
“Ciechi come le bestie appena nate”. Su Rilke & Cézanne
Arte
Isabella Bignozzi
Riccardo Corsi ha l’antica abitudine di scrivere a mano, su cartoline effigiate con l’elefante in corsa, dalle molte proboscidi. La calligrafia ha l’incertezza degli utopisti, di chi dà sostanza carnale alle ombre. Forse è così che una mera cartolina diventa fuoco, che si celebra l’obbedienza a un’amicizia. Le braci in abbraccio.
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Credo che il tema di questo breve scritto sia l’amicizia.
L’altro tema lo dico dopo, ma ha a che fare con una lettera che Heinrich von Kleist scrive alla sorellastra Ulrike, donna di pervicace bellezza. È il 1802, Kleist va per i venticinque anni, sogna epopee e s’innamora.
“Non so che dirti di me, uomo inesprimibile. Vorrei potermi strappare il cuore, incartarlo in questa lettera e spedirtelo”.
Che frase meravigliosa. Provo chirurgicamente a modellarla in questo modo. Uno scrittore ha bisogno di consegnarsi. Un altro deve rintracciarlo, deve ripercorrere i suoi scritti, con le torce in mano, a rischio di incenerirli. In questa lettura a lume impennato – che significa, strappare il cuore – l’inesprimibile trova espressione. L’inesprimibile si esprime attraverso un altro – opera di medianica compassione.
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Riccardo Corsi anima le Edizioni degli animali, ha scritto libri di singolare veggenza (ne dico due: Libro del vento, 2016 e La stella dei mondi, 2023). Le sue edizioni non fanno cultura, invitta vanità: invitano alla lotta. Così è scritto, nella lirica presentazione: “Animali, piante, esseri umani resi schiavi da altri umani, per loro lottiamo, per noi. Per donare nostalgia di verità, per le creature perdute nella vastità dei mondi che abitiamo e che chiedono di essere riscattate all’amore, alla vita che si agita in ogni cuore”.
Di solito, fanno libri molto belli – libri/selce, libri/albero, libri/astro. Questa volta, Riccardo mi invia un’opera d’arte. Su una poesia di Paul Celan è un poemetto di Thierry Metz che si sviluppa – a volo di corvo, a misura di volpe – intorno a un testo di Celan, appunto, “Es war erde in ihnen, und”, raccolto in Die Niemandsrose. Metz afferra i ferri di Celan e ne fa melagrana; spicca Celan, seminagione di Celan, Celan sotto la lingua, che ci esplode, rosso, in questo autunno di cappotti in milizia.
Il testo è tradotto da Pasquale Di Palmo, è “stampato con i caratteri mobili in piombo, come usava una volta” (Corsi), costruito insieme alle edizioni di Jacques Brémond. Per chi non lo sa, Jacques Brémond è il druido dell’editoria europea, un alchimista del torchio. Tra l’altro, Brémond è il primo editore ad aver creduto nella poesia di Metz: nel 1988 stampa Sur la table inventée (pubblicato nel 2018 in Italia, per le Edizioni degli animali, proprio a cura di Riccardo Corsi).
Nato a Parigi nel 1956, Metz, fisico colosso, allenato da diversi lavori di fatica (dal manovale all’operaio in contado), ottiene, per quel che importa a un poeta, una certa, granitica ammirazione: grazie a Jean Grosjean, nel 1990 pubblica con Gallimard Le Journal d’un manœuvre (uscito in Italia, a cura di Andrea Ponso, sempre per Edizioni degli animali, nel 2020). Sconfitto dalla morte del figlio, Vincent, investito da un’auto il giorno in cui ottiene il Prix Voronca, a precipizio nell’alcol e nella depressione, Metz si uccide nell’ospedale psichiatrico dove era stato internato, nell’aprile del 1997. In ospedale scrive L’Homme qui penche, il suo primo libro tradotto in Italia (nel 2001, da Via del Vento edizioni).
Negli ultimi anni, la parola di Metz ha attecchito con particolare potenza in Italia: nel 2021 Interno Poesia stampa Dire tutto alle case (a cura di Mia Lecomte), nel 2022 Il Ponte del Sale ha pubblicato Lettere all’innamorata (a cura di Pasquale Di Palmo).
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Sur un poème de Paul Celan è effigiato da Jacques Brémond, in origine, nel 1999. Ora ritorna, in doppia edizione. “Abbiamo lavorato come monaci in una tebaide (l’atelier di Jacques), al freddo, ma il risultato è meraviglioso e ci riempie di gioia. Marte e Maria unite nel lavoro manuale e nella tensione spirituale” (ancora Corsi).
Si diceva: amicizia, dedizione.
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Sarebbe ovvio tramare incastri tra l’opera di Celan e quella di Metz. È esercizio da entomologi. Tra di esse non c’è fratellanza alcuna – semmai: l’ipnosi degli insonni.
