
“A tentoni, per i corridoi del Pensiero”. Una poesia di Harold Monro
Poesia
Giorgio Anelli
A ritirare il Nobel per la letteratura, nel 2011, si presentò un paralitico. Colpito da un ictus nel 1990 – doveva compiere sessant’anni –, Tomas Tranströmer era pressoché immobile, pressoché incapace di parlare, il braccio destro rachitico, appollaiato al petto, come un corvo. Un menomato, uno minato nel corpo: esiste simbolo più potente per rappresentare l’indifesa grandezza della poesia? Assiso sulla carrozzella, in effetti, Tranströmer sembrava un re; i suoi occhi, lungi dal testimoniare rassegnazione o smarrimento, folgoravano, ferini.
Fu la moglie, la devotissima Monica, a leggere il telegrafico discorso di Tranströmer. Il poeta parlava della traduzione come di un gesto di amore; diceva di aver cominciato a scrivere a sedici anni. Nato a Stoccolma nell’aprile del 1931, aveva esordito a poco più di vent’anni con una raccolta, 17 poesie (“17 Dikter”), che sembra imitare i 18 Poems di Dylan Thomas. È un libro, quello, da subito, sorprendente: di paesaggi pietrificati nel mito, di temporali con gli artigli, di liriche agnizioni. È un libro pieno di bestie e di simboli. C’è la poiana che “si ferma e diventa una stella”; la lince dagli “occhi sognanti”; la costa che sembra un “drago sprofondato/ in una palude”. Tutto ha l’ardire del sogno, l’iride dell’aldilà: la quercia è un “alce pietrificato dalla/ chioma sconfinata”; bisogna giungere alla “fornace dell’aurora boreale” per “ascoltare/ la musica dei morti assiderati”.
Tranströmer diventò quasi subito, come si dice, un autore ‘di culto’. Psicologo, ha lavorato, negli anni Sessanta, in un centro per il recupero di ragazzi “interrotti”. Ha sempre vissuto, con la moglie e le due figlie, Emma e Paula, nella piccola cittadina di Västerås. Amava lavorare con i “perduti”, i paralizzati dalla vita, i gravi di molti dolori. Pur esile, l’opera di Tranströmer è stata tradotta in tutto il mondo, in sessanta lingue, anche in cinese e in indiano. Negli Stati Uniti, Tranströmer ha trovato un congeniale traduttore nel poeta – e amico – Robert Bly; nel mondo arabo è noto grazie ad Adonis. In Italia, Tranströmer è stato tradotto da Giacomo Oreglia (Poesie, Cnsl stampa, 1999), da Gianna Chiesa Isnardi (Sorgengondolen, Herrenhaus, 2003) e, dal 2001, da Maria Cristina Lombardi, che per Crocetti ha curato un’antologia esemplare, Poesia dal silenzio (ora in nuova veste).
Nonostante l’ictus, Tranströmer ha continuato a scrivere: per lo più, brevi testi, che irradiano rivelazioni. Fulmini conservati in un portagioie. Alcuni, hanno la tessitura di un nordico haiku; questo, ad esempio:
“Presenza di Dio.
Nel canto degli uccelli
s’apre una porta”.
Un distico dalla poesia Silenzio ci schianta per preveggenza:
“La fame è un alto edificio
che si sposta di notte”.
Allo stesso tempo, le atmosfere di Vilhelm Hammershøi, il pittore danese che dipingeva donne nerovestite viste di spalle, di fianco a colossali finestre bianche, si mescolano agli epigrammi messianici di Angelus Silesius, il mistico vissuto nel XVII secolo.
All’idolatria del benessere, Tranströmer preferiva le passeggiate nella neve e le “stanze silenziose”, dove “i mobili stanno pronti a spiccare il volo al chiaro di luna”. Il suo luogo prediletto era Runmarö, un’isola nell’arcipelago di Stoccolma, quasi disabitata, vegliata da paludi, nota per le orchidee: se ne contano almeno ventisette specie diverse. Lì, il nonno materno, Carl Helmer Westerberg, esercitava il mestiere di capitano di bastimenti che flottavano, come dromedari, nel Mar Baltico. A lui, nel 1974, Tranströmer dedica il poema più complesso, Östersjöar (“Mari Baltici”, appunto). Il tono è narrativo, cupo: il pilota che guida piroscafi e brigantini “per il meraviglioso labirinto di isole e d’acqua”, sembra un personaggio tratto da un romanzo di Conrad; i suoi occhi “leggevano dentro l’invisibile”.
