Lo dice Brodskij che “poeta” e “vita” sono “quasi sinonimi nella loro nobile indeterminatezza”: perciò la morte di un poeta ci colpisce come una sorta di sottrazione cosmica. L’opera sopravvive, sì, all’autore, ma la sua scomparsa dal mondo si fa comunque cogliere come una cesura in quelle “fiale di tempo”, che gli hanno consentito di scrivere.
Tra i pochi presenti al funerale di Auden, il 29 settembre 1973 in Austria c’è anche Brodskij: da Auden è stato accolto dopo l’espulsione dall’URSS, da Auden è stato aiutato a insegnare presso le università americane dopo che quell’“Orazio transatlantico” gli è entrato dentro come le parole nuove che ha imparato in inglese. Per Auden, Brodskij ha iniziato a scrivere in inglese, per cercare di ritrovarsi più vicino all’uomo che considera la più grande mente del ventesimo secolo.
E quando Auden l’ha portato in Inghilterra, dopo aver attraversato una Londra notturna da incantesimo, a ospitarli in casa loro ci sono stati Spender e sua moglie Natasha: lui dall’accento e i modi oxbridge perfetti, scintillii negli occhi grigio-azzurri, lei pianista di talento, bellissima. Con Spender l’esule russo si riconosce subito in un’affinità eclatante e un ineludibile denominatore comune: la venerazione per Auden ha la forza di uno schianto. Poi il riconoscimento dell’effimero, della natura spesso lievemente assurda della realtà e l’appartenenza alla stessa categoria di sognatori, avidi di ideali, cocciuti inseguitori di comete. Ne deriveranno ventitré anni di amicizia, ammirazione, riconoscenza:
“quanto penso e faccio è talmente intrecciato nella mia mente con la vita e i versi di Stephen Spender e Wystan Auden…”.
Nel triangolo ideale Auden occupa il vertice: insieme ad altri ormai leggenda, l’Auden group – Cecil Day-Lewes, Louis MacNeice e Christopher Isherwood –, formano “una famiglia mentale”. Di Auden tutti ricordano il low profile esistenziale, l’intelligenza schiacciante, l’acuta essenzialità della sua mansuetudine che mai era una risposta, bensì un varco di entrata nel mondo dello spirito.
Per Brodskij, come per Spender, l’incontro è un marchio che li segnerà a vita: l’altezza poetica e l’atteggiamento mentale di Auden verso la poesia ha la verticalità del monaco nella sua cella, la lucentezza del dio che reclama il sacrificio del discepolo. Nel segno audeniano, la poesia insegna anche l’umiltà:
“I morti da soli bastano a metterci in riga rapidamente, per non parlare dei contemporanei (…), ma se all’università s’incontra Wystan Auden, non si rimane a lungo infatuati di se stessi. Dopo quell’incontro, niente fu facile: né scrivere né vivere…”
Brodskij parla di Spender, parla di sé. Ci sono persone che ci cambiano la vita, in maniera definitiva e a senso unico: esiste un prima e un dopo averle conosciute. Niente è più solenne che tenere tra le mani il battito del cuore di qualcuno che amiamo. Si chiamano, anche, maestri: loro è l’esempio, la rettitudine dell’operare, la decisione nel portare avanti un destino e una vocazione. Quando vengono a mancare, di loro ci rimane l’opera, i ricordi, l’aria che sembra contenere la loro voce:
“Le persone sono ciò che ricordiamo di loro. Quella che chiamiamo vita è, da ultimo, un collage di ricordi (…). Con la morte, quel collage si disfa e ci ritroviamo con frammenti slegati…”
A conservarli però è la scrittura, e per il poeta la scrittura è quasi un sinonimo di memoria. Forse soprattutto coloro che abbiamo amato sono prigionieri della nostra memoria, a volte ostaggi compiacenti, altre riottosi. Lavorando su dettagli e bagliori, omessi i nessi logici, la poesia riesce spesso a ricostruire meglio il mosaico di una vita:
Cos’è la Morte? Una vita
che si disintegra in tante
più piccole, più semplici
Il frammento è di Auden. Ricordare, o rendere omaggio a questi brani di vita diventa, dopo di lui, una sorta di obbligo morale:
“tutto quello che si può fare per un uomo migliore di noi è continuare nel suo filone; in fondo, credo sta in questo l’essenza di ogni civiltà”.
