luna, sembri una canoa, una canoa papoose, d’argento, che naviga verso Ovest.
Un anello di volpi argentate, una nebbia di argentate volpi siede attorno a questa luna indiana.
Stella gialla per il corsiero, liane di stelle blu per i corridori: voi altri, osservate.
O volpi, neonata luna, corridori, siate memoria infuocata, la bianca scrittura che inciderà i sogni del Rosso Uomo.
Chi è acquattato, braccia e gambe incrociate, e ha aggiogato il suo sguardo alla luna, al muso delle stelle, all’Ovest?
Chi sono i fantasmi del Mississippi, dalla fronte color rame, che vanno su nervosi destrieri a notte? Niente briglie al collo dei cavalli, ma amorevoli braccia: cavalcano su vecchi sentieri, di notte.
Perché vengono a noi quando le volpi argentate siedono intorno alla luna mattutina, papoose d’argento, che vaga verso Ovest?”
Nella lunga introduzione ai canti dei nativi – di cui qui si dà conto, traducendo un repertorio – Mary Austin scrisse, in sostanza, che la poesia è sorgiva in quegli uomini, che il canto dà sostanza al loro mondo. I nativi vivono nel canto (“Più volte, nelle alte Sierras, ho osservato il mio aiutante indiano che si allontanava, a una certa ora del giorno, ruotando ritmicamente i piedi, canticchiando tra sé. Mi disse che era una canzone che aveva composto lui, da intonare insieme alla moglie, nei giorni del loro distacco… La poesia è il sentiero sull’arcobaleno su cui l’anima ascende. Gli stregoni cantano per curare gli infermi, in tempo di guerra le mogli si radunano attorno alla donna del capo e cantano per impetrare il successo dei mariti”).
Mary Austin – complice Rousseau mescolato alla mescalina Emerson – idealizza, va da sé, questo popolo di poeti, riconoscendo nei nativi lo stigma dell’era omerica. “L’arte dei nativi, quando iniziò a essere oggetto d’indagine da parte della cultura europea, aveva raggiunto un livello simile a quello dei Greci di età omerica. La lirica era sviluppata, l’epica era solida, il dramma si stava sviluppando secondo i rituali della danza e del fuoco sacrificale. Poesia e dramma non erano ancora separati dal canto: tutta l’arte, almeno in parte, sorgeva dal Grande Mistero. Il canto era intriso di magia, le canzoni avevano un potere magico. Per questo, erano legate a specifici movimenti del corpo. Parola, melodia, danza erano mescolate come l’acqua del fiume, i suoi affluenti, la velocità del moto”.
Così composti, i canti dei nativi rischiano di sembrare le fonti gnostiche di Walt Whitman: ma un conto è l’inno rituale – grazie a cui gli alberi si muovono, i corvi parlano e lo sciamano va, autenticamente, a saggiare l’ira dei morti – altro il gesto culturale, il ‘libro’, la lettura attorno al fuoco compiuta dall’inclito, munifico europeo. Svuotate di potenza magica, quelle parole perdono brio, perdono quota d’aria: possiamo leggerle come leggiamo i poeti di epoca T’ang, i canti delle geishe, i club parnassiani parigini. Senza origine né direzione, quei testi, inevitabilmente, ci appaiono come ispirazioni lunari, spaiate, nel glutine di un frainteso. Allo stesso modo – credo – rischiamo di leggere i Salmi come referti clinici di un’anima in pena, entità d’abisso, e non per quello che sono: pilastri della liturgia, implorazione della calata di Dio su di noi, opera di guarigione, guerra contro il male. Poesia è altro – o non è nient’altro che questo: speleologia nel mistero, fattura, frattura.
