Marco Travaglini meriterebbe una medaglia per meriti alla cultura. Ha votato la vita a studiare la vita dello zio, Alberto Spadolini, figura eccentrica, micidiale, sconosciuta (prima del suo lavoro) di artista, ballerino, pittore, esteta, divo… spia. Nato ad Ancona nel 1907 e morto a Parigi nel 1972, Spadolini, detto ‘Spadò’, ha attraversato il secolo incontrando personaggi di prestigio, da Anton Giulio Bragaglia ad Alberto Moravia, da Paul Valéry a Marlene Dietrich – che lo adorava – da Picasso – che lo detestava, perché gli ‘rubò’ Dora Maar – a Jean Cocteau e Roberto Rossellini, tutti, in diverso modo, suoi ammiratori. Il lavoro, preziosissimo, di Travaglini, precipita, in parte, in un sito specifico, questo, e in alcuni libri come “Spadò il danzatore nudo” e “Bolero-Spadò”. Ora. Quest’anno scoccano gli 80 anni dalla morte di Gabriele d’Annunzio. E Travaglini, in un testo specifico, ricco di documenti, “Alberto Spadolini alla scuola di Gabriele d’Annunzio”, ricostruisce l’incontro tra il grande poeta e il divo ‘Spadò’. Con vertiginose risonanze. Dello studio pubblichiamo, per gentile concessione, uno stralcio.
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La contessa Yvette de Marguerie custodiva nel Castello di Brignac (Seiches-sur-le-Loir) una busta contenente alcune pagine della biografia dedicata a “D’Annunzio” da Philippe Jullian (Librarie Fayard, Paris, 1971), scrittore e giornalista de “Le Figaro Littéraire”. Nella prima pagina Jullian ringrazia la regina Maria José, la principessa Bibesco, André Malraux e “Spadolini, il celebre ballerino, che mi ha raccontato il soggiorno, fatto da giovanissimo, al Vittoriale”. Alberto Spadolini ha 16 anni quando giunge sul Garda al seguito di Duilio Cambelotti, scenografo del Teatro Reale di Roma, chiamato dallo stesso Gabriele d’Annunzio per allestire, nel Principato in costruzione, lo spazio in cui tre anni dopo – l’11 settembre 1927 – sarebbe stata rappresentata la sua più famosa tragedia pastorale, La figlia di Iorio, ambientata in quell’Abruzzo magico e mistico che lo aveva sempre affascinato. Il racconto di Philippe Jullian è confermato dal ritrovamento negli Archivi del Vittoriale di un appunto scritto nel 1924 da Gabriele d’Annunzio all’architetto Gian Carlo Maroni in occasione dell’arrivo di Cambellotti al Vittoriale.
Il giovane Spadolini è talmente concentrato da non sentire le suppliche del maestro Cambellotti: “Alberto, ti scongiuro, canta sottovoce o finirai per infastidire il Poeta!”. Sfoggiando un magnifico completo parigino, dal boschetto appare la ieratica figura di d’Annunzio: “Duilio, da quando in qua per fare un’opera d’arte se ne deve offendere un’altra?”. Artista dal cuore d’oro, Cambellotti difende il suo apprendista: “Principe, perdona il ragazzo, non aveva intenzione di disturbare il tuo riposo!”. “Non sono qui per sgridare l’apprendista, ma lo ‘stregone’ che ha interrotto la più ardente delle canzoni napoletane!”, scherza il Poeta. Duilio agita le braccia: “Ricordiamoci che se c’è uno stregone, sei tu che ti metti a volare dalle finestre!”. D’Annunzio accenna un sorriso: “E voi con i piedi ben piantati nella melma cosa state combinando?” Cambellotti si pone comicamente sull’attenti: “Dal dottor Maroni abbiamo ricevuto l’ordine di predisporre il teatro all’aperto!”. Soddisfatto d’Annunzio comanda ad Alberto: “Fammi strada! Vedrai che al tuo maestro sarai di maggior aiuto dall’altra parte del Cargnacco!” Duilio inizia una serie di riverenze: “Grazie, grazie, le nostre orecchie non ne potevano più della tua ‘Vucchella’!”