Così la luce conserva l’ombra che ha in sé assimilandola. Così, poiché aveva ragione Emily Dickinson nel dire che le stelle non sono ereditarie ma bisogna cercare di meritarle, Brodskij vorrà scrivere in inglese “per compiacere un’ombra”. Corteggiare lo spirito di Auden, e rievocarne l’enorme generosità, l’intelligenza e la superiorità poetica, l’ironia e il timbro tagliente, l’intensità folgorante delle sue immagini, le parole che si appoggiano sulle nostre vite per non lasciarle. I versi che anche nei momenti più bui scaldano il cuore in istanti di meraviglia capaci di forare l’incerata opaca di difficoltà e punti morti: “le poesie di Auden rendono più accettabile questa vita”, e per contro dilatano la morte al punto da sbriciolarla in ogni sillaba, assimilandola a una foschia azzurra.
Un poeta che si dedica all’opera di un altro poeta se ne appropria. Nella scelta deliberata di rendere la propria arte più compiuta della propria vita, Auden ne ha piegato i lembi come una pagina, uno spazio dove ogni verso scavalca il proprio opposto, il vuoto, l’orizzonte ruggine del nulla.
*
Con Brodskij, quel 29 settembre 1973, è Spender a fissare gli istanti della cittadinanza tra le ombre di Auden in Auden’s Funeral.
Qui la memoria è un’ala di farfalla, paesaggio che ha iniziato già a diventare “il” passato: il cerchio degli amici presso la tomba, il rumore della terra lanciata sul coperchio della bara, la sensazione e quasi la certezza che lui, Auden, “cospiratore astuto”, sia ancora lì vicino, ma felice di essersi sottratto alle grida della tribù, di aver detto addio al clamore civilizzato di aule e salotti, disperso ormai in un altro bosco. Forse uno dei suoi boschi “stregati”, dove i bambini smarriscono il cammino, oltre ogni felicità e bontà.
Finché, guidati da lacrime d’amore mai superato, si raggiunge il rimpianto. Gli attimi sgocciolati in secoli nel cielo bianco d’autunno, dopo essere stato in vita composto “di Eros e di polvere”, Auden è diventato adesso le sue parole: una voce, un messaggero dell’invisibile. Il viso dell’universitario biondo si sovrappone a quello solcato di rughe dell’anziano studioso, le guglie di Oxford si spianano nel verde prato del cimitero austriaco, il corpo adagiato nel feretro si trasforma in etere, “il sognatore che dorme per sempre con i sognati”.
La parola a Spender:
Uno tra gli amici che sostavano presso la tua tomba,
Tra quelle ammassate intorno ho gettato una zolla di terra
Sul grande coperchio della bara con le maniglie d’ottone.
È risuonata sul legno di quercia come un battente sulla porta
E a quel suono ho visto il tuo volto lì sotto
Incastrato in un’ombra oblunga sotto terra.
Pelle solcata, occhi chiusi, mascella sporgente
E sulle labbra un ghigno: il trionfo di chi
È sfuggito ai colleghi di una vita che sbraitavano
Perché si unissi alla loro schiera. È ancora a metà con noi
Cospiratore astuto, ma sa di essere andato
In quel sotterraneo dove mai lo troveranno,
Felice di esser solo, l’ultimo lavoro compiuto,
Parola liberata dal mondo, in un bosco diverso.
Ma noi, con i piedi sull’erba, sentendo il vento
Sferzarci il sangue su per le guance, ripercorriamo
La lunga strada di collina, salita oggi
Dietro il carro funebre e la banda del villaggio.
