
Dammi un istante, diventa fuoco! Su una poesia di Innokentij Annenskij
Poesia
Giorgio Anelli
Il protagonista eccellente dell’avanguardia della poesia romantica, specchio sulle più eclatanti angosce moderne, ha tentato di uccidersi quattro volte. L’uomo che tentò di darsi la morte e che spianò la via di una nuova parola poetica alla ricerca del sé, è l’uomo in cui (insieme a Milton) William Blake vide Dio “più che nei principi e negli eroi”, sebbene poi sia lo stesso uomo che Blake utilizzò anche come simbolo del suo Spettro. L’uomo in cui il poeta riconobbe Dio è l’uomo che, a sua volta, si sentì rinnegato e dannato da Dio per tutta la vita: e che quindi fu, in effetti, lo Spettro.
Il poeta la cui frattura con Dio, e con gli uomini, fu talmente devastante da fargli tentare il suicidio per quattro volte, scoprì la nuova fragilità dell’uomo rimasto senza punti di riferimento, indagando tra disperazione ed estasi, nuove opportunità, o necessità, di ritrovare interiormente ciò che si era perso all’esterno. Quest’uomo evidenziò, senza saperlo, l’elemento fondante dell’uomo moderno che così tanto si allontanò dall’uomo antico: la ricerca interiore. Proprio quando la necessità di trovare nuovi riferimenti ha creato il modello individualista dell’uomo eroe, che col produrre annienta lo spirito ma domina gli eventi, accade che nello stesso uomo materialista si insinui il tarlo peggiore, il peggior nemico, la sua eterna dannazione, cui il nostro poeta servì da esempio, e monito, con la propria imprescindibile dannazione (mettendoci non solo la faccia, ma la vita): l’introspezione, la ricerca dell’anima, il sottosuolo, e in fin dei conti, la psicologia.
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William Cowper (1731-1800) è stato un poeta così eccelso da meritarsi il manicomio, almeno due anni per manifesta incapacità di stare nel mondo (soprattutto quello in cui lo costringeva il reverendo padre, metodista) che in effetti pareva l’unico possibile per la salvezza, cosa che il poeta fu certo di non ottenere mai, morendo convinto di essere un dannato. Blake fece dodici ritratti di Cowper, e l’unica incisione esistente di sua madre, morta quando lui aveva sei anni. A questa prima tragedia seguirono molti anni di collegio in cui il poeta fu violentemente bullizzato, e anche se imparò latino e greco, e i classici, ne evinse una sensazione di solitudine e abbandono che non gli avrebbe lasciato scampo, soprattutto in una realtà in cui solitudine e abbandono erano la normalità. Cowper scrisse moltissimo, ma ebbe successo soprattutto, o soltanto, per il suo capolavoro The Task, poema cominciato per una sfida lanciatagli da Lady Austen (con cui ebbe un rapporto estremamente conflittuale), che lo invitò a fare un poema su un “divano”, probabilmente senza ben comprendere chi avesse davanti: quel poema, nato forse da un capriccio, divenne un capolavoro poetico, di sei libri e circa 5000 versi, di cui Blake fece alcune illustrazioni. Questo comunque non bastò all’autore per ottenere l’autosufficienza materiale, né tantomeno per non considerarsi, ed essere da più parti considerato, un fallito.
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I temi più cari a Cowper prendono nel poema la loro forma definitiva: l’arroganza senza senso del mondo, la violenza della schiavitù, la solitudine in cui tutti siamo abbandonati perché il mondo nuovo non la vuole riconoscere; e soprattutto l’insicurezza, la fragilità (che precorreva il dramma di tre secoli di individualismo come panacea di ogni male) di un popolo che con l’Impero aveva perso l’anima – da cui la domanda imprescindibile se fosse possibile non trovarla ma cercarla ancora.