Un tempo, ad ogni modo, le ‘poesie’ dei nativi occupavano un particolare – e particolarmente florido – ambito dell’editoria italiana. Di recente, La Vita Felice ha ripubblicato i Canti indiani del Nord America raccolti da Aldo Celli e stampati da Fussi nel 1959. Nel 1998 una edizione tascabile di 57 canti Navajo, a cura di Giuseppe Strazzeri, comparve nei mitici “Miti Poesia”, tra 41 poesie di Montale, 51 poesie di Emily Dickinson e 25 poesie di Wislawa Szymborska; il libretto costava 4900 lire. L’esperimento più ardito – per sfoggio di sfrontato ingegno lirico – comunque, lo ha percorso Franco Meli con Canti e narrazioni degli Indiani d’America, era il 1978, stampava Guanda, leggere per credere.
Quanto al resto, per inquadrare che significato ha il canto nella vita ‘religiosa’ – dunque: totale – dei nativi, occorre leggere, per lo meno, Riti e misteri degli indiani d’America (a cura di Enrico Comba, Utet, 2001). In questo caso, la messe di testi, vastissima, non indulge sul pedale lirico, dacché il gesto – l’atto magico – supera l’incanto retorico.
“Le attività propriamente religiose non sono un aspetto separato e isolato della vita sociale e individuale, ma coinvolgono vari aspetti della vita quotidiana e sono a volte difficilmente isolabili da contesti diversi: la caccia, l’agricoltura, la preparazione di utensili, l’abbattimento di un albero, la costruzione di un edificio, sono spesso attività inestricabilmente connesse con pratiche di ordine religioso e rituale… Il ‘potere invisibile’ si manifesta in un ambito dell’esperienza umana che non si distingue in modo netto e reciso da quello delle altre attività e modalità di azione dell’essere umano: il contesto più consueto in cui è possibile fare esperienza di un incontro con questo potere è costituito da quello che potremmo chiamare ‘il mondo della natura’”.
Enrico Comba
Dunque: vivere nel canto, la cronaca del nostro stare al mondo.
Certo, Mary Austin come Fenimore Cooper e Edward S. Curtis, come molta, non per forza fasulla, cinematografia americana (Corvo rosso non avrai il mio scalpo!; Piccolo grande uomo; Balla coi lupi; L’ultimo dei Mohicani), hanno tentato di ricostruire un’immagine perduta (spesso fittizia, fittavola dei propri demoni) dei nativi – scomparsa in parte perfino a loro stessi. In ciò, forse, non è tanto il desiderio di scoprire l’infanzia del mondo, ma la nostra: l’epoca, appunto, in cui vestivamo la pelle del bisonte e cavalcavamo il puma, ogni sogno era autentico, ogni voce una chiamata, e a nostro ordine, i topi diventavano leoni, il letto un elefante che ci scortava nel giardino segreto. Buona lettura.
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Irochesi
Canto delle oscurità
Veglia nell’oscuro venite, ascoltate gettatevi nel magico andare:
ora il cielo è vuoto di stelle, il sole bruca altrove.
Vieni, perditi: non è amica la notte ha chiuso le palpebre.
Che la luna ci dimentichi ora arriva l’oscurità.
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L’aquila
Cade la rugiada e nessuno mi è vicino.
Dove sei, piccolo caprimulgo perché mi riduco ora a chiamarti, a chiamarti?
Ha urlato tutta la notte con le grandi ali spiegate afferrando l’oscurità con gli artigli: sento
l’aquila che tira la coperta da Est, mentre tutto dorme.
Vola veloce trascinando il sole bue si apposta sulla riva del cielo orientale.
Caprimulgo, povero caprimulgo. Non ti seguo più: quando la notte sorgerà ancora, mi chiederai di seguirti?
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Winnebago
Canto rituale
Lo Spirito mi ha detto:
“Sogna, sogna ancora e dimmi – e sognati!”
Ho cercato la solitudine perché mi fosse svelata la saggezza.
Dice lo Spirito:
“Sogna, sogna ancora e dimmi – e sognati!”
Che il mondo intero presti ascolto: ora sono uno sciamano.
