08 Settembre 2022

“Facundo è il nostro più memorabile personaggio...”. Elogio del gaucho e della sua ferocia

Martín Caparrós è autore noto in Italia: argentino, classe ’57, poligrafo, è tradotto da Einaudi. L’ultimo libro – appena uscito nel mondo spagnolo per Random House – s’intitola Sarmiento ed è, in sostanza, la biografia romanzata di Domingo Faustino Sarmiento, presidente dell’Argentina dal 1868 al 1874. Intellettuale, giornalista, abile diplomatico, Sarmiento si distingue dai politici sudamericani del tempo, per lo più corrotti, spesso militari, feroci in battaglia. Caparrós è affascinato dall’inadeguatezza di Sarmiento al potere: “Aveva la sensazione di non essere accettato dalla società politica, una legittimità che non ha ottenuto neanche con la presidenza. Sapeva di non essere di nessuno, di essere stato scelto come una specie di patto tra due o tre partiti. Fece l’impossibile per esercitare un potere che lo aveva toccato quasi per caso. Si diceva porteño tra i provinciali e un provinciale tra i poteños, argentino tra tutti loro”, ha detto lo scrittore intervistato dal “Clarín”.

Più che altro, prima di tutto, Sarmiento ha scritto il libro che fonda, per così dire, il carattere argentino: Facundo: Civilización y Barbarie.  Pubblicato nel 1845 in Cile, negli anni dell’esilio, Facundo è il libro originario, il classico assoluto dell’Argentina, che si insegna dalle scuole elementari. Legato ai criteri sommari del romanzo storico – i modelli sono Victor Hugo, Walter Scott, Fenimore Cooper, Alessandro Manzoni – il libro di Sarmiento sovverte i generi, rasenta l’eclatante modernità, alterna parti sociologiche e narrative, analisi politica, dettaglio da antropologo, arguzia romanzesca. La prima parte del libro è dedicata alla storia della giovanissima “República Argentina” e all’analisi della originalidad y caracteres argentinos. È Sarmiento, di fatto, che impone il gaucho come figura dominante dell’immensità sudamericana: questo incrocio tra il vaccaro e il corsaro, l’avventuriero e il fattore, il vagabondo a cavallo, che conosce la nobiltà della ferocia, l’ardore di una vita impugnata per le redini, di cui tiene il morso. Sarmiento riconosce la peculiarità “barbara” del Sudamerica, da cui le continue “rivoluzioni”, le sovversioni, la noncuranza nell’esercizio, spesso violento, del potere. Alla “barbarie”, appunto, Sarmiento sostituisce la “civiltà”: è necessario incastonare l’indole guerresca in un sistema sociale e culturale ben rodato, colto, che ha il modello principe in Francia. Sarmiento scrive da sconfitto, da esule, e sa convertire il crollo in lucidità: Facundo è fondamentale per capire le pulsioni argentine quanto lo è La democrazia in America di Toqueville per comprendere gli Usa, ma si legge come un romanzo di Joseph Conrad.    

Al di là delle idee politiche di Sarmiento – la forza e la debolezza della trattazione stanno nei giudizi tranchant – è la possanza narrativa, frugale e consapevole, ad affascinare. La seconda parte del libro, che narra la vita di Juan Facundo Quiroga, il caudillo amante del gioco d’azzardo, famelico di sangue, geniale in battaglia, soprannominato Tigre de los Llanos, ucciso in un agguato, per vile complotto, nel 1835, è meravigliosa. Chi ha confidenza con i romanzi di Cormac McCarthy vi scorgerà atmosfere – deserti, cavalcate impetuose, memorabili coltellate, spietatezza a mazzi – percepite nella “Trilogia della frontiera”. Figura negativa, secondo lo schema di Sarmiento, tuttavia Facundo ci appare come un uomo dal fascino corrusco, dalle invidiate avventatezze.

La documentazione storica, minuziosa, l’accortezza narrativa, fanno del Facundo un libro anomalo, che tenta, con miliare concretezza – tanto i gaucho sono capaci con la lama, tanto Sarmiento è spietato con la penna – l’epica di un continente. Di questo libro così importante c’è scarsa traccia nel contesto italiano: all’edizione Sonzogno del 1889 ha fatto seguito, nel 1953, l’edizione Utet; nel 2014 Mimesis, per la cura di Alessandra Ghezzani e la traduzione di Giulia Pardi, ha soccorso gli audaci. Ma un libro di tale importanza – anche per la precoce dissoluzione dei generi letterari – ha bisogno di altro contesto. Qui proponiamo, in nuova traduzione, un brandello del Facundo.  

Secondo Miguel de Unamuno, Sarmiento è stato “il più grande scrittore spagnolo del XIX secolo, più spagnolo degli spagnoli che usavano la stessa lingua in Spagna”. I miti anteriori del Facundo, riconosce Unamuno, sono la Divina Commedia e il Chisciotte. Nei Prologhi, Jorge Luis Borges dedica pagine fondamentali al Facundo, suo libro eletto:

 “Sarmiento capì che per comporre la sua opera non gli sarebbe bastato un rustico anonimo e cercò una figura di maggior rilievo che potesse personificare la barbarie. La trovò in Facundo, fosco lettore della Bibbia, che aveva issato la nera insegna dei bucanieri, con il teschio, le tibie e il motto ‘Religione o Morte’… Nessuno poteva venirgli più adatto, per il buon esercizio della sua penna, del predestinato Quiroga, che morì in carrozza crivellato di pugnalate… Il Facundo costruito da Sarmiento è il più memorabile personaggio della nostra letteratura… Non dirò che il Facundo sia il primo libro argentino; le affermazioni categoriche sono espressioni non già di convenzione ma bensì di polemica. Dirò che se lo avessimo canonizzato come il più esemplare fra i nostri libri, altra sarebbe stata la nostra storia, e migliore”.

L’assolo introduttivo, poi, fa venire i brividi:

“Ombra terribile di Facundo, vado a evocarti, scuotendo la polvere insanguinata che copre le tue ceneri: levati a rivelarmi la vita segreta, le interne convulsioni che lacerano le budella di un nobile popolo. Tu hai visto quel segreto, rivelamelo!”.

La benedizione di un mondo accade per sangue.

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Vita di Juan Facundo Quiroga. Infanzia e giovinezza

Tra le città di San Luis e di San Juan si dilata un deserto che, per la totale mancanza d’acqua, ha il nome di traversata. Quelle solitudini hanno un aspetto triste e desolato, e il viandante che viene da oriente non riesce a raggiungere l’ultima cisterna di campagna se non ha con sé sufficiente scorta d’acqua. In questa traversata ha avuto luogo la scena stravagante che segue.

Le coltellate, tanto frequenti tra i nostri gauchos, avevano costretto uno di loro ad abbandonare precipitosamente la città di San Luis, e a compiere la traversata a piedi, sella in spalla, per scampare alla persecuzione della giustizia. Un paio di compagni avrebbero dovuto raggiungerlo, dopo aver rubato tre cavalli. A quel tempo i pericoli in cui incorreva il viandante non erano soltanto la fame o la sete: una tigre, grossa, sempre all’erta, seguiva da un anno le tracce di chi si smarriva nel deserto: aveva già fatto otto vittime, adorava la carne umana. Spesso accade in quei paesi remoti che bestia e uomo si contendano il dominio del territorio, e che questo crolli sotto l’artiglio sanguinante della prima. Da quando la tigre aveva scoperto il sapore della carne umana, iniziò a cacciare l’uomo. Il giudice che dominava la campagna, teatro di tale caccia efferata, aveva convocato una falange di uomini abili nell’assalto per inseguire la tigre, gonfia di carne: raramente si sfugge a ciò che delibera la legge.

Facundo

Quando il nostro vagabondo aveva camminato per circa sei leghe, gli parve di udire un ruggito, cominciò a tremare. Il bramito della tigre è simile al grugnire del maiale, ma è prolungato, stridulo, cupo, tale da provocare un sussulto involontario nei nervi, come se la carne tremasse all’annuncio della morte imminente. Poco dopo, l’urlo si fece distinto, prossimo: la tigre era già sul sentiero, già visibile. I ruggiti si susseguivano, uno più profondo dell’altro: bisognava prendere ritmo e correre.

Gettando la sella a un lato della strada, il gaucho si diresse verso un albero che, nonostante la pochezza del tronco, era sufficientemente alto e poteva dargli riparo. Dalla cima, riuscì a vedere la scena: la tigre trottava a passo svelto, annusava il terreno, ruggiva con più forza avvicinandosi alla preda. La tigre passò davanti al punto in cui il gaucho era scomparso: si infuria, vortica, vede la sella e ci si avventa, la distrugge. Irritata, torna sul sentiero, si rimette a cercare, finché, infine, alza lo sguardo e vede la preda, arroccata all’albero, che oscilla, come le canne su cui sono appollaiati gli uccelli.

Allora, la tigre smise di ruggire; si avvicinò, e con un balzo iniziò a scuotere il tronco. La bestia tentò un altro balzo, imponente, fece un giro attorno all’albero, cercò di sradicarlo, aveva gli occhi arrossati di sangue, aridi; infine, battendo la coda, con la bocca socchiusa e mesta, si sdraiò a terra. Questa scena orribile durava da due ore: la postura violenta del gaucho e il fascino che esercitava su di lui lo sguardo immobile e spietato della tigre, da cui, per quell’attrazione tremebonda, non poteva distogliere gli occhi. Le forze gli stavano venendo meno, prefigurava il corpo esausto crollare nella bocca della bestia, quando il rumore di cavalli al galoppo, al largo, gli diede speranza di salvezza. In effetti, i suoi amici avevano scorto le tracce della tigre e cercavano, pur sfiduciati, di aiutarlo. Srotolarono i lacci, ingarbugliando la tigre, accecata dalla furia. La bestia, intrappolata tra le corde, non poté sottrarsi alla pioggia di coltellate con cui, chi avrebbe potuto essere la sua ennesima vittima, si vendicava.

“Capii soltanto allora cosa significa avere paura”, diceva il generale don Juan Facondo Quiroga a un gruppo di ufficiali. Lo chiamavano Tigre de los Llanos, e questo soprannome non gli pareva male, suonava bene, gli era degno. La frenologia e l’anatomia comparata hanno dimostrato le relazioni che esistono tra le forme esteriori e le disposizioni morali, tra la fisionomia dell’uomo e quella di alcuni animali, ai quali, per carattere, somiglia. Facundo, così lo chiamarono per lungo tempo nelle campagne – il generale don Facundo Quiroga, l’eccellentissimo comandante don Juan Facundo Quiroga, tutto questo venne dopo, quando l’alta società lo accolse nel suo seno, e la vittoria lo aveva coronato con il lauro –, Facundo, dicevo, era basso e tozzo, le spalle larghe reggevano una testa ben formata, ricoperta di folti capelli neri, ricci, sopra un collo corto. Il viso ovale sprofondava entro una selva di capelli, cui corrispondeva una barba altrettanto folta, egualmente riccia e nera, che saliva presso gli zigomi, dimostrando una volontà ferma e tenace. Gli occhi neri, gravi di fuoco, sottolineati da folte sopracciglia, provocavano un involontario sussulto di terrore in coloro che osavano spiarlo, perché Facundo non guardava mai dritto davanti a sé: per abitudine e arte, per il desiderio di restare insondabile e temibile, teneva il capo inclinato, guardava di sottecchi, come l’Ali Pasha del pittore francese Raymond Monvoisin. La sua fisionomia era regolare, la pelle dal candore brunito ben si adattava alle spesse ombre in cui era recluso quel corpo.

La struttura della sua testa, tuttavia, rivelava il carisma degli uomini nati per dominare. Quiroga possedeva le doti naturali che resero uno studente di Brienne il genio di Francia e fecero dell’oscuro mamelucco che combatté i francesi alle Piramidi il viceré d’Egitto. La società in cui sono nati conferisce a questi personaggi il carattere: diventano sublimi, classici, per così dire, in alcune zone dell’umana civiltà; sanguinari e malvagi, una disgrazia, in altre, sprofondate nella barbarie.

Domingo F. Sarmiento

Gruppo MAGOG