07 Novembre 2020

“La cultura è il bene più prezioso, è la nostra eredità. Eppure, in tempi di emergenza è trattata come un trascurabile intrattenimento”. Dialogo con il Maestro Alessandro Cadario

La musica è tutto. Per lui, non è solo una colonna sonora, un cd da ascoltare in macchina o il motivetto da cantare tra sé e sé, ma una musa, la musica, a cui ha consacrato la vita. Il Maestro Alessandro Cadario, tra i giovani direttori d’orchestra più promettenti, in questo momento – quando le nostre voci si intrecciano attraverso il telefonino – è a Pesaro, per le prove del Viaggio a Reims nel prestigioso cartellone del Rossini Opera Festival. In attesa che le nuove decisioni del governo non chiudano a doppia mandata le porte dei teatri, per portare a termine, almeno in streaming, le recite previste a fine novembre. Tra i giovani direttori d’orchestra italiani Cadario è una figura che ha saputo affermarsi come interprete profondo, instancabile promotore della musica tra i giovani.

Ha diretto nel corso della sua carriera concerti sinfonici, opere e balletti nelle stagioni dei principali enti lirici e festival italiani ed internazionali, salendo sul podio di importanti orchestre come l’Orchestra del Teatro Mariinsky, il Coro e l’Orchestra del Teatro Regio di Torino, l’Orchestra Filarmonica di Monte Carlo, l’Orchestra Filarmonica della Fenice, l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, l’Orchestra del Teatro Carlo Felice, il Coro e l’Orchestra del Teatro Massimo di Palermo, il Coro e l’Orchestra del Teatro Petruzzelli, l’Orchestra Regionale della Toscana, la Haydn Orchester, la Filarmonica Arturo Toscanini. Nel 2015, ha diretto al Teatro alla Scala nella cornice del Festival delle Orchestre Internazionali e, l’anno seguente, è nominato Direttore Ospite Principale dell’Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano. Nel 2017 è stato scelto dalla Presidenza del Senato per dirigere il prestigioso concerto natalizio, trasmesso in diretta su RAI 1 dall’Aula del Senato. Nel 2018 ha debuttato al Teatro Mariinsky di San Pietroburgo e nel 2019 ha inaugurato al Teatro Filarmonico la stagione sinfonica della Fondazione Arena di Verona. Tra i prossimi impegni è previsto appunto il debutto al Rossini Opera Festival e nel 2021 alla Royal Opera House di Muscat e al Festival del Maggio Musicale Fiorentino.

Insomma, viene spontaneo chiedere a lui: e adesso? Cerchiamo lumi, nelle tenebre della notte dell’arte, sulle restrizioni e sugli scenari di cupa difficoltà e profondo silenzio che si stanno per spalancare sotto ai nostri occhi.

Maestro Cadario, come vede la situazione attuale? 

“Ad oggi i teatri sono chiusi al pubblico ma posso comunque produrre spettacoli e concerti che sono trasmessi in diretta streaming così come promosso da Francesco Giambrone presidente dell’Anfols (Associazione Nazionale Fondazioni Lirico Sinfoniche). Se anche la produzione verrà interrotta lo scopriremo con le prossime misure. Siamo in un tempo sospeso che rende difficile ogni tipo di previsione e di certezza sui futuri sviluppi”. 

E le proteste che si sono scatenate nei giorni scorsi? 

“Le nostre giuste proteste dei giorni scorsi riguardavano ormai un diverso scenario nel quale le motivazioni dei toni accesi (ma sempre civili, ordinate e senza manifestazioni di violenza) nascono da un problema noto, ben radicato e alla base di tutti i problemi del mondo culturale”.

Cioè quale?

“La cultura italiana degli ultimi decenni nei discorsi e nelle parole di tutti è la cosa più importante ma poi, nella pratica dei fatti, appena c’è un’emergenza economica, sanitaria, sociale, è tra le prime cose sacrificabili. La cultura è il bene più prezioso non perché ‘fa bello’ dirlo, ma perché è la sintesi del sapere umano. È l’eredità della nostra specie nella sua interezza. Aver dunque assistito alla chiusura dei teatri con soli 200 spettatori (ben distanziati e con rigidi protocolli) mentre chiese, musei restavano aperti e soprattutto mezzi di trasporto e negozi erano affollati non ha fatto altro che dimostrare che per molti la cultura è un trascurabile mezzo di intrattenimento”.

Facciamo un passo indietro: che cosa ha imparato dal precedente lockdown? 

“Quanto avvenuto mi ha colto di sorpresa soprattutto a livello psicologico perché era la prima volta che toccavo con mano la fragilità del ‘sistema operativo’ in cui viviamo. Ho imparato ad apprezzare ancora di più la bellezza di fare un lavoro che si ama e al quale si è dedicata tutta la propria vita e mi sono ricordato delle parole del mio maestro, quando mi diceva che questo lavoro lo si fa con la forza di volontà. Lasciar passare settimane, mesi e dover ricostruire tutto da capo senza perdere l’entusiasmo della prima volta. Non ho la pretesa di conoscere la soluzione ai problemi della musica italiana ma posso parlare della mia esperienza e tenere presente ciò che le epoche passate ci hanno insegnato. Prima di tutto il mondo della musica classica non deve essere messo a confronto con i grandi numeri che impongono le logiche delle visualizzazioni o dei like. Una visualizzazione o un like non sono assolutamente garanzia che quell’utente abbia letto/visto e figuriamoci compreso il contenuto. Da una parte la musica non deve svuotarsi di contenuto per essere più facilmente veicolabile e, dall’altra, gli artisti hanno il dovere di impegnarsi nel difficile compito di avvicinare il grande pubblico come sta accadendo ad esempio per il mondo scientifico i cui divulgatori sanno appassionare anche sui social un sempre crescente numero di persone. È vero però che le distanze si accorciano costruendo ponti e per far ciò bisogna partire da entrambe le sponde; trovo che in questo senso a completamento di quanto già detto l’unica soluzione risolutoria sia quella di agire sulla scuola”.

Quindi, questi ponti esistono nel nostro paese?

“L’Italia è il paese in Europa con più Conservatori, si contano 77 Istituti di Alta Formazione Musicali e alcune tra le migliori Accademie di Perfezionamento a livello mondiale. Ciò non stupisce, vista la storia e la tradizione della nostra nazione, ma manca un fondamentale ingranaggio la cui assenza ci retrocede agli ultimi posti: la totale incomprensibile mancanza dell’insegnamento della musica diffusa come elemento di cultura generale. In Italia, questa funzione è demandata alla buona volontà delle associazioni di bande e cori che fanno quello che possono ma non riescono a intervenire con la capillarità e la prontezza che potrebbe avere la scuola. Ecco, dunque, l’unica soluzione che vedo all’orizzonte: musica in tutte le scuole, nell’orario curricolare e un coro al pomeriggio come attività facoltativa. L’invito è di non aspettare che questo avvenga ma darsi da fare subito, ognuno nel proprio ambito, da queste premesse è nata la mia necessità di dedicare diversi anni al mondo giovanile dei cori e delle orchestre anche formate da musicisti diversamente abili. In un mondo così competitivo e al tempo stesso impietoso, queste esperienze possono forse rallentare un po’ la carriera, ma quello che si può ricevere in cambio non ha prezzo: una sensibilità che ti permette di scavare nei più profondi abissi dell’animo umano alla ricerca di una bellezza a cui il pubblico difficilmente resta indifferente”.

Gruppo MAGOG