. Gabriele posa la mano sulla spalla del ragazzo che sbalordito s’incammina. Assorto nel suo mondo poetico egli si lascia docilmente accompagnare lungo i viottoli del parco, fermandosi giusto ad odorare un fiore o una particolare essenza. L’aria è limpida e carica di freschezza. Dopo aver percorso un vialetto costeggiato da betulle il Poeta interroga il giovane: “Cosa ne pensi di questa dorata prigione?” Spadolini con ardore: “Volete che vi aiuti a fuggire?” D’Annunzio è rattristato: “E per andare dove? Alla storia ho ampiamente donato l’immagine dell’Eroe; ora voglio finire i miei giorni semplicemente come Frate Gabriel dell’Ordine del Vittoriale!” Alberto: “Allora permettetemi di diventare vostro novizio!” E il giovane fu invitato a restare al Vittoriale e poi a trascorrervi parecchi soggiorni. D’Annunzio confidava al suo compagno tutto ciò che gli passava per la testa: “I visitatori sono importuni, ma, come le mosche serali, fanno parte della mia vita… Tutto ciò che è felice è per gli imbecilli, per noi la perfezione non è che nella nostra immaginazione… La maggior parte delle persone non hanno bisogno che di cacare, il resto non conta…”. Gli citò più di una volta questa frase di Nietzsche: “Un uomo virtuoso (si potrebbe dire normale) è un essere di specie inferiore per questa sola ragione: che non è una persona poiché il suo valore consiste nell’essere conforme ad uno schema di uomo fissato una volta per tutte”. Comunque D’Annunzio non incoraggiava la familiarità: “Chiamami Poeta e non più Maestro, ma non per nome: il mio nome è come una lacrima nella mia anima…” Infine nel corso di una passeggiata, durante la quale aveva a lungo parlato di bellezza delle statue greche, il Poeta ordinò al suo compagno di spogliarsi: “Ma… i giardinieri…” “I giardinieri non vedranno quello che io vedo, io solo conto. Guardami in faccia. Il peccato è guardare se ci guardano, poiché in questo caso tu ti associ alla bassezza degli altri. Alza le braccia… che bellezza!”.
Spadolini mantiene indelebile il ricordo dell’incontro nel nascente Vittoriale e in un’intervista del 1933 esprime il desiderio di danzare accanto alla grande Ida Rubinstein il poema sacro di Gabriele d’Annunzio Le martyre de Saint Sébastien, musicato da Claude Debussy, pubblicato a Parigi nel marzo 1911 dall’editore Calmann-Lévy. Dopo poche settimane esordisce al Théâtre du Châtelet, grazie anche al finanziamento della stessa protagonista Rubinstein; la stampa annuncia l’evento con grande anticipo, informa delle prove alle quali partecipano gli stessi autori, d’Annunzio e Debussy, suscitando grande attesa negli ambienti più raffinati; inoltre la corte russa ne racconta le meraviglie nei salotti parigini contribuendo al successo.
Secondo Philippe Jullian il giovane Spadolini ritrova D’Annunzio a Roma nel 1924, nei pressi di Santa Maria degli Angeli, al funerale di Stato per la morte di Eleonora Duse, suo tempestoso amore. Nel 1930 Alberto emigra in Francia, ma ne viene espulso perché non ha un lavoro fisso. Lui non si arrende, si reca al Vittoriale per chiedere aiuto a d’Annunzio. Il Comandante gli dona oltre alla mandragola dai poteri magici, una busta gonfia di quaranta mila lire in biglietti nuovi, e alcune lettere, fra cui una per raccomandarlo al suo amico scrittore Maurice Rostand, poeta e drammaturgo omosessuale tra i più noti della capitale francese, e una per Emilienne d’Alençon che nella Belle Époque aveva spopolato come una delle tre più rinomate prostitute parigine. È l’inizio della straordinaria carriera di Spadò!
Marco Travaglini