Per questo lo Spirito dice: “Dimmi chi sono sognami!”
Tutto mi è stato rivelato dal principio – tutto ora mi è noto: ascoltatemi!
Per questo lo Spirito dice: “Dimmi chi sono sognami!”
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Il vento mi trascina in cielo il vento mi trascina per il cosmo. Il mio corpo è qui, nella valle – ma il vento mi trascina in cielo.
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Paiute
Canzoni per la vita che ritorna
Vento scuote i salici vento scrolla l’erba
Alti crescono i pioppi alti crescono e verdi
Lenta antilope magra antilope rotoli sulla terra
Nebbia che snebbia fulmine che fulmina turbine che turbina
Scivola la terra sulla neve – sulla neve la terra scivola
Genera polvere il tornado genera polvere la montagna montagne di polvere ovunque
La roccia parla le pietre ululano le montagne dialogano
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Pueblo
Preghiera per la pioggia
Navigate, nuvole – nuvole vaste come pianure venite, lavate la terra.
Il sole abbraccia la terra per fecondarla. Luna Leone del Nord Orso dell’Ovest Tasso del Sud Lupo dell’Est
Aquila dei cieli Toporagno della terra Vecchio eroe di guerra Guerrieri delle sei montagne del mondo
Intercedete con il popolo delle nuvole per noi che agguantino la terra.
Ciotola di nubi vaso d’acqua dateci il vostro cuore che la terra sia annaffiata.
Percorro l’antica strada che ha tracciato il vomere canto.
Donna con perle bianche che vivi dove muore il sole Madre Tifone Padre Tuono latori di salutari sogni
Donna gialla del Nord Donna blu dell’Ovest Donna rossa del Sud Donna bianca dell’Est Donna albina allo Zenit Donna nera al Nadir
Intercedete per noi presso il sacro popolo delle nubi.
*
Shoshone
L’amica del cuore
Mirabile è la bianca stella del crepuscolo che dardeggia in cielo alla fine del giorno
Ma è più bella l’amica del mio cuore quella che tra tutte mi è cara
Superba è la bianca stella del crepuscolo e la luna che vaga fino alla fine del cielo:
ma soltanto lei è degna di essere amata di conficcarsi nel mio cuore.
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Festa dei lupi
Oh, oh o-o Venite, ombre – ombre accorrete
Oh, oh o-o venite ombre, fantasmi notturni venite e danzate
Oh, oh o-o venute lupi cavalcate l’ululato
Venite corvi becco che dilania vieni!
Oh, oh o-o ascoltate il ghigno delle ossa guardate la mia nudità
Lupi, corvi della terra
Ammirate la cosa che si spoglia
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Inno dell’amante
Canta l’oceano la tempesta canta tamburi sfregiano la notte tamburi sulle tracce dell’amore battono nell’oscurità ho il vento nei polsi, marea che mi spezza il grido è la mia unica nota trafigge il cielo come una stella su di te
Gooltha dai seni potenti vengo dal fiume, ho superato le colline e il mare si sbriciola sulle rocce – Acque nelle Acque, monotona forza del canto guerriero
Ma la mia voce ha il suono di una zolla mentre la tua voce è dolce all’orecchio del cacciatore
Sei il falco stridulo che supera il vento: il tuo bacio fende il buio la luna ha origine dai tuoi occhi
Durante il giorno, i tuoni sembrano le linee della risacca: spumeggiano di luce
I venti hanno il passo del cacciatore sono rapidi e non lasciano traccia:
mia amata semina la risata sgrana la luce dagli occhi rosso trionfa l’amore sulla foresta come quando si ammazza un alce
Io sorgo dal tuo cuore le ali fiammeggiano come il sole dammi la tua mano, entriamo nella Buona Terra corri con i palmi suoi seni, con le cosce che lampeggiano: la riva è bianca, il mare intona un inno i tamburi hanno preparato l’alba per noi