Cowper parla già di consumismo e di nuovi imperi commerciali che si stanno costruendo sul sangue. Non esiste un matrimonio possibile tra industrializzazione e anima, e la sofferenza che ne deriva caratterizzerà ogni uomo che nascerà dopo la grande Sfida di (ri)trovare questa anima – sfida persa, probabilmente, ma costantemente in atto. Man mano che il poema procede, Cowper si allontana dalle città, e da ciò che rappresentano per il suo spirito ormai martoriato, e si rifugia nella natura, sia fisicamente che spiritualmente.
The Task (dal libro 1)
Pochi fiori reggono da soli il vento
restando incolumi, ma necessitano del sostegno del puntello liscio
e legato con cura.
Restano così uniti, come la bellezza alla vecchiaia,
per amore, i vivi e i morti.
Alcuni rivestono il terreno che li nutre, spargendosi ovunque
e crescendo umili, modesti e anche discreti,
come la virtù…
Tutti invece odiano la marcia società delle erbacce,
sgradevole e mai sazia di annientare
la terra dilapidata.
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Si è dibattuto a lungo sulla follia di Cowper, come d’altronde su quella di Blake; domandandosi da più parti se essa stesse nel cercare Dio, nell’averlo trovato o non trovato, se fosse inevitabile per esseri spirituali incapaci di rapportarsi alla realtà, o se la necessità di creare, e quindi di posizionare Dio, infine, dentro se stessi, non fosse in fondo l’inevitabile genoma della pazzia: divenendo mania di grandezza in Blake e mania di persecuzione in Cowper.
Blake non ha mai accettato questa domanda: “Tu puoi sinceramente dire che io sono pazzo?”. Non permetteva a nessuno di avere una risposta facile: se non si potevano provare le sue visioni, non si poteva nemmeno provare la sua follia, e mai si scoraggiò, arrivando a cantare, pare, sul letto di morte, inni di gioia e trionfo, ma sentendo sicuramente per tutta la vita, la mano di Dio sulla spalla. Non così fu per Cowper, che di Dio sentiva la maledizione.
Nell’interpretazione di Blake, la psiche umana si suddivide in quattro principi fondanti: Umanità, Emanazione, Ombra e Spettro. Lo Spettro, emanazione di Urizen, è l’incarnazione della ragione che ha perso la spiritualità, dunque della ragione che diventa imposizione, violenza e sopraffazione.
L’uomo caduto ha bisogno del mondo materiale, per frenare la caduta, ma per riconciliarsi con la propria umanità che racchiude l’anima, deve servirsi dell’immaginazione. La vita stessa deve essere una frenata della caduta e il potere immaginativo, Urthona, simbolo anche della donna, è caduto sulla Terra attraverso la “parola”. In Jerusalem, lo Spettro è proprio un calvinista che si sente dannato da Dio ed è destinato a soffrire per sempre. È evidente il richiamo a Cowper e alla sua terribile frattura interiore, così chiara a Blake che lo riteneva accompagnato dagli Spiriti (Angelici) che possono circondare soltanto un uomo di luce, intanto che vedeva la lotta incessante che lui compiva ogni giorno contro il mondo creato da quella razionalità disumana, che lo stava distruggendo.
I venti ululano, mi guidano subdoli
scossi dalla tempesta
le vele si strappano
aprendo larghi squarci nelle cuciture
e la bussola è perduta
Giorno dopo giorno, una certa forza contrastante
mi costringe più lontano dalla rotta del successo
È la poesia che Cowper negli ultimi anni della sua vita dedicò alla morte della madre, rivelando il terribile dialogo che il poeta si è sempre portato dentro e non ha mai avuto paura di esprimere, un dialogo difficilmente ipotizzabile e profondamente incomprensibile nel suo tempo: quello con sé stesso.
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È dunque davvero la parola la più importante forma spirituale sulla Terra, per i due più importanti poeti pre-romantici?
Né Cartesio, né Hegel hanno affrontato il problema della scrittura. Il luogo di questo combattimento e crisi si chiama diciottesimo secolo – scriverà Jacques Derrida.
Questo concetto si può ampliare, perché il problema della scrittura, aperto in quel secolo e mai sanato, è anche il nuovo problema dello spirito.
