07 Luglio 2022

“Addio bastardi maledetti vermi immondi”. Leggendo Salvatore Toma

Canzoniere della morte di Salvatore Toma è una sorpresa che assaggio all’imbrunire di una canicola che non vuole affatto darci tregua, in questi giorni indigesti di umore nero e spiacevoli sensazioni. La poesia che leggo come un ladro, potrebbe non essere facile da digerire, né tanto meno da leggere; ma l’esperienza variopinta dei miei anni (tra incontri, scontri, sbavature, vizi, inciampi e monellerie) mi permette un certo distacco che distacco non è.

Ciò nonostante, se non avessi appunto incontrato il destino duro che mi riguarda apertamente nel quotidiano; se, per altro, non esordissi ogni giorno come se fosse il primo e l’ultimo, inconsciamente non aspirerei ad alcuna salvezza. È perciò una spavalda irriverenza che mi porta a duellare con le parole, con le persone, con gli inganni e le paure del nostro tempo infame. E non può essere altrimenti l’incontro con un poeta che non conosco affatto, ma tanto vivo da farci a volte male.

Il male con questo genere di poesia però non c’entra, o, almeno, non mi riguarda. È anche vero che d’altronde in ogni istante tutto può cambiare. Ma invece, a discapito di tutto, Salvatore Toma aveva le idee ben chiare, quando scriveva l’Ultima lettera di un suicida modello:

A questo punto
cercate di non rompermi i coglioni
anche da morto.
È un innato modo di fare
questo mio non accettare
di esistere.
Non state a riesumarmi dunque
con la forza delle vostre incertezze
o piuttosto a giustificarvi
che chi si ammazza è un vigliacco:
a creare progettare ed approvare
la propria morte ci vuole coraggio!
Ci vuole il tempo
che a voi fa paura.
Farsi fuori è un modo di vivere
finalmente a modo proprio
a modo vero.
Perciò non state ad inventarvi
fandonie psicologiche
sul mio conto
o crisi esistenziali
da manie di persecuzione
per motivi di comodo
e di non colpevolezza.
Ci rivedremo
ci rivedremo senz’altro
e ne riparleremo…
Addio bastardi maledetti
vermi immondi
addio noiosi assassini.

Dunque, quel che soprattutto mi resta di questi feroci versi, riguarda l’inizio e la fine. Perché se sono poeta e faccio poesia è proprio per rompere i coglioni e dire che esistere significa molto ed è valore assoluto. E che, un giorno o l’altro, sì ci rivedremo. E lo affermo con la beata ignoranza di chi si affida alla testimonianza di chi mi ha preceduto, pur non avendone le prove e nemmeno riuscendo a crederci pienamente.

Che sia io un ingenuo? Che lo fosse stato perfino Salvatore? Può darsi.

Per quanto mi riguarda, “bastardi maledetti” delle lettere, la musica prorompe ancora a tutto volume dalle mie vene, e batte, e sembra quasi dire:

Àrditi Toma
datti fuoco acqua terra
datti luce
batti palpita schiuditi
battiti.

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