Tre amanti – Rainer, Alessio e Claude; tre città – Genova, Milano e Saint-Tropez; tre epiloghi – un assassinio e due suicidi, uno certo e uno potenziale. Questi sono i pilastri dell’ultimo thriller (gotico? neodecadente?) di Silvio Raffo, a mio avviso, senza troppi giri di parole, il più bello mai scritto dall’autore. L’affetto profondo e reciproco che ci lega mi riporta alla genesi di quest’opera, prima di commentarne il contenuto.
Durante uno dei nostri incontri, sulle rive del Lago di Pusiano, ricordo la sua volontà di scrivere un romanzo attorno ad un faro. E così è stato, perché il faro sommerso è il teatro dei delitti di questo intrigo. Qualche mese dopo, alla Piccola Fenice di Varese, leggo l’incipit di un manoscritto: I tuoi occhi nel buio. E la rilettura a pubblicazione avvenuta (per Elliot) rinnova l’emozione. Poche altre volte ho goduto così tanto nel leggere un libro.
La storia è narrata da Rainer, un venticinquenne attore teatrale, che pianifica il suo suicidio. Ma quella stessa sera, prima del gesto fatale, assiste alla presentazione del romanzo La vita vissuta di Alessio Valli. Incredibilmente si tratta di lui, e Alessio deve saperlo. Inizia così una storia d’amore meravigliosa, a tratti assurda, a tratti invidiabile, a tratti temibile. Si asseconda un’affinità elettiva senza spiegazione, tra la ricerca dell’agàpe e il richiamo dell’eros. Fino a quando non incombe Claude, il bello senz’anima, scenografo che lavora nella stessa compagnia di Rainer. Il bel tenebroso sconquassa il fragile equilibrio che c’è tra Rainer, vittima di un’ammirazione patologica, e Alessio, pavido mitomane.
L’epilogo di questo ménage à trois è da standing ovation. Suggerito da qualche velato indizio, il finale risulta apprezzabile se si è disposti ad abbandonare per un istante la maschera del perbenismo e abbracciare per un altrettanto istante le regole del cuore e dell’amore irreprensibile.
Tuttavia, oltre alla trama intrigante, ricca di colpi di scena e di frasi ad effetto di Alessio riportate da Rainer, sorprende la psicologia dei personaggi. Rainer è fragile, insicuro e profondamente devoto, ma per questo imprevedibile. Lui vive della vita di Alessio, respira il suo respiro: lo vede come un miraggio meritevole di un amore incondizionato, e incurante del pericolo alimenta la sua idolatria. In sintesi, si tratta di un’ancella servizievole, che si trasforma nella sua nemesi quando teme che questo gioco sadico-masochistico possa finire per colpa di un nuovo adepto inaspettato.
Alessio è l’uomo che con il suo stile inconfondibile può permettersi il lusso dell’unicità; un dandy d’antan, amorale, privo di ogni definizione e impossibile da etichettare; un uomo la cui vita è un romanzo in itinere, da scrivere con la penna dell’istrionismo; è l’archetipo dannunziano – Bisogna fare della propria vita come si fa un’opera d’arte – il prototipo wildiano – O si è un’opera d’arte o la si indossa. Sa di essere un eletto, un artista la cui Natura richiede novità, anticonformismo, diversificazioni: assurge a deità; la sua Parola è rivelatrice, e la sua Anima non ha corruzioni contemporanee di alcun tipo. Crea un suo universo di velleità, di inutili necessità, sempre incipriato di Poesia, Bellezza ed Eleganza contagiose. Tutto è giusto per lui, e ogni scelta valica le convenzioni e la ripartizione della morale.
Claude è l’approfittatore che sa di essere bello, e che sfodera l’arma della bellezza per ottenere una raccomandazione. Non si cura di Alessio, e questo fa innervosire Rainer – che invece saprebbe come amarlo – e Alessio stesso – che non accetta di essere snobbato. Di tutti, forse, è quello che presenta un paradosso beffardo: da stratega iniziale, che si concede ad Alessio per appagarlo da quel punto di vista, finisce per essere la vittima di un piano diabolico; non venera lo scrittore per la sua caratura intellettuale, ma lo sfrutta per le sue conoscenze, così come usa Rainer per circuirlo meglio.
