“Esistono spiriti liberi e coraggiosi a cui piacerebbe non ammettere che hanno un’anima a pezzi, tracotante, incurabile. A volte, impazzire è un travestimento, per chi ha certezze troppo infelicemente sicure”.
Ovunque, nel mondo globalizzato, le città sembrano perdere inarrestabilmente le loro peculiarità locali, la loro anima, venendo ogni giorno di più omologate tra loro e stuprate nella loro essenza più profonda, diventando talora irriconoscibili. I viaggi, la scoperta dell’altrove e dell’altro da sé sono morti, malinconicamente affidati alle relazioni dei viaggiatori del passato, alle immagini che hanno catturato per sempre realtà oggi evaporate o cancellate totalmente.
Aboliti i viaggi nello spazio, rimangono i viaggi nel tempo, le immersioni immobili in luoghi, appunto, del ricordo e dell’anima. Appiattiti e stravolti i contesti metropolitani, ci si può solo più rifugiare nell’arte o nella contemplazione della natura, quando questa seguita a mantenere le proprie peculiarità, diverse da luogo a luogo.
Chi scrive capitò casualmente, vent’anni fa, nella bottega / Wunderkammer di Alessandro Molinengo, “Nautilus”, allora situata nell’ angusta via Bellezia, nel cuore del Quadrilatero Romano di Torino. Il folgorante incontro si ripeté più volte e spesso ero solito tornare in quell’autentico scrigno delle meraviglie che il geniale collezionista e conoscitore aveva costituito dando vita a un negozio con pochi omologhi al mondo.
Nautilus, purtroppo, chiuse i battenti nel 2008 e la sua chiusura fu per me una fonte di autentica tristezza, l’ennesimo depauperamento di una città i cui luoghi di riferimento culturali e simbolici si andavano già rarefacendo a ritmo quasi quotidiano. Accanto alle molte librerie o botteghe artigiane sventrate o cancellate, la perdita di Nautilus mi era parsa un’autentica ferita nel corpo della città, lo smarrimento di qualcosa che può sembrare enfatico definire unico, ma che tale effettivamente era.
Proprio in virtù di questa perdita, la recente riapertura della camera delle meraviglie di Molinengo in una delle strade più caratteristiche della vecchia Torino, via dei Mercanti, è stata per lo scrivente fonte di stupore e di gioia autentica e, insieme, come una riscoperta dei propri anni morti. Il rituffarsi nel tempo perduto può essere determinato da un qualunque oggetto o profumo o sapore: all’ io narrante della Recherche bastava assaporare una madeleine per ritrovare tutto un complesso di coordinate mnemoniche apparentemente inabissato e perduto per sempre.
L’elencazione dei tesori raccolti da Alessandro nel suo negozio / forziere impone veramente la “vertigine della lista” di cui parlava Umberto Eco: ex voto, vecchi allargascarpe dalla forma medusea, teschi e busti anatomici dei più vari materiali, manette provenienti dalla cella di un castello francese, globi terrestri, un teatro dei burattini ottocentesco, corone mortuarie e cartoni funerari d’ antan, sirene per scenografie teatrali simili a polene di navi, vasi medicinali (uno dei quali, in passato, conteneva polvere di mummia), animali impagliati, strumenti scientifici e chirurgici di forme inusitate, modelli didattici per ostetriche.
E, ancora, mazzi di tarocchi come di giochi di carte popolari, feticci per rituali di magia nera, occhiali per il combattimento rituale “mensur” (una scherma iniziatica delle vecchie confraternite tedesche), grifoni di cori lignei, cinture contro l’ onanismo degli adolescenti, inquietanti macchine per gli elettroshock, modelli plastici di cellule animali, la scultura di un orso ammaestrato che si ribella al proprio domatore (“Combat pour la vie”), modelli di bambini colpiti e deformati dalle radiazioni, insegne di osterie e di macellerie ottocentesche.
Tra le mirabilia foltamente stipate campeggiano una Tour Eiffel realizzata di sole conchiglie il cui Kitsch debordante assume qui quasi una sua dimensione di bellezza, oggetti circensi e legati all’illusionismo, un manifesto del secolo decimonono reclamizzante una fanciulla del peso di 612 libbre esposta alla pubblica curiosità con un coccodrillo del Brasile, manichini d’artista (uno dei quali appartenuto a Carlo Fornara), uno snodato coccodrillo di legno che fu il giocattolo di un bambino ricco del secolo scorso, macchine per rimagliare le un tempo costosissime calze di nylon, maschere antigas, mostruosità e oggetti teratologici vari ed eventuali accostati ai più dimessi oggetti del quotidiano.
Ammirare la Wunderkammer di Alessandro di sera, con le note turbinose e grandiose della Sesta sinfonia di Bruckner ad avvolgere e penetrare l’atmosfera costituisce quasi un’esperienza di trasfigurazione: come se gli stessi oggetti si animassero in una fantasmagoria inedita, componendo un muto dialogo fra di loro, un gioco di corrispondenze amplificato dalla musica.
Alessandro spiega come egli abbia voluto spingere il collezionismo e l’idea stessa della Wunderkammer oltre i suoi limiti tradizionali e ormai superati. Lo spirito iniziale è sì quello della camera delle meraviglie, ma quello stesso concetto si rivela poi riduttivo, figlio di tempi e di epoche ben precise. Vigeva nella Wunderkammer il criterio della separatezza, della creazione e fissazione di un luogo separato dagli altri ambienti, come a costituire un guscio avulso dalla banalità del quotidiano.