Al dilemma interiore Cowper non trova alcuna risposta nella comunità, nella fede condivisa, e tantomeno, da Avvocato, nelle leggi, e in alcun modo nella morale.
La fiammata che stralcia il diciottesimo secolo, e che ancora oggi incombe su di noi, pone la questione se il tentativo di entrare nella vita immaginativa, faccia inevitabilmente impazzire.
La poesia cambia indissolubilmente legata al cambiamento dell’uomo. Entrare nell’immaginario, nel sentire, e cercare lì la risposta a ogni perdita definitivamente compiuta, è elemento imprescindibile dell’avvento del maudit, ma non può ridursi a un’interpretazione di necessaria alienazione.
Fino al diciottesimo secolo l’anima è rimasta un problema appannaggio dei religiosi, mentre ora, proprio per questi uomini, per questi primi poeti alla ricerca di Dio, l’anima è la scoperta del dramma, tutto umano, della ricerca interiore delle certezze perdute. Più lo standard di vita materiale si elevava, più il costo dell’integrità immaginativa e spirituale era alto (Adam Smith parlava già di automi); così, più la disgregazione avveniva inesorabile, più l’interiorità diventava importante, proprio laddove il nuovo eroe materialista e narciso avrebbe dovuto annientarla.
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Non si giudichi il Signore con l’umana ragione – scriveva Cowper, da cui l’interrogativo agghiacciante: e dunque, con cosa? La paura della dannazione non è forse la paura del nuovo sistema sociale e il terrore di restarne esclusi, non accolti dal Dio-sistema, trasformatosi in un mostro così cattivo? E quello che introduce Cowper non è forse il più moderno concetto di psicanalisi? Il nuovo eroe si deve imporre sul mondo interiore, che mai era esploso con così tanta potenza.
Nel sottosuolo che Cowper osò esplorare, come ogni degno esploratore, perse la vita. Nel ’700 si fa prepotentemente strada un nuovo concetto di natura, con Cartesio e Locke la natura perde il suo ruolo di grande madre e diventa la culla del meccanicismo.
Nel mondo antico l’introspezione aveva il carattere della confessione, non del conflitto. C’era un equilibrio col mondo esterno, perché c’era equilibrio con la natura; tutto si risolveva nella saggezza, nella virtù, e c’era ben altra accettazione del fato e della morte, considerati elementi imprescindibili, di cui l’uomo non doveva sentirsi padrone, e che per più versi nemmeno temeva, ma solo sereno compagno nelle stesse mani generose della natura.
L’eroismo e la santità erano a loro volta i più degni compagni della morte: il materialismo e la meccanica trasformarono invece, con velocità sorprendente, l’eroe e il santo in coloro che la morte annientano e la natura dominano. La strada verso l’individualismo come nuova potenza divina è irrevocabile: l’eroe della vita spirituale diventerà un folle, al posto del saggio, l’inetto alla vita materiale diventerà il reietto, al posto del santo. Ma l’eroe produttivo nasconderà sempre in sé la fragilità del sentire, dell’immaginare, del cercare, del disperato bisogno di un’anima, che perduta la collocazione, non è possibile ritrovare. Non ci vorrà molto a individuare il nuovo mostro in questa esigenza: la strada per la maledizione dell’uomo moderno e per la paralisi emotiva, così come per la depressione e per la disumanizzazione meccanica, è spianata.
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Cowper, che si sentiva dunque dannato e fallito, giacché non riusciva a trovare la sua posizione all’interno di un contesto sociale che aborriva, e da cui divenne definitivamente terrorizzato, ebbe la forza per momenti di entusiasmo spirituale e contemplativo propri della sua scrittura poetica, quella per cui Blake vedeva l’emanazione divina. Blake rifletterà sempre la propria sofferenza in Cowper, come uomo che crede nell’ispirazione ma sa che l’ispirazione non può essere provata: entrambi, nonostante il successo di The Task per Cowper, saranno sempre trattati con un vago sentore di condiscendenza, e comunque considerati affetti da una follia, che se li faceva scrivere bene, non avrebbe mai permesso loro di essere uomini completi. L’aberrazione era compiuta: a cosa serviva, a quel punto, scrivere bene?