Mentre analizzo i personaggi, mi rifiorisce alla memoria la vita di Oscar Wilde. Rainer è Robbie Ross, il devoto amante che sacrifica la sua vita per sottostare, come un discepolo fedelissimo, ai desideri del grande artista; Alessio Valli è Oscar Wilde, incurante della fatica di chi lo assiste, come è incurante delle ripercussioni delle sue volontà; è fedele a se stesso e alla sua vocazione, ma è ipocrita e falso con gli altri; è capace di condurre in una fiaba e al contempo trascinare nell’abisso. E Claude Deauville è Alfred “Bosie” Douglas, l’amante maudit, un novello Lucifero, l’angelo più bello e ribelle; dannato e condannato e per questo ambìto, la cui malvagità è così innocente e naturale che sembra voluta.
Continuando con i parallelismi, questo tu, l’Alessio Valli a cui si rivolge Rainer, è Silvio Raffo. Vestiti eccentrici, il culto della Bellezza, la passione per la Francia, l’amore per la musica e per il mare; al punto che il mascheramento diventa il segreto di Pulcinella quando Alessio rivela di essere nato il 6 dicembre. Per chi legge Raffo, I tuoi occhi nel buio è la prima vera autocritica alla sua natura, radiografia della sua anima: una narrazione celebrativo-narcisistica, ma anche onesta e nostalgica, egocentrica e fragile, reale e mortifera; forse inutile, perché non ha scopo morale, ma necessaria per il suo essere. Rainer si presume possa essere uno dei possibili amori di Raffo – forse vissuti, forse anelati e sognati, forse non riconosciuti – in un legame greco tra eromenos ed erastes.
Come si è scritto in precedenza, di tutti i romanzi dell’autore questo è il più riuscito. Ho tessuto le lodi dell’Ultimo poeta, della Voce della pietra e del Segreto di Marie-Belle. Ma chi intende conoscere Silvio Raffo – l’uomo, il poeta, lo scrittore – deve leggere questo capolavoro. Surclassa tutti gli altri per una caratteristica che può sembrare ininfluente: l’onestà con cui racconta e la finzione con cui inventa, il tutto tornito e levigato dalla potenza della Parola, nel testo definita onnipotente. Una narrazione quasi cinematografica, con un ritmo dinamico e serrato, rallentato da citazioni dotte, riflessioni filosofiche e descrizioni alla Thomas Mann della Morte a Venezia e Tonio Kroger. È un piacere leggere autori che elevano la Letteratura ad arte della Parola. Scrive il mio amato Gabriele: La parola è una cosa profonda, in cui per l’uomo d’intelletto sono nascoste inesauribili ricchezze.
Perché questo è un romanzo che attraverso l’uso sapiente della Parola, ai limiti del Sacro, raggiunge il Segreto della Bellezza; valica la dimensione etica per abbracciare totalmente la dimensione estetica, sia nella forma sia nei temi. Perfino il tradimento qui assume un’inclinazione differente. Alessio tradisce Rainer con Claude, mentre l’amante è impegnato a teatro, senza successo, eppure Rainer non si infuria per il gesto in sé, quanto più per la paura di essere dimenticato. Anche la morte si riveste di esercizio estetico per una redenzione etica. Anelata da Rainer all’inizio del romanzo per una ragione esistenziale, viene invocata per appagare un’idea d’amore di puro corpo, di pura passione: la distruzione di cui saresti stato oggetto ti avrebbe ricongiunto a me. Il possesso morboso e la sottomissione dell’amato evocano la morte come condizione di eterna coesistenza. E ripenso al divino Oscar, quando scrive che l’arte è immorale. E ripenso al mio Gabriele, quando scrive che la forza sensitiva di Sperelli è causa di distruzione della forza morale.
Confesso che ho letto I tuoi occhi nel buio in due giorni, e tutte le volte che venivo interrotto mi innervosivo. È uno dei pochi romanzi in cui mi sono immischiato nella vicenda come se senza di me i personaggi non potessero procedere. Ma non in quella forma astratta, lontana e spesso forzata; avevo bisogno di conoscere il finale perché mi sentivo Rainer ma allo stesso tempo Alessio – mai Claude, per verità. Mi sentivo Rainer per la sincerità del suo sentimento e per la sorpresa di leggere di me in un libro scritto da un altro; mi sentivo Alessio per la sua natura artistica, sofisticata ed erotomane, e per la nobiltà d’animo. E sentivo sulla pelle quel racconto come se fossi responsabile di tutto; e pensavo: ma come andrà (o andrò) a finire? Così mi sbrigavo, e tornavo a prendere il libro come se fosse lo scrigno dei miei tormenti e dei miei ricordi, che nessuno – se non io – avrebbe dovuto scoprire. E tra lacrime e orgasmi sbarravo gli occhi; gli stessi occhi nel buio di Alessio, atterriti e finalmente sinceri, che Rainer riconosce in una pace sperata.
Davide Chindamo
*In copertina: Hans Bellmer, “La Poupée”, 1936