Canzoniere della morte di Salvatore Toma è una sorpresa che assaggio all’imbrunire di una canicola che non vuole affatto darci tregua, in questi giorni indigesti di umore nero e spiacevoli sensazioni. La poesia che leggo come un ladro, potrebbe non essere facile da digerire, né tanto meno da leggere; ma l’esperienza variopinta dei miei anni (tra incontri, scontri, sbavature, vizi, inciampi e monellerie) mi permette un certo distacco che distacco non è.
Ciò nonostante, se non avessi appunto incontrato il destino duro che mi riguarda apertamente nel quotidiano; se, per altro, non esordissi ogni giorno come se fosse il primo e l’ultimo, inconsciamente non aspirerei ad alcuna salvezza. È perciò una spavalda irriverenza che mi porta a duellare con le parole, con le persone, con gli inganni e le paure del nostro tempo infame. E non può essere altrimenti l’incontro con un poeta che non conosco affatto, ma tanto vivo da farci a volte male.
Il male con questo genere di poesia però non c’entra, o, almeno, non mi riguarda. È anche vero che d’altronde in ogni istante tutto può cambiare. Ma invece, a discapito di tutto, Salvatore Toma aveva le idee ben chiare, quando scriveva l’Ultima lettera di un suicida modello:
A questo punto cercate di non rompermi i coglioni anche da morto. È un innato modo di fare questo mio non accettare di esistere. Non state a riesumarmi dunque con la forza delle vostre incertezze o piuttosto a giustificarvi che chi si ammazza è un vigliacco: a creare progettare ed approvare la propria morte ci vuole coraggio! Ci vuole il tempo che a voi fa paura. Farsi fuori è un modo di vivere finalmente a modo proprio a modo vero. Perciò non state ad inventarvi fandonie psicologiche sul mio conto o crisi esistenziali da manie di persecuzione per motivi di comodo e di non colpevolezza. Ci rivedremo ci rivedremo senz’altro e ne riparleremo… Addio bastardi maledetti vermi immondi addio noiosi assassini.
Dunque, quel che soprattutto mi resta di questi feroci versi, riguarda l’inizio e la fine. Perché se sono poeta e faccio poesia è proprio per rompere i coglioni e dire che esistere significa molto ed è valore assoluto. E che, un giorno o l’altro, sì ci rivedremo. E lo affermo con la beata ignoranza di chi si affida alla testimonianza di chi mi ha preceduto, pur non avendone le prove e nemmeno riuscendo a crederci pienamente.
Che sia io un ingenuo? Che lo fosse stato perfino Salvatore? Può darsi.