L’incognita, il romanzo il cui titolo rimanda a quella “misura sconosciuta” (nell’originale tedesco Die unbekannte Größe) intesa nel contesto matematico come “variabile di cui non si conosce il valore e che si vuole determinare affinché la formula o il sistema di formule risulti proposizione vera” (Enciclopedia Treccani) fu pubblicato dall’austriaco Hermann Broch nel novembre 1933 presso il prestigioso editore berlinese S. Fischer, ed è appena stata pubblicato ora dall’editore Carbonio (H. Broch, L’incognita, a cura di L. Crescenzi).
Smessi i panni dell’imprenditore tessile nel 1927, da allora Broch s’era dedicato allo studio della fisica, della filosofia e della matematica presso l’università di Vienna e alla scrittura narrativa. Pubblicata la trilogia I sonnambuli tra il 1930 e il 1932, per quanto testo non del tutto elaborato nella forma da lui immaginata, il successo arrivò proprio con L’incognita. Se i romanzi della trilogia, aspiranti ambiziosamente a ricostruire la progressiva corruzione dei valori nella società guglielmina, erano appesantiti da lunghi inserti filosofico-riflessivi, in questa che è più novella che romanzo, la riflessione è ben sviluppata attraverso i dialoghi e l’uso molto frequente di metafore. Un’opera riuscita, anche nel senso che, come rimarca Crescenzi nell’Introduzione, “prosegue perfettamente la rappresentazione dell’interiorità moderna”, l’oggetto della trilogia I sonnambuli.
Richard Hieck, il protagonista, è un giovane matematico interessato alla teoria degli insiemi cui Broch affida il proprio desiderio di “svelare i fondamenti irrazionali di una vita interamente dedita alla più razionale delle conoscenze” (la matematica, appunto), così l’austriaco all’amico Daniel Brody. Di seguito, dal romanzo, un tentativo di descrizione del “razioide”, quella “confusa zona d’ombra che accompagna e genera la scelta razionale” (Crescenzi), quando Broch descrive il compiersi in Richard, davanti a un “paesaggio cristallino”, di un “pezzo di illuminazione creatrice”: “era un paesaggio luminoso e fatto di stelle in cui gli insiemi numerici non erano visibili come tali, ma in cui era così facile inserirli che il paesaggio dischiuso e pian piano riempito da quei numeri poteva esser preso da un movimento logico, rasserenante e al tempo stesso simile a quello di una giostra.” Questo è “il prodigio della matematica”, come lo chiama lo stesso Broch.
Studiata in relazione al tema del “razioide”, la matematica fu oggetto dell’interesse di un altro grande narratore del Novecento austriaco, quel Robert Musil che con Broch condivise anche lo sperimentalismo narrativo (nel 1930 pubblicò il primo volume de L’uomo senza qualità, rimasto poi incompiuto), come anche l’interesse per la filosofia e per la psicologia. Ricordare Musil ci permette di tornare su un suo breve saggio non firmato pubblicato sulla rivista «Der Lose Vogel» nell’aprile-maggio 1913 intitolato L’uomo matematico. Poche pagine, ma letto parallelamente a L’incognita, nella descrizione musiliana troviamo in nuce “il volto autentico” della scienza matematica, lo stesso volto che Broch disegnerà per il giovane Richard. Quella dell’uomo matematico, scriveva Musil, “è una dedizione totale, una passione.”. “La matematica”, aggiungeva, “è un’ostentazione di audacia della pura ratio”. “I pionieri della matematica”, aggiunge, “ricavarono da certi principi delle idee utilizzabili. Da quelle nacquero deduzioni, tipi di calcolo, risultati. I fisici ci misero su le mani e ne ricavarono nuovi risultati. Alla fine arrivarono i tecnici, accontentandosi spesso di questi risultati, ci fecero su dei nuovi calcoli e crearono macchine. Ma ad un tratto, quando ogni cosa era stata realizzata per il meglio, saltano su i matematici – quelli che si lambiccano il cervello più vicino alle fondamenta – e si accorgono che nelle basi di tutta la faccenda c’è qualcosa che non torna”.
Il prendere atto musiliano di “qualcosa che non torna” è certamente prossimo al tentativo brochiano di svelamento dei “fondamenti irrazionali”. Da qui l’ipotesi che l’autore de L’incognita si sia in qualche modo “ispirato” al conciso eppure sostanzioso saggio di Musil. Del resto, al di là degli studi universitari intrapresi dopo il 1927, è nelle prove poetiche di Broch, mai prese molto sul serio dalla critica (e ignorate da Crescenzi), che scopriamo il componimento intitolato Mysterium matematico, pubblicato sulla rivista «Der Brenner» nel novembre 1913, dunque pochi mesi dopo il musiliano L’uomo matematico:
Mysterium matematico
Misurato si spalanca l’inconscio
e nell’infinito svanisce il mondo.
Avverto l’emissione della sentenza;
stupito seguo il suo corso.
Poggiante su di un concetto solitario
s’eleva ripido un edificio:
e si connette all’ammasso di stelle
illuminato dalla lontana divinità.
Vincolato l’io deve riconoscere
ch’esso contiene la verità solo nella forma
e in questa fredda fiamma desidera ardere.
Certo innumerevoli sono anche le manifestazioni della forma,
nulla le può separare dall’unità.
Appare nella profondità più profonda: ben ponderato il mondo.
Hermann Broch
In H. Broch, La verità solo nella forma, a cura di V. Punzi, De Piante Editore 2021