Cowper è profondamente consapevole della pochezza spirituale del mondo in cui vive. Sarà capace di immani slanci poetici e di grande umorismo, così di satira con cui si fa beffe delle meschinità umane, anche se in lui non ci fu mai fatua leggerezza. È un poeta sul ciglio del burrone e ride solo nel momento in cui sta precipitando.
Se Blake rivendicherà il diritto alle proprie visioni, Cowper ne avrà invece orrore e individuerà in esse la conferma delle ragioni del mondo, quelle stesse che lo schiacciava. Non troverà mai Dio nella ragionevolezza, né nei doveri della morale e della fede calvinista, meno ancora nelle imposizioni sociali necessarie per ottenere il gradimento di Dio. Tuttavia, invece che scorgere in questa impossibilità la dinamica dell’errore materiale, si convinse di essere sbagliato lui, cosa che non accadde a Blake, e per cui Blake si rammaricò sempre: era una vera sofferenza per lui accettare che proprio l’uomo circondato di luce, la cui penna si intingeva in quell’anima perduta e per talento ritrovata, non capisse di aver trovato Dio.
Per Cowper il Dio Urizen, la legge cui lui disattendeva, puniva la sua creatività, la stessa creatività in cui Blake era certo si celasse Dio.
L’immaginazione per Blake crea lo stimolo, che genera l’entusiasmo che inibisce la depressione: è qui lo snodo della ragione. A seconda di come si svilupperà il suo rapporto con la creatività, la nostra completezza sarà o meno possibile: per stare bene bisogna avere un entusiasmo, e da qui si può sviluppare l’infinità dell’essere.
Lo Spettro dunque, si portava dentro Dio. Esattamente come l’uomo materiale si porta dentro quello spirituale, come una condanna o una liberazione.
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Vive e lavora un’anima in tutte le cose
e quell’anima, è Dio
Scrive così Cowper, proprio lui che trovandola si perde ogni giorno di più.
Lo Spettro infatti consuma, la sfera pratica degrada il valore umano, gli eccessi e le prevaricazioni disumanizzano, il privilegio della ragione narcotizzante non può essere la risposta, le ombre si impossessano del genio romantico, perché gli spettri offuscano la luce.
E in tal senso parla lo Spettro di Blake in Jerusalem:
Ora la mia pena peggiore, impossibile da essere superata, ma che ogni istante accumula e accumula afflizione, accumula per l’eternità!
La gioia del Signore è per chi è retto, non per un essere da compatire, che si sente pieno di angoscia,
lui nutre sacrificio e offerta, deliziandosi fra pianti e lacrime, e vestito di santità e solitudine, invece le mie pene avanzano, senza fine e per sempre!
Oh potessi smettere di vivere! Angoscia! Io sono una creatura disperata
creata per essere il migliore esempio di orrore e agonia,
anche la mia preghiera è vana, ho implorato compassione,
compassione derisa
misericordia e compassione gettano su di me la pietra tombale
e con ferro e piombo la inchiodano per sempre intorno a me
la vita trascorre nel mio struggermi
e l’Onnipotente ha fatto me come suo contrario
perché io fossi un diavolo completo
tutto opposto e per sempre morto
conoscendo e vedendo la vita
ma senza viverla
come potrei vedere e non tremare
come potrei essere visto e non aborrito!
E quella stessa disperazione verso un giudice implacabile, verso lo Spettro, nel cui petto avrebbe voluto nascondersi, ma da cui si sentiva respinto senza alcuna pietà, Cowper la scriveva perfino sulle finestre:
Io miserabile!
