“Ti scrivo per dirti che la poesia è viva e sorgiva”. Una lettera a Boris Pasternak
Poesia
Giorgio Anelli
Chi lo conosce fa finta di non capire. Silvio Raffo, che in quell’opificio di lirica, di magia che è La Piccola Fenice, a Varese, ha la più vasta biblioteca di libri di poesia che abbia mai visto, è la dimostrazione vivente che si può vivere da poeti. Che si deve vivere poeticamente. La sua leggerezza – coniugata a una cultura ‘mostruosa’ – ti mette in scacco: cita un verso di Emily Dickinson e muta il muso canino del giorno in virtù primaverile. E tu che fai?, sei ancora lì, perduto tra gli ‘affari’ senza afferrare la coda di tigre della vita? Sempre sull’argine della gioia – cioè, sul lato di chi ha visto tutti i dolori, tutte le disperazioni, mungendone il diamante – Silvio Raffo, che è, primariamente, poeta e romanziere – La voce della pietra, ripubblicato da Elliot lo scorso anno, è stato tradotto in film, Voice from the Stone, nel 2017, con Emilia Clarke – ha compiuto una impresa che ha il senso della necessità e dell’azzardo. Muse del disincanto (Castelvecchi, 2019), è “Un’antologia critica” intesa a descrivere la “Poesia italiana del Novecento”. La necessità è data da chiarezza architettonica nella composizione e nitidezza stilistica. Insomma: Raffo non scrive per i critici, per i giornalisti delle ‘terze’ – ce ne sono ancora? –, tantomeno per i poeti o i curatori di auree collane editoriali. Vuole farsi capire. E ci riesce, scandendo il suo discorso in sei parti – dalla porzione Verso il Novecento al Caleidoscopio che orienta alle svariate esperienze liriche, minori ma non per questo meno interessanti, che hanno puntellato il secolo passato – spiegando ai non edotti (cioè: tutti) che cos’è la poesia (Appendice metrica) e che rapporto ha con la musica (“Sono solo canzonette”. Musa e musica leggera). Il resto, è l’azzardo. Silvio Raffo si erge, da sempre, a difensore della bellezza vilipesa, e lo dice, senza tema, fin da subito: “Il lettore appena esperto si accorgerà infine di un altro intento oggi decisamente ‘controtendenza’: quello di una difesa – lo ammette per primo chi scrive – del canone estetico-lirico di cui molti amano celebrare le esequie, o le hanno già celebrate da un pezzo. La Bellezza rimane di fatto l’unica ancora di ormeggio, sia per la letteratura sia per la vita”. Così, Raffo raccoglie – giustamente – Fernanda Romagnoli a discapito di Edoardo Sanguineti (‘mito’ della cultura che fu), riammette nel canone Antonio Delfini ma relega all’ombra Antonio Porta, imbarca Emilio Villa dimenticando Dario Villa, dà giusto pregio al Tommaso Landolfi poeta, ma a questo punto avrebbe potuto trattare anche Federigo Tozzi e Scipione, come Massimo Ferretti e Alessandro Ceni che paiono, parere tutto mio, mancanze reali. Ma forse non è questo il gioco da fare in una antologia dove ci si diverte a spigolare autori dimenticati – tra i tanti: Nella Nobili, Elena Bono, Giovanni Descalzo, Aldo Borlenghi, Maria Luisa Belleli, Enzo Fabiani, José Basile, Biagia Marniti – finalmente degnati di attenzione autentica e gratuita (cosa non da poco: l’antologizzatore non si auto-antologizza). Dove l’autore, al posto di fare il maestrino del canone, l’inquisitore della letteratura, ci affronta: e tu, hai il coraggio di farti poeta, di spendere tutto per la bellezza? Infine, un libro che trasuda vita, evviva. (d.b.)
Disincanto. Significa che la musa non incanta più?
Le Muse, esattamente come gli Angeli, si sono stancate, disincantate, per la desolante destituzione dell’incanto e del canto: nessuno vuole né sa più cantare, e a loro, che vivono in funzione del canto che possono ispirare, non resta che appollaiarsi sulle balaustre della scala di una villa abbandonata come quella “sul lago d’Orta” di Montale. Sono tristi, poverine, perché “l’armonia non vince di mille secoli il silenzio”, anzi si è spenta del tutto. Mi ricordano gli angeli di una mia poesia di Lampi della Visione. Gli Angeli sono tristi perché “strano/ suona il loro saluto al cuore umano/ Si riposano stanchi sulle guglie/ di turrite città, piangono un poco/ tra loro si sorridono per gioco./ Gli Angeli sono tristi perché vano/ sentono in loro annuncio al cuore umano”. Come diceva già l’Aldo burlone più di cent’anni fa “I tempi sono cambiati/ Gli uomini non domandano niente dai poeti…”. Lui però, almeno, si divertiva (“tri tri tri, tru tru tru”). Quei morti viventi dei ‘poeti’ di oggi non hanno un briciolo di brio, non solo hanno perso il dono del canto ma non hanno niente da dire (Marino Moretti diceva per vezzo di non “aver nulla da dire”, ma poi ci raccontava storie deliziose, questi al massimo contano le piastrelle del pavimento o illustrano l’interno di un frigorifero elucubrando cervelloticamente sul nulla). Oggi la poesia è un esercizio di ingegnosità lambiccata, senza l’entousiasmòs e la gioiosa bizzarria dell’estro barocco (i cui voluttuosi arabeschi palpitavano di ebbrezza senza mai tradire i principi dell’ut pictura poesis e la convinzione che “è del poeta il fin la meraviglia”). Un’arida pantomima in cui la Bellezza non ha alcuna voce in capitolo. Quale “meraviglia”? Niente più stupore, né vitalità di canto (“poiché la vicenda si compie/ senza eroismo, senza passione, senza bellezza”, Mariagloria Sears, 1954). A dettar legge nella poesia del terzo millennio, come in generale nell’arte, salvo qualche eccezione, parrebbe proprio il contrario della Bellezza. Quel Bello che fu chiamato “l’inizio del Tremendo” è stato sostituito dalla grisaglia dell’insignificante. L’anelito all’avventura metafisica è guardato con sospetto se non con disprezzo, per non parlare della ‘melodia’ o di qualsiasi incanto del canto (considerati elementi obsoleti e ‘accademici’ – come se Penna, puro melodico cantore, fosse minimamente accademico!). Pare che la finalità precipua debba essere una surrettizia ‘aderenza alle cose’, soprattutto si deve essere ‘attuali’, immersi nel ‘reale’ (come se sapessimo cos’è davvero) e non dimenticarci dei ‘problemi sociali’, tutto ciò insomma di cui la poesia ha sempre tenuto conto, ma da un punto di vista privilegiato e ‘trascendente’.
La tua è una antologia polemica: scombussoli il canone con il cannone, dici che non esistono ‘minori’ semmai sono ‘minorati’ (dico io) certi critici e i loro criteri. Spiegaci cosa ha animato il tuo lavoro, anomalo.
Polemico è un aggettivo che non mi appartiene, come anche ‘provocatorio’. Diversamente da molti miei contemporanei, non m’interessa polemizzare né provocare. Ognuno la pensi come vuole. Io ho un’idea precisa dell’essenza della Poesia (e uso non a caso la maiuscola) e non scrivo neanche una riga per compiacere miei amici o ‘clienti’. Scrivo quello che penso anche se non è politically correct. Ritengo che oggi la poesia sia in disarmo, che la stragrande maggioranza di coloro che sono qualificati come poeti siano scrittori in versi che non sono più nemmeno versi. La poesia si costituisce di tre elementi: la musicalità, la trasfigurazione fantastica, la vivacità dell’espressione. La stragrande maggioranza dei poeti di oggi potrebbe fare a meno di spezzare il ‘sermo continuus’ perché i loro scritti, non avendo alcuna dimensione musicali, sono semplicemente prosa che si ferma a un certo punto per andare a capo (ciò che risultano a volte, ahimè, anche certe pessime traduzioni di poeti che siamo costretti a leggere solo in originale per non inorridire). Quanto alla trasfigurazione fantastica, non è più in uso, la realtà non viene più trasfigurata e ricreata ma piuttosto riprodotta fotograficamente, e questo potrebbe andar bene se si verificasse con un impatto drammatico e suggestivo, ossia con una impronta che rimandi comunque altrove, (il ‘suggerimento’ mallarmeano) ma il fatto è che oggi si tende, come aveva intuito già il grande Luigi Baldacci, a spacciare per enigmatica la banalità. ‘Fantasia’ significa “capacità di rappresentazione e di trasfigurazione”, ed è la principale carenza di una generazione cresciuta davanti alla tivù. Quanto alla vivacità dell’espressione, quella che si avverte nei testi (se li leggiamo) è la stessa che si rivela nell’ascoltarli se li leggono ad alta voce, di una noia esiziale (c’è qualche poeta oggi che legge come sapeva leggere Ungaretti?). Ahiahi, mala tempora currunt anche per quanto riguarda l’interpretazione (rileggete Quintiliano ragazzi, actio, dispositio, etc.). Non ho mai negato che esistano poeti maggiori e poeti minori. Solo trovo assurdo che vengano considerati minori alcuni che sono di valore pari ai più noti. Camillo Sbarbaro e Libero De Libero, Bartolo Cattafi e Daria Menicanti non sono ‘minori’ rispetto a Montale, sono diversi da Montale ma poeti autentici, fecondi, fedeli a un credo come lui.
Intendo. Non sarebbe stato meglio semplificare la scelta, decrittare e decapitare (già Mengaldo ne allineò tantissimi, 40 e passa anni fa, denunciando l’impossibilità del canone), più che allargare smodatamente le maglie liriche?
No, desideravo che il quadro fosse completo. E non potevo tralasciare parecchie voci di poeti validi e vivaci, nel Caleidoscopio finale: voci che NESSUNA delle antologie degli ultimi quarant’anni ricorda e valgono più di tanti poetucoli strombazzati dai loro amici critici e scribacchini.
Dimmi chi è (e perché): il poeta del Novecento più sottovalutato.
Camillo Sbarbaro. Esistono pochissimi saggi critici sulla sua opera, alla quale deve parecchio anche Montale
…il più sopravvalutato…
Pier Paolo Pasolini, le cui poesie apprezzabili sono a mio avviso solo quelle della stagione giovanile. Anche Montale è ipervalutato: benché si tratti indubbiamente di un grande poeta, trovo che gli scritti critici di cui è stato oggetto siano più del necessario, mentre ad altri ne sono stati dedicati pochissimi. Le mode culturali sono una piaga Efesto. Chi si guadagna un trono non lo perderà mai. Basti pensare al fenomeno Alda Merini. In un anno le sono stati dedicati sedici volumi dal Corriere, dozzine di tesi di laurea e un museo (dove peraltro vado molto volentieri a tenere corsi e seminari, ambiente simpaticissimo) mentre a Maria Luisa Spaziani – indubbiamente più alta di Alda nel senso luziano del termine – nessuno ha dedicato alcuno spazio ‘in memoriam’ fuorché un paio di articoli. Il torto di Maria Luisa, la vera first lady della poesia femminile italiana, è stato di non aver fatto mai parlare di sé come personaggio e non aver mai usato un linguaggio ‘popolare’ nelle sue interviste.
…quello che ti porteresti nell’isola deserta…
Dato che Emily Dickinson la conosco quasi tutta a memoria, porterei con me in un’isola deserta Guido Gozzano o Giovanni Pascoli (è concessa un’accoppiata? Mi avvalgo di questo diritto autorizzato da Emily, che afferma “Uno più uno fa uno”).
…quello che avresti voluto conoscere…
Mariagloria Sears, prima che si togliesse la vita. I leoni sul sagrato è una delle poesie più belle del decennio ’50/60.
…il più simpatico e l’insopportabile (come traluce dall’opera)…
Il più simpatico Palazzeschi (ex aequo con Juan Rodolfo Wilcock). Insopportabile Edoardo Sanguineti.
…quello che leggi continuamente.
Giovanni Pascoli.
Oggi: qual è lo stato della poesia italiana (dunque della italica civiltà)?
“Povera e nuda vai, cara Poesia”. Quanto alla civiltà italica… perché, c’è ancora?
Insisti sulla parola Bellezza, dileggiata, direi, nelle aule della lirica dominante. Cos’è questa bellezza?
La Bellezza, senza scomodare Keats e il suo motto comunque sempiterno Beauty is Truth, Truth Beauty, that is all/ ye know on earth and all ye need to know (nel quale peraltro credo) è la gioia del contatto con il mistero, non può aver luogo con nulla che sia solo contingente ma è ontologicamente qualcosa di ‘out of sight’ anche se la riconosciamo in qualcosa che vediamo. Baudelaire ne Lo straniero la definisce “divina e immortale”: è proprio così. Nella vera arte la Bellezza si fa verbo e immagine. Tutto qui. E la sua essenza non cambia perché non dipende dal tempo storico (lo trascende infatti), non cambia per il fatto che domini il brutto. Quando domina il brutto vuol dire semplicemente che ci sono in circolazione meno anime belle. Oggi è così. La Bellezza, come la ‘grandezza’, non è di moda. Sì, è esatto dire che è dileggiata. Umiliata e offesa, sta per lasciarci o ci ha già lasciati. Anche lei (come gli dei e gli angeli). “Per puro spavento” (a dirlo, è ancora una volta la sovrumana Emily). Beauty has no cause. It exists (or not) Chi la ama la scorge – aggiungiamo – o sente ancora “l’indizio del suo nume”, e – oggi con molta fatica – riesce ancora a farla respirare. Quanto a chi non la ama, peggio per lui. La Bellezza ‘dovrebbe’ salvare il mondo, ma se il mondo non vuole salvarsi non lo salverà.