Tranströmer amava la musica. Suonò il pianoforte, per diletto, per tutta la vita; impedito all’uso della mano destra, alcuni compositori svedesi idearono per lui pezzi per la sinistra. Durante la premiazione del Nobel, fu improvvisata La lugubre gondola di Franz Liszt, che aveva ispirato al poeta uno dei suoi libri più noti. Nel poemetto, l’immagine dell’“abate Liszt” che “porta sempre da solo la sua valigia nel nevischio e nel sole”, fa venire in mente a Tranströmer un sogno:
“Sognai che era il mio primo giorno di scuola ma arrivavo in ritardo.
Nell’aula tutti portavano maschere bianche sul volto.
Chi fosse il maestro non si poteva dire”.
A me pare che bianca sia la maestria di Tranströmer, una maestria del candore. Non grida la poesia di Tranströmer: eppure, ci assorda per eccesso di innocenza.
Leggendo il discorso di ringraziamento abbozzato dal marito, era il 10 dicembre del 2011, Monica recitò davanti ai reali del Nobel una poesia. “Stanco di chi non offre che parole, parole senza lingua/ sono andato sull’isola coperta di neve”. Così attacca Tranströmer. Il poeta insegna che “non ha parole il deserto” e che la poesia è come “orme di capriolo sulla neve”. Altrove ha scritto che
“Le mie parole scattano alla luce come scimmie su una grata,
si scuotono, si fermano e mostrano i denti”.
Che immagini meravigliose: la levità della neve, la ferma violenza dei denti, del morso; il capriolo e le scimmie. Il primate, il primato della debolezza.
Tranströmer muore nel 2015; l’ultimo libro, pubblicato nel 2004, s’intitola Den stora gåtan, che potremmo tradurre come “il grande enigma”. L’ultimo libro di Nelly Sachs, la grande poetessa tedesca transfuga a Stoccolma e Nobel per la letteratura nel 1966, s’intitola Enigmi roventi. Infine, il poeta è una fiamma nell’insensato, un colpo di dadi nel rebus dell’esistere.
Non so se Tranströmer abbia mai letto Giovanni il Solitario: l’asceta siriaco vissuto nel V secolo predicava che “Dio è silenzio e nel silenzio si canta quel canto che è degno di lui”. Allo stesso modo, il poeta svedese è penetrato nel silenzio e da lì ha estratto per noi un canto. Così, possiamo pacificare i mostri che ci dilaniano notte e giorno, seppellire il cuore nel nevaio perché rinasca, puro, integro, in forma di abete e di stella, di airone e di volpe.
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Storia fantastica
Ci sono giorni d’inverno senza neve quando il mare s’imparenta
con i tratti montuosi, accucciandosi in grigie vesti di piume,
un breve attimo blu, lunghe ore con onde che invano
come pallide linci cercano appiglio sulla riva ghiaiosa.
In giorni come questo esce il relitto dal mare in cerca dei
suoi armatori, seduti al chiasso delle città, e gli equipaggi
annegati soffiano verso terra, più sottili del fumo di pipa.
(Nel nord vagano le vere linci, con artigli affilati
e occhi sognanti. Nel nord dove il giorno
vive in una caverna giorno e notte.
Dove il solo sopravvissuto può sedere
alla fornace dell’aurora boreale e ascoltare
la musica dei morti assiderati.)
*
Un mattino d’estate l’erpice del contadino
s’impiglia in ossa di morto e in stracci di vesti.
Giaceva dunque ancora là quando la torbiera fu drenata,
e ora sta in piedi e percorre la sua strada nel sole.
In ogni provincia vorticano semi dorati
intorno a vecchie colpe. Il cranio protetto dall’elmo
nel campo coltivato. Un viaggiatore in cammino
e la montagna col suo sguardo lo segue.
In ogni provincia sibila la canna del cacciatore
verso la mezzanotte quando le ali si spiegano
e il passato nella sua caduta cresce
più oscuro della meteorite del cuore.
Un’anima che sfugge rende lo scritto rapace.
Una bandiera inizia a sbattere. Le ali si aprono
attorno alla preda. Superbo viaggio
dove l’albatros invecchia e si fa nuvola
nel vuoto del Tempo. La Cultura è una stazione
di caccia alle balene dove il forestiero passeggia
tra bianche fiancate e bambini che giocano,
eppure ad ogni respiro avverte
la presenza del gigante ucciso.
*
Dal marzo ’79
Stanco di chi non offre che parole, parole senza lingua
sono andato sull’isola coperta di neve.
Non ha parole il deserto.
Le pagine bianche dilagano ovunque!
Scopro orme di capriolo sulla neve.
Lingua senza parole.
Tomas Tranströmer
Traduzione di Maria Cristina Lombardi
*I testi sono tratti da: Tomas Tranströmer, Poesia del silenzio, Crocetti, 2025; in copertina: Tranströmer in un ritratto fotografico di Hans Gedda