09 Agosto 2022

AAARRRGHGH! Philip Larkin, poeta superdotato, compie 100 anni!

Uno dei contraccolpi della cosiddetta cancel culture, la cultura col cancellino, e del dominio spurio del politically correct – che tutti, in posa, sfottono pur essendone succubi – è che appena leggi le etichette racism, misogyny, antisemite – va usato l’inglese perché la pruderie è tutta lì – a ornare la fedina etica di un artista ti viene da pensare: questo dev’essere un genio, lo leggo. È un riflesso involontario, una reazione ai volontari della carità pubblica: l’arte, d’altronde, non è roba da educande, da educatori, non educa a nulla, non ha compiti caritatevoli ed educativi, semmai trafigge, turba, commuove, spiazza, scandalizza. Un po’ mi spiace: genericamente penso, come l’editore Crocetti, che un grande poeta alberghi soltanto in un grande uomo. In effetti, c’è una grandezza anche nell’abisso, nella vertigine del fango.

L’ultimo ‘grande’ lapidato con le accuse di racism and misogyny (così lo “Spectator”) e di antisemitic correspondance (questo è il “Times”) è Philip Larkin, uno che grande lo è davvero, per plateale evidenza lirica. Commemorato nel “Poets’ Corner”, in Westminster, tra William Shakespeare e John Keats, tra John Milton e Shelley, Philip Larkin, nato quasi un secolo fa, nel 1922, abitudinario – per trent’anni, fino alla morte, accaduta nel 1985, è stato bibliotecario alla Brynmor Jones Library dell’Università di Hull –, schivo, orgogliosamente antipatico e pudico, poco bello, è il poeta più letto e amato dai sudditi d’Albione. Nel 1984 gli fu offerto il posto da ‘Poeta Laureato’: declinò l’invito, per evitare, come è accaduto recentemente a Simon Armitage, di compilare versi intorno alla tomba di Prince Philip o prestarsi a simili compianti. La sua musa, graffiante, cinica, di aspro splendore, non si fa imbambolare dalle onorificenze. Ha scritto, in effetti, versi giustamente memorabili, come questi:

“Ma forse essere vecchi è avere stanze illuminate
dentro la testa, e in esse delle persone, che recitano.
Persone che conosci, ma di cui ti sfugge il nome;
ognuno appare in lontananza come un vuoto profondo che si colma…”.

Solo un grande poeta può definire la vecchiaia “tutta quell’orrenda infanzia alla rovescia”; la poesia, se vi va, s’intitola The Old Fools, vecchi scemi. Ora. Un vecchio ‘Poeta Laureato’, Andrew Motion, che nel 1993 ha firmato la biografia di Philip Larkin, pare essere diventato un vecchio scemo. O un furbo. Sullo “Spectator”, infatti, Motion ci avvisa che occorre “capire quanto le poesie di Larkin siano state danneggiate dalle opinioni che il poeta ha espresso come uomo… alcune poesie, ad esempio, sono avvelenate da odiosi stereotipi”. Potrei dire il contrario, cioè che è proprio il fatto di essere stato un uomo radicale, radioso nei giudizi affrettati, affettati, sublime nella crudeltà a rendere le poesie di Larkin tanto argute, di terribile intelligenza, ma non è questo il tema. Piuttosto, cosa è successo? Che John Sutherland, intellettuale gallonato, ha pubblicato Monica Jones, Philip Larkin and Me, uno studio che scava nell’immane epistolario – stipato in 54 scatole e 2400 lettere – tra il poeta e la sua amante, testimonianza di una relazione, come si dice oggi, ‘tossica’, riassunta in una frase icastica – di Monica – “Mi ha mentito, il coglione, ma lo amo alla follia”. In sostanza: Monica Jones, bella ragazza, solida, incline al bere e alle passioni tristi, incontra Philip Larkin a Leicester; entrambi poco più che ventenni, si amano con brio. Lui sta con lei mentre frequenta un’altra, Ruth Bowman; ne frequenterà molte altre, alternandole agli incontri con Monica. Lei, di cupa intelligenza, non vede soddisfatte le proprie ambizioni accademiche, tanto meno quelle sentimentali.

“Si telefonavano ogni notte. Quando la salute del poeta è crollata, nei primi anni Ottanta, lei si è trasferita da lui. Si sono ubriacati. Lui è morto, lei è sopravvissuta, ubriaca. Era una donna strana. Lui la trattava male, ma le scriveva con costanza, con affetto… Erano sempre sul punto di rompere, ma avevano bisogno l’uno dell’altra. Erano entrambi piuttosto infelici”, ha detto il prof Sutherland. Le Letters to Monica di Larkin, per i fanatici delle vite altrui, sono pubbliche dal 2011, da dieci anni. Che Larkin fosse un incallito seduttore, un fantastico misogino lo sa pure Wikipedia, che alle Relationships that influenced Philip Larkin dedica una pagina particolare, ben più ampia di quella adatta a decrittare il Poetic style del sommo poeta. D’altronde, gli sono imputate soltanto sei amanti, e Larkin, scapolo, non s’è mai sognato di ridurre all’altare nessuno di loro. Lo scrittore Martin Amis, se v’interessa, giura che Larkin se la faceva con sua madre, Hilary Ann Bardwell, e di essere figlio suo.

A dire il vero, anche il razzismo e il sottile antisemitismo di Larkin, che traspare dalla corrispondenza privata, non è una novità. Nel 2004 la rivista “Slate” esce con un articolo, Reconsidering Philip Larkin, che rimarca la poco rimarchevole domanda: “Può un uomo malvagio essere un buon poeta?”. Agli americani non andava giù the poet of dirty words, l’autore di poesie come quella che attacca così, They fuck you up, your mum and dad (s’intitola This Be The Verse). Nello stesso anno, su “The Nation”, sotto il titolo Ugly Beauty, Melanie Rehak sintetizza l’identità di Larkin: “era un antisemita, un razzista, con una viziosa vena misogina”. Con acribia filologica venivano, già allora, setacciate le frasi intolleranti dall’epistolario del poeta – questa, ad esempio: “Come vincere le prossime elezioni? Facile: Prigione per chi sciopera… Cacciare i negri… Cosa te ne pare?” – e ricamato un pensiero sul “padre di Larkin, ardente fascista e fan di Hitler”. Lo stesso Philip, nel 1942, scriveva a un amico che “se c’è una nuova vita, oggi, è soltanto in Germania”. Certo, è abbastanza pruriginoso, anzi, vergognoso che si smutandi con boria e malia moralista il privato di un poeta: se pubblicassero le mie mail e i miei messaggi, credo verrebbe fuori il profilo di un mostro più mostruoso di quello che sta scrivendo… e voi? Eppure, Melanie Rehak, all’epoca, non si faceva troppi problemi: “Tuttavia, placate le chiacchiere, c’era ancora la poesia, incontaminata, potente, come sempre… Le poesie di Larkin continuano a cadere