Il bianco sole d’ottobre circonda Kirchstetten
Con colori di crisantemi nei giardini,
E bronzo e oro sotto snelli rami,
Le rade mele tardive luccicano come gioielli.
Di ritorno alla locanda del villaggio, ci sediamo sulle panche
Per l’ultimo brindisi a te, il venerato spirito
La cui assenza adesso s’incarna in noi.
Assaggiando i salumi, imitiamo la tua voce
Che parla con piatto tono benevolo, obiettivo,
La notte prima che tu morissi. Nella sala gremita
Sei le tue parole. Gli ascoltatori vedono
Scritte sul tuo volto le poesie che stanno sentendo
Come lettere incise nella corteccia di un albero,
Immagine e suono delle solitudini sopportate.
E guardando giù verso di loro, tu vedi
La tua immagine riflessa nei loro occhi
Incantati che la tua lingua adesso sia la loro.
E poi, pronunciata l’ultima parola, mani che salutano
Sollevano sopra le teste il tuo inchino di commiato.
Poi molti si accalcano sul palco a implorare,
Ciascuno per il suo branco, la tua mano ancora calda che firma.
Ma tu ti sei nascosto in albergo
E hai chiuso la porta e ti sei steso sul letto
Caduto dai loro elogi, morto sul pavimento.
(Fantasma di un fantasma di te, da giovane, risvegli
In me il mio fantasma da giovane, entrambi a Oxford.
Tu, l’universitario dai capelli biondi
E spigliati movimenti del capo.
Passo spigoloso in avanti, sguardo indagatore,
Pallida gravitas con volto da Buster Keaton.
Recitavo ad alta voce le tue poesie le cui lettere
Mi mordevano forte le dita d’inchiostro quando
Le impostavo sul mio torchio da cinque sterline:
‘Una sera come una fotografia a colori
Una musica stagnante sull’acqua
Il tallone sul filo d’erba’.)
Tornati ai ricordi che crescevano nella tua stanza –
La tua scrittura, bottiglie mezze vuote, e noi – ubriachi –
Chester, nelle preghiere invocato come il tuo ‘caro C.’,
Curvo come Rigoletto, sbuffando
Singhiozzi estatici, già inclinando
Verso di te, la sua tomba dieci
Mesi dopo ad Atene – e ricorda
L’opera, il tuo paradiso accampato, l’inodore
Risurrezione dei vostri corpi che cantano
Duetti appassionati in accordi che risolvono
Le vostre liti in armonia. Ricorda
Qualche tuo tragicomico desiderio e mette
“La marcia funebre di Sigfrido” al giradischi.
Wagner che scaccia ogni pensiero tranne le lacrime –
Schianti di tamburi e piatti cataclismici
La tromba dell’apocalisse esalta su ebbre onde
Il corpo morto del poeta, posato su una bara oltre
Gli intenti fallimentari, il suo mondo,
Verso quel Valhalla dove le fantasie
Dei morti creatori sono le loro vite.
Il sognatore dorme per sempre con i sognati.
Poi la notte. Fuori dal tuo portico indugiamo,
Mormorando addii, pensando ai domani
Separati come quelle stelle lassù.
Lasciata la tua festa, la tua vita entra nelle tue poesie
Come musica udita trasformata in note viste.
Il tuo funerale si riduce alla sua fotografia
In bianco e nero di amici intorno alla tua tomba.
L’oscurità cancella tutto. Addio,
Lo strumento magico della coscienza
Con l’intelletto come raggi che espongono
Vite sospinte in fuori sulla circonferenza
Di questo tempo, la loro esplosione: ma, ecco, creando
Paradigmi d’amore, le poesie
Che le richiamano nel cerchio
Della tua avvolgente solitudine.
Stephen Spender
(Auden’s Funeral; in: Stephen Spender, New Collected Poems, Faber & Faber, 2004)