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Arte
Fabrizia Sabbatini
Oro e piombo, tessuto e legno, semi e gesso, resine e acrilico: sono i molteplici materiali utilizzati da Anselm Kiefer, tornato in Italia dopo il successo veneziano del 2022. Questa volta, l’artista tedesco ha scelto di esporre le sue opere monumentali nella cornice rinascimentale di Palazzo Strozzi a Firenze, in una mostra dal titolo “Angeli caduti” (22 marzo – 21 luglio 2024).
Engelssturz (Caduta dell’angelo) è la prima opera del percorso espositivo, posta nel cortile del Palazzo e visibile a tutti, sottoposta alle intemperie è diventata l’immagine simbolo di questa kermesse: un san Michele, ispirato a quello di Luca Giordano (1634-1705) che, brandendo la spada, caccia gli angeli ribelli, mentre con l’indice sinistro addita il cielo per manifestare la volontà divina. L’arcangelo buca il fondo oro, simbolo a partire dal Trecento del mondo metafisico, mentre gli angeli caduti prendono consistenza nel registro basso del dipinto attraverso la materialità dei vestiti scuri e dei volti – che talvolta appaiono – trasfigurati.
Né la commistione di materiali preziosi con materiali comuni, né la simbolica iconografia del Bene vincitore sul Male, né il rimando a temi della tradizione cristiana risultano una novità nell’arte (compresa quella contemporanea), e nemmeno nella rappresentazione di Kiefer. Il tradizionale repertorio del forse maggior esponente dei “nuovi selvaggi” è qui riproposto per intero: miti antichi, astronomia, cabbala, alchimia, filosofia, storia e altri arcaici sistemi di sapere. Ci sono anche tutte le sue tecniche artistiche, non solo i fondi oro, ma anche i dipinti a tinte brune, i collage, i serpenti e i girasoli, le vetrine e le statue in gesso, compresi i famosi Heroische Sinnbilder (Simboli eroici). Fotografie queste ultime in cui l’artista si è fatto immortalare indossando l’uniforme da ufficiale della Wehrmacht del padre, mentre riproduce il saluto nazista, e che gli hanno procurato non pochi problemi. Eppure, lui sentenzierebbe, «non faccio “il quadro per il quadro”, ritengo che il quadro rappresenti la mia battaglia». E la battaglia di Kiefer è una sola, la più importante, quella che sta ai primordi dell’umanità: la colpa.
Nato nel 1945, sul finire della Seconda guerra mondiale, a Donaueschingen, nel circondario della Foresta Nera, Anselm si sente colpevole e non si dà scampo. Quel Maestro di Germania dagli occhi azzurri, che cantava Paul Celan, è Kiefer stesso insieme ai suoi contemporanei.
«Egli grida puntate più fondo nel cuor della terra e voialtri cantate e suonate
egli che estrae dalla cintola il ferro lo brandisce i suoi occhi sono azzurri
voi puntate più fondo le zappe e voi ancora suonate perché si deve ballare»(P. Celan, Fuga di morte, traduzione di G. Bevilacqua, Einaudi, Torino 1996).
Anselm ha messo fin dagli inizi la tragedia storica a oggetto della sua arte, si è identificato con “Egli” e ne ha assunto il fardello della colpa. È figlio della sua epoca, appartiene a quella generazione di artisti tedeschi del dopoguerra per i quali la storia nazionale, parafrasando James Joyce, ha rappresentato un incubo dal quale cercano di fuggire. Per cui il lavoro potente e poetico di Kiefer riesce a esplorare e condensare il senso di colpa di un popolo che si è macchiato dello sterminio di sei milioni di esseri umani, per evitare che il recente passato venga rimosso.
Ma Anselm è artista e, in quanto tale, non gli è sufficiente riconoscere il dolore al quale appartiene, il male che lo connatura, lui lo interroga e lo combatte con i suoi mezzi. Non c’è gioia nelle sue opere, ma solo senso di rovina, una visione desolata e catastrofica del mondo: è la fine degli Eliogabalo, l’imperatore romano, morto assassinato, che ha tentato di imporre il culto del dio sole Baal come religione di Stato, a cui è dedicata la seconda stanza; è la fine dei filosofi ateniesi, di Socrate e delle Ave Maria, sui quali ha vinto la scienza; ma è anche la fine di Lucifero e degli ex angeli, le cui ali sono state soppiantate da quelle degli aeroplani che hanno permesso all’uomo di volare, superando i propri limiti. Sono gli angeli caduti.
Kiefer ci mostra la fine di un’epoca che si è definita in negativo, un contro, eppure «le rovine», sostiene l’artista tedesco, «non rappresentano solo una fine, ma anche un inizio». La sua arte è un pendolo che oscilla incessante tra perdita e rinascita, alla ricerca di un tentato raggiungimento della verità, «inottenibile, ma ci si può considerevolmente avvicinare» (A. Kiefer). Per questo l’oro si unisce al piombo o in una landa desolata si inerpica un serpente, simbolo della tentazione ma anche della conoscenza proibita: è il rettile che fa la muta e, rigenerandosi, si evolve. Ma anche per questo il Sol Invictus: da un girasole ormai secco cadono semi che si spargono su una figura distesa (in realtà una posizione yoga), che è l’artista stesso, per cui dalla morte si passa alla vita, dal cielo alla terra. Dice Kiefer:
«le macerie sono come il fiore di una pianta; sono l’apice radioso di un metabolismo incessante, l’inizio di una rinascita».
Se è pur vero che questi temi tornano a distanza di anni e di sensibilità dalla caduta del Terzo Reich, in un’epoca in cui quel nazismo può dirsi ormai anacronistico, è certo che alla luce delle nuove guerre ne riattualizzano la matrice del pensiero.
«la morte è un Maestro di Germania il suo occhio è azzurro
egli ti coglie col piombo ti coglie con mira precisa
nella casa vive un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
egli aizza i mastini su di noi ci fa dono di una tomba nell’aria
egli gioca colle serpi e sogna la morte è un Maestro di Germania»(P. Celan, Fuga di morte, cit.)
Camilla Gaetano
Tutti i crediti fotografici: “Anselm Kiefer. Angeli caduti”, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.