Nella nuova e riattualizzata Wunderkammer di Nautilus gli oggetti, anche i più assurdi, fanno invece parte integrante del quotidiano, del vivere e del respirare. La collezione non è più un’esperienza eccezionale ma torna a far parte del quotidiano: la meraviglia nella quotidianità, in ciò che appare ordinario.
Nell’estrema densità di oggetti così eterogenei e nell’apparente horror vacui che ha dato vita e forma a questa pletora di cose il filo conduttore è sempre il collezionista e l’ambiente è in toto una proiezione dell’io. Gli oggetti stessi assumono la loro forza fuori dal loro contesto di origine, creando così nuovi significati, nuovi cortocircuiti prima impensabili ed ineffabili.
Le grandi Wunderkammer del passato, da quella praghese di Rodolfo II d’ Asburgo al lascito di Athanasius Kircher al Collegio Romano sino alla raccolta di Ferdinando Cospi a Bologna, costituivano in qualche modo anche un’affermazione dell’Io, un desiderio di fare valere il proprio prestigio e le proprie ricchezze, adunando in prevalenza oggetti accomunati tra loro dal freddo criterio del lusso. Nulla di più alieno da questa collezione, animata invece dall’emozione del popolare, dal culto di oggetti umili ma che trasmettono le emozioni di chi con mezzi scarsissimi li ha realizzati.
Proprio allora si recupera l’aspetto più emozionale delle cose, come nell’oggetto poveramente scolpito da un pastorello come pegno d’ amore per la propria fidanzata. Oggetti poveri (altroché l’“Arte Povera” contrabbandata da decenni che è in realtà mercimonio di un lusso devitalizzato), ma impregnati di emozioni potentissime e perenni, che ancora ci parlano, in cui ancora si coglie il sentimento che li ha generati.
Gli stessi oggetti funebri si autotrascendono in una comunicazione che è in realtà il desiderio della vittoria sulla morte, sulla caducità, come nel culto ottocentesco del conservare i capelli dei defunti, fossero essi degli anonimi o si chiamassero, invece, Beethoven o Goethe, Poe o Lincoln. Le emozioni sprigionate da questi oggetti trascendono la loro prima e superficiale lettura, rimodulando le apparenze, ridefinendo i canoni.
Altrettanto potenti e “parlanti” gli ex voto, tanto più commoventi quanto più sono grezzi e popolari: un ex voto dipinto da un artista famoso non sarebbe più un ex voto ma il tradimento del suo spirito più genuino. Gli ex voto restano il documento della fede più autentica, incorrotta in quanto si affida al trascendente senza essere mediata da nulla, spogliandosi da ogni sovrastruttura accessoria. Il Bello ed il Brutto qui si relativizzano, smarriscono la loro funzione tradizionale e finiscono col compenetrarsi e col fondersi, dando vita alla sovversione e all’evoluzione della Wunderkammer di lusso, anch’ essa concepita un tempo, come si è detto, come potenziale strumento di potere o di prevaricazione.
L’accumulo, la stratificazione debordano e da un singolo ambiente isolato si allargano a tutti gli ambienti, in radicale opposizione ed eversione rispetto al gusto del minimalismo. Accumulo e minimalismo si contrappongono ma non si escludono per forza, nel senso che si tratta di due dimensioni antipodali ma egualmente affascinanti e dalle infinite modulazioni.
Alessandro mi spiega come il suo proposito sia di generare curiosità e legittimità a passioni che inconsciamente ci sono già, celate soltanto in incubazione. La collezione da domestica e privata si fa in qualche misura pubblica, in una condivisione sana che diviene poi occasione e pretesto per incontri umani, per stabilire connessioni con persone che vibrano come noi.Nel proliferare dei social, poi, tutto si amplifica e un linguaggio che prima era appannaggio di pochi diviene più ecumenico, con molte più persone che sanno leggerlo.
E a essere sempre più sdoganate anche da noi sono le cosiddette “arti minori”, che, pionieristicamente indagate in Italia e riconsegnate al loro giusto valore da un Paolo Toschi o da una Adalgisa Lugli, sono state sempre oggetto di incomprensione se non di disprezzo dagli storici dell’ arte più togati e paludati, che hanno alimentato la cesura accademica fra arti “maggiori” e tutto il restante della produzione artistica. Geni solitari come Mario Praz e Federico Zeri combatterono già contro questo pregiudizio accademico, e nella praziana Casa della vita come nella dimora di Zeri a Mentana ben vivi restavano il senso delle “arti minori” come della Wunderkammer stessa, ovviamente da loro ripensata e riformulata in base alle loro sensibilità melanconiche a atrabiliari.
Qualcosa di simile e di profondamente commovente si è compiuto anche in questo mirabolante luogo creato da Alessandro nel centro di Torino, un crocevia di incontri umani e di rivelazioni estetiche, un comporsi caleidoscopico di immagini e sensazioni che ci auguriamo sia destinato a durare nel tempo.
Alessio Magaddino
*In copertina e nell’articolo: immagini tratte da “Nautilus”, bottega / Wunderkammer di Alessandro Molinengo in Torino