Le mani di Celan sono di cristallo: il poeta raccoglie i verbi dopo averli lentamente distillati. Celan elimina le scorie, con sapienza da cabalista. A contrario, Metz opera nella terra bruta, dona alle scorie entità verbale, fa ambra del fango, fa ambire alla creta di svolgersi in ghepardo. Le sue sono mani da sollevatore di pesi, da muratore.
Diverso è il punto in cui entrambi crollano: Celan nella mente, in un luogo circospetto del cervello; Metz all’apice della schiena, dove si snodano, a drago, le vertebre. Da qui, la scelta della morte per acqua, per Celan: spaccati i ponti con il mondo, gettarsi dal ponte. Poesia astrale, quella di Celan; da recluso, quella di Metz.
Mettiamoci in ascolto:
“Si direbbe che tutta la lava sia entrata
in te
e tu sanguini dentro.
Perdonami se te ne parlo così da vicino,
unendovi una scrittura che ti vede morire.
Una scrittura che non è che la tua mano
contro una piaga.
Poiché dietro certe mani
si nascondono ancora persone
che hanno la voce bruciata.
è questa cenere che applico contro te
ancora calda
quando parli.
quando anche tu non sarai che la cenere
della tua scrittura”.
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Ecco: l’amicizia, il cuore messo in una lettera. Metz non scrive una poesia d’après Paul Celan ma sur un poème di Celan. Si mette sopra, non a fianco – né davanti o dietro. Sopra. Non è seguace né precursore: usa le bende. Sta sopra. Come chi unge di olio un cadavere: cioè, ne rivela le fattezze autentiche. È quell’olio a rendere indistruttibile – risorto – quel corpo altrimenti in crollo, in disfacimento, biada per vermi. È l’olio a rendere tangibile il corpo insussistente. Allo stesso modo, Metz fa risorgere Celan.
C’è forse bisogno di un poeta perché l’opera di un altro poeta risorga? Non bastano i lettori? I lettori assistono al corpo/corpus vivente del poeta. Il poeta si occupa del corpo morto del poeta. Risorgere non vuol dire eterno ritorno dell’uguale.
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Mettiamoci in ascolto:
“Così passava il loro giorno, la loro notte”
Giorno dopo giorno, notte dopo notte:
cosa scorgere?
E chi ascoltare?
Una cavalletta nutre la voce di un bambino
o di un pazzo,
un filo d’erba. Finché c’è la madre.
Ma cosa può fare l’uomo dentro di sé?
abbandonato all’ortica, ostacolato dai suoi sogni?
Tra i due tutto è fatto
tutto è concluso
Perché forse non c’è più niente da dire sull’uomo,
come se qualcosa l’avesse preceduto,
qualcosa che l’avrebbe dimenticato
Per non realizzare che una morte
notte dopo notte, mano dopo mano.
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Ogni poeta per diventare poeta deve attraversare un poeta. Deve attenersi al lignaggio, deve intitolarsi degli avi.
Gioco estremamente rischioso. Chi entra nel corpo morto rischia di morire. No, non è necrofagia ma opera di luce: mettere le labbra in figura di torcia. Cioè: fare del proprio corpus cenere e di quella cenere rivestire l’altro, il prediletto.
Così Metz sceglie Celan come Celan ha scelto Mandel’štam che ha scelto l’Armenia e Ovidio. Tristia è il tono di questi poeti, Tomi la loro estrema ubicazione; la via degli esiliati.
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Amicizia, dedizione. “Insegnaci a pregare”, chiedono i discepoli in un passo particolarmente commovente del Vangelo di Luca. I discepoli sono privi di verbo perché la venuta del Verbo li ha annientati tutti; ha reso iniquo il chiedere e il pregare. Gesù, che “si trovava in un luogo a pregare” (Lc 11, 1), allora, ritorna in sé e offre ai discepoli le parole del Pater/Padre. Le parole da usare quando non sarà più con loro e ogni cosa sarà interrotta, muta, a bocca lacera.
Sono parole spoglie, perfino misere – che distanza dai tonanti tamburi dei Salmi, da quelle ferine metafore – giunte a piè pari da Eden. Sono parole a piedi nudi.
Ripetere le parole che un altro ci ha dato. Ripercorrere. Rintracciare e sognare in quelle tracce, accovacciarsi. Non è quello che fecero le stelle, ridiventando uomini? Curvarsi nelle tracce del cacciatore, installare una sequela di fiamme tra quelle orme. E a sua volta: l’uomo s’incunea nell’alfabetica traccia del capriolo e del lupo…
Caccia, insegnamento, amicizia. Poesia-preghiera. Richiesta: insegnaci…
Così Thierry Metz, tutto il contrario dei latifondisti del verbo, slaccia l’opera – vada a pascolare negli altipiani –, si mette ad altura di Celan, in lui pone il suo diritto, la sua tenda, la prima notte del tempo, il tempio.