Come potrei scappare dalla infinita collera divina
e dall’infinita disperazione
se Morte, Terra, Paradiso e Inferno
di cui fu amico Dio
sono ormai in macerie,
quel Dio che giurò che non avrebbe mai aiutato me
*
Benché abbia aiutato William Hayley a scrivere la biografia di Cowper, Blake non risparmierà dure critiche verso di lui, da cui si sentì sempre in qualche modo denigrato, e che riteneva non valorizzasse a fondo Cowper. Riteneva che il biografo non vedesse come il poeta consumasse la sua anima nella Profezia, e al contrario cercasse in lui solo una malattia confusa, per cui sarebbe stato necessario che un editore lo prendesse in considerazione per dimostrare che c’era del vero nei suoi stravaganti proclami. Non sopportava che fossero richieste le prove del loro sentire, e voleva che il giudizio delle loro opere fosse lasciato ai posteri.
Sul suo primo attacco depressivo, che avvenne a seguito della necessità di una prova pubblica per entrare alla Camera dei Lord, Cowper scrisse:
Fui vessato da una tale alienazione dello spirito, come nessuno, se non l’ha provata, può nemmeno immaginare. Giorno e notte ero nelle torture; mi addormentavo in preda all’orrore, e mi svegliavo nella disperazione. Poi persi ogni gusto per lo studio, che prima mi pareva così importante, i classici non mi affascinavano più; non potevo più accontentarmi delle distrazioni, avevo bisogno di altro, ma nessuno sapeva dirmi dove trovarlo.
Il nuovo uomo è solo. È la caratteristica che si evince maggiormente dall’alienazione di una ricerca infruttuosa che ancora oggi non trova risposta. Il silenzio di Dio lo annichilisce, Cowper gli chiederà di dirimere il suo dubbio, di spaccargli il cuore se necessario, ma la risposta non arriverà, o almeno, il poeta non la scorge, e morirà convinto della dannazione eterna.
E i diversi giudizi servono solo a rendere evidente
che la verità da qualche parte esiste.
Se solo sapessimo dove.
I versi sono tratti dalla poesia Hope, lungo poema che illumina, anticipando The Task, i rari momenti di felicità contemplativa del poeta: la luce degli Spiriti, secondo Blake, che soli possono salvare l’uomo; il fallimento materiale che lo faranno dannare per sempre, secondo l’autore. L’immaginazione, che dà accesso all’ideale e al bello, è superiore a ogni altra forma di produzione. Cowper considera il compito dello scrittore, che il mondo potrebbe considerare mera pigrizia, come l’impresa più importante di tutte, perché ha l’ufficio di recuperare e mantenere viva nelle persone la consapevolezza umana, la saggezza. Ma questo sembrava non bastare: fu infatti implacabile nel punire sé stesso, proprio per avere vocato la sua intera vita, a tale compito.
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Hope è un poema antecedente a The Task che si snoda in più di 700 versi, di cui riporto la mia traduzione della parte iniziale perché la composizione gioca un ruolo fondamentale nell’evidenziare la luce che stralcia lo Spettro nell’anima martoriata di Cowper, che aveva ossessionato Blake proprio per la sua natura divina, e non per la sua così facilmente sbandierata, dai contemporanei, inettitudine, ridotta a una mera esercitazione di follia. In effetti in nessuno dei due poeti ci fu mai propensione verso la maledizione intesa nel senso moderno di auto-distruzione: i tentati suicidi di Cowper restarono sempre senza esito, e che sia stato un caso o meno, è certo che una resistenza alla morte dannata, l’autore la esercitò con determinazione impressionante, attraverso la poesia, dimostrando che in qualche modo entrambi cercavano la salvezza, la luminosità in vita e, appunto, la speranza di una diversità possibile.
Questo poema dimostra quanto Blake avesse ragione; è il luogo dove, se non si incontrarono mai fisicamente, finalmente i due poeti si incontrano interiormente, al cospetto dell’amore, del Dio, della completezza ritrovata, o meglio dell’anima, in quell’antro dello spirito che ne è la più forte emanazione: la poesia.
