Secondo Harold Bloom, “Ursula Le Guin, ancor più che Tolkien, ha innalzato il fantasy al rango della grande letteratura”. Lasciando da parte le classifiche e i confronti – corrivi –, il genio ‘fantastico’ di Ursula Le Guin è ben noto anche alle nostre sponde editoriali: il ciclo di Earthsea – da noi: “La saga di Terramare” – è forse il suo lavoro più noto. Un paio di anni fa Mondadori ha ritradotto La mano sinistra del buio (in origine: 1969), il romanzo prediletto da Bloom, sommo, strabiliante, divertito, anticonformista canonizzatore con una carriera fallita da scrittore di fantasy sapienziali – The Flight to Lucifer. A Gnostic Fantasy esce, ornato di una fitta fiera di recensioni negative, nel 1979.
Ad ogni modo, la fama di Ursula K. Le Guin, nata a Berkeley nel 1929 – la K. sta per Kroaber, il cognome del padre, insigne antropologo – e morta nel 2018, è, in Italia, nettamente inferiore rispetto all’importanza che la sua opera ricopre negli Usa. La Library of America, per dire, che ha già canonizzato la Le Guin con una serie di volumi, ne sta riscoprendo l’opera poetica. I Collected Poems di Ursula Le Guin – freschi di stampa: al numero 368 della più autorevole e identitaria collana editoriale degli Usa – sono curati dal fatidico Harold Bloom: l’introduzione, ci avvisa l’editore, “è stata scritta nel 2019, poco prima della sua morte, a sigillo di profonda stima”.
Per lo più annichilita dal sorprendente successo dei romanzi, l’opera poetica della Le Guin ha un’importanza decisiva e punteggia la sua ricerca artistica: la prima raccolta di poesie, Wild Angels, esce nel 1975, l’ultima, So Far So Good nel 2018. In sostanza, ULK pubblica dodici libri in versi nell’arco di oltre quarant’anni.
“Per diversi anni mi sono chiesto perché la poesia di Ursula Le Guin sia stata piuttosto trascurata. I suoi testi e le sue riflessioni sono autenticamente americane. A volte, si avverte un accenno di William Butler Yeats, altre volte un tratto di Robinson Jeffers. Tuttavia, la sua voce è del tutto inimitabile, individuale, propria”.
Harold Bloom
Le stesse inquietudini che rintracciamo nei romanzi e una più candida intensità rivelano le poesie di ULK, piene di materia stellare e di civette, gli uccelli della sapienza nottambula. Sperare che vengano tradotte in Italia richiede una fede negli angeli a dieci facce: facciamo prima a fare noi.
Stufa di uomini e donne non per questo elogio con patetico romanticismo la saggezza delle bestie (a differenza nostra: sono saggie senza bisogno di lodi). Ammiro le stelle ma non disprezzo i dotti Astronomi che dopo tutto le fissano molto più spesso di me.
Nella malattia canto, ancora, ostinata, le mie passioni intellettuali.
Non me la prenderò con Jeffers: rivolgiti alle pietre che sono qui prima di noi e ci resisteranno. Una pietra è insensata se non la guardi.
È di pietra il paesaggio che mi abita in questi giorni: montagne, stelle, cieli spaccati. Neanche un albero. Spiagge vuote al crepuscolo.
Una stella è pietra in fiamme. La mente, l’occhio sono polvere di pietra, stella sbriciolata e luce che riempie i vuoti pura luce.
Il grigio greto su cui cammino: è forse il principio o il margine dell’ultima parola?
Non so nulla. Cammino da sola, ai bordi di tutto, arrabbiata, impaurita, di tutto incerta con gli occhi aperti in un ruggito.
1977
Ursula K. Le Guin (1929-2018)
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Alla pioggia
Madre pioggia, molteplice, smisurata, cade sui campi, sulle foreste e sulle forre, sul tetto di casa e sui bassi nidi, sulle torri, acque squillanti che tutto lavano, più vaste delle città, più tenere della sorellanza, ampie più delle campagne, calme, piene di memoria: torna a noi, pioggia, insegna alle nostre anime afflitte, nella tua incessante caduta, a cadere, a essere tuoi seguaci, fino alla radice, l’arte di affondare e di guarire, di addolcire il mare.
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Foglie
Gli anni corredano l’identità di strane cose. Cosa significa dire che sono la bimba in quella fotografia, scattata nel 1935 a Kishamish? Tanto vale dire che sono l’ombra di una foglia dell’albero di acacia abbattuto settant’anni fa che ancora si muove sulle pagine lette da quella bambina. Tanto vale dire che sono le parole che ha letto o che ha scritto lungo gli anni, sfarfallio di ombre umorali e di luce solare, mentre il vento si leva rapinoso dalle foglie.
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Sei quartine
Autunno
oro d’ambra rosso di brace bruna ombra tutto è settembre
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Presso il McCoy
Scintilla il greto non volano le rondini. Le foglie del salice dondolano gialle e sottili.
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Ottobre
Alle quattro di mattino il vento dell’Ovest si muove tra le foglie del faggio con un lungo ungulato e uno sciabordio di acque: prima onda della marea scura in arrivo.
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Solstizio
Nella notte più lunga dell’anno nei boschi che costeggiano il colle il piccolo gufo sillaba il suo canto perché la notte sia ancora più lunga.
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Venti di maggio
dolci, isterici vesti frondose che frusciano: ogni momento un moto
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Un saluto
Il corniolo si rannicchia alla foce del tuono, i lillà ardono come la luce contro il cielo nero: la grandine imbianca l’erba con i suoi petali.