Un viaggio onirico, mitico, crepuscolare che avvolge il lettore in un itinerario da sogno alla ricerca di un mondo originario e sacrale che si snoda nella cornice di una Grecia diva, tra rovine arcaiche e santuari millenari, in un’atmosfera sospesa ai confini del tempo inseguendo le orme delle antiche divinità silvestri, nascoste tra i luoghi fatali della cultura classica all’ombra di quelle “cose più antiche dei nomi che portano”. Sono queste le caratteristiche principali che definiscono In cerca di Pan, l’ultima opera di Filippo Tuena, edita Nottetempo, uscita recentemente e tra i finalisti del Premio Campiello.
Tuena, in questo testo, porta il lettore a intraprendere un itinerario labirintico verso le fonti del mito, tra le rovine di Sparta e le estasi del santuario di Delfi, le ombre di Artemide, di Pan e di Andromeda, e le vestigia di un passato omerico realizzando un vero e proprio pellegrinaggio spirituale e letterario che attraversa tutta la Grecia fino al Mar Nero, “alla ricerca degli antichi dei che poco a poco scompaiono da questo mondo”. Un pellegrinaggio che porta il lettore ad immergersi in un mondo ciclico, atemporale, metafisico, fatto di statue, di rovine, di attese, di epifanie in cui dei, fauni, satiri e ninfe esistono ancora, resistono ancora. Il testo, infatti, segue le vicende di un gruppo di viaggiatori che partiti dal porto di Brindisi, nel crepuscolo di un’epoca indefinita, si dirigono nei luoghi originari della Grecia arcaica fino a Costanza, in quel Purgatorio segreto e lontano in cui fu confinato il poeta Ovidio esiliato da Augusto. In questa “crociera”, tra santuari e ierofanie, il lettore verrà accompagnato da personaggi dal fascino dechirichiano, come gentiluomini viennesi amanti di Strauss e “ninfe moderne” in attesa nella loro Jacuzzi, che comporranno l’equipaggio e il coro scanzonato di questa immersione in un mondo sacro e orfico, fatto di metamorfosi, di transustanziazioni, di mutamenti.
Un mondo nel tempo e fuori dal tempo, in cui personaggi che partecipano al viaggio sfuggono a una classificazione temporale, morale e sociale ben precisa, fatta eccezione per alcuni di essi. È il caso di personaggi come la signora della Jacuzzi e il vetusto musicologo viennese, i quali fungono da moderne incarnazioni della dea Artemide, la prima, e del satiro Pan, il secondo (che viene riscoperto nella sua mortale e frenetica vitalità), moderne maschere di queste creature silvestri in cui il mito riaffiora nelle vicende dei due personaggi e nelle osservazioni del narratore del testo come in un’alba delle ninfe. Le pagine di Tuena, infatti, evocano un’atmosfera aurorale animata e dominata dall’influenza di Ovidio, il cantore della fine del mondo antico (nume tutelare di Tuena da sempre), e delle sue Metamorfosi, che in questo testo, come nelle Galanti, trovano originale rivisitazione e attualizzazione.
Non a caso tra i personaggi dell’opera di Tuena, tra i più rilevanti, figura anche un poeta esiliato, che si presenta come una vera ipostasi di Ovidio, che oltre ad essere uno delle figure più significative del testo è anche il vero Genius loci dell’opera. Il testo però non è soltanto un diario di viaggio o una rapsodia classica. In questo viaggio tra il tramonto degli oracoli e le metamorfosi dell’eterno, l’autore, infatti, innesta considerazioni, osservazioni, poesie, illuminazioni, costruendo una sottile trama invisibile che fonde il nostos e le divinità silvestri, la favola di Artemide e Pan e i Tristia ovidiani. Muovendosi in una cornice originaria e carnevalesca, rituale e felliniana, che mostra le metamorfosi nelle sue più oniriche sfaccettature attraverso sperimentazioni stilistiche e innesti letterari.
L’opera, dotata di uno stile ipnotico e ammaliante, infatti, fonde prosa e poesia, fiction e non fiction, critica e prosimetro in una combinazione innovativa che porta agli estremi le tecniche narrative già sapientemente sviluppate ne Le Galanti, abolendo i canoni convenzionali del romanzo. Infatti, come nelle Galanti, uno dei libri più riusciti di Tuena, il tempo e il ricordo, il passato e il presente, il verso e il saggio, il visibile e l’invisibile si alternano, si intrecciano, si trasformano, in una continua metamorfosi che carica la narrazione dell’autore di un fascino metafisico, borgesiano in cui il sogno sfuma nel mito ed il verso si fonde nell’elzeviro, in continuo sovrapporsi di tecniche e piani temporali diversi. Il viaggio compiuto dai personaggi di In cerca di Pan, si muove in un mondo dai contorni e dalle coordinate temporali indistinte, tra i paesaggi arcaici di una Grecia diva e minoica, e le atmosfere frantumate della contemporaneità. La stessa imbarcazione che accompagna questa navigazione potrebbe essere, del resto, un battello a vapore in stile Belle époque o un triremi dei primi anni del principato di Augusto, come una imbarcazione moderna che potrebbe salpare in una giornata qualsiasi dal porto di Brindisi, posizionando il tempo dell’opera nel tempo e fuori del tempo.
Leggendo In cerca di Pan, il lettore si confronterà con un testo che non ha nulla a che fare con i soliti cliché e stereotipi del romanzo italiano, ma con un libro originario ed originale che fonde le feste galanti di Watteau con il fascino onirico del Sogno di una notte di mezza estate, osservazioni poundiane e smarrimenti borgesiani. Creando una Grecia mitica, che più che al Mediterraneo di Nikos Kazantzakis assomiglia a quello di Alberto Savinio, più che alla quieta grandezza neoclassica rimanda alle fantasmagorie metafisiche, inserendosi in un percorso artistico che include Le Galanti, La voce della Sibilla tra i più significativi lavori di Tuena, e che si completa in un testo capace di rappresentare in mondo contemporaneo e non manieristico ciò che nasconde davvero il mito: l’invisibile, l’ineffabile, l’incredibile.