Hope
E che cos’è la vita umana – replica il saggio abbassando con sconforto gli occhi
un doloroso passaggio in un incessante scorrere
un vano perseguire inafferrabili falsi beni
una recita di illusoria felicità e di accorata preoccupazione che conduce all’oblio nell’oscurità e alla dissolvenza
Il poverino, assuefatto al duro lavoro e all’afflizione,
in nessun luogo se non nell’immaginare scene di Arcadia,
aveva assaporato la gioia, o percepito il senso del piacere
La ricchezza scivola via di mano in mano
come la fortuna, i vizi, o il delirio di poter comandare
come quando in una danza,
la coppia che conduce deve inchinarsi e così trionfa la coppia più miserabile
allo stesso modo, è mutevole e casuale, il dipanarsi della nostra vita
per questo il Paradiso regola i disordinati accadimenti degli uomini
e le vicissitudini fanno girare la ruota rimescolando tutto fra le genti
I ricchi diventano poveri,
i poveri si fanno orgogliosi della propria ricchezza
gli affari sono un lavoro e la debolezza dell’uomo è tale
che perfino il piacere diventa un lavoro e ci rende molto stanchi,
la sua stessa essenza ne sconsiglia l’abuso
siccome la ripetizione lo annoia, e l’età lo smussa
Deploriamo la gioventù dissipata in spreco
che nessun sospiro risana
nel triste scampolo di vita che resta
I nostri anni, una sfida sterile senza alcun premio,
Troppi, ma troppo pochi per renderci saggi.
Dondolando intorno il suo bastone mentre prende il tabacco,
Lothario piagnucola: “Che roba filosofica! Come sei lamentoso e debole!
Con un cervello inetto,
che un tempo non pensava a niente, e ora pensa invano;
con un occhio riverso nel pianto su tutto il passato,
la cui promessa ti mostra una lunga serie di deprimenti sprechi;
se maturasse in te rinuncerebbe al suo fosco regno,
e la giovinezza ravviverebbe ancora quella forma,
il desiderio rinnovato allieterebbe con altre parole,
le gioie sono sempre apprezzate, quando le possiamo raggiungere
Per rialzare la tua testa paralizzata, liberati delle tenebre
che pervadono i limiti della tua tomba,
guarda la natura gioiosa, come quando per prima
cominci con sorrisi a sedurre l’uomo suo ammiratore;
al mattino si riversa sulle colline d’Oriente
e la Terra scintilla con le gocce che la notte distilla;
il sole ubbidiente al suo richiamo appare
per diffondere la sua gloria sul vestito che lei indossa;
le rive sono agghindate di fiori, i boschetti sono riempiti di suoni allegri,
i grani dorati, i prati verdi, le rocce, i terreni che si gonfiano,
i torrenti circondati dai salici donano fertilità ai campi
fluendo tra le curve
ora visibili ora nascosti dall’orizzonte blu,
dove cieli e montagne si incontrano,
giù fino al manto erboso sotto i tuoi piedi
Diecimila incantesimi, che solo gli sciocchi disprezzano,
o che solo l’orgoglio può osservare con occhi indifferenti,
tutto parla un’unica lingua, tutto con una sola dolce voce
urla al suo regno universale, esulta!
L’uomo sente lo sprone di passioni e desideri,
e lei dona immensamente più di quanto lui richieda;
non che le sue ore tutte votate all’impegno,
portino astinenza all’occhio svuotato e magra disperazione,
il disgraziato potrebbe struggersi, mentre per il suo olfatto, gusto e vista,
lei contiene in sé un paradiso di esultanza infinita,
ma con gentilezza, per rigettare ogni sua assurda paura,
e dimostrare che ciò che lei dona lo dona sinceramente,
bandendo ogni esitazione e rivelando che la felicità dell’uomo le è cara,
ed è il suo unico intento.
Questa tomba è il sogno più assurdo della filosofia,
che le intenzioni del Paradiso non siano quelle che appaiono,
che solo ombre siano dispensate quaggiù,
e la terra non abbia altra realtà che il dolore.
Il poeta distrutto dal mondo, nel mondo poetico si ricompone e trova la felicità, lasciando che la sua insaziata dannazione, avvenga altrove, e in un altro tempo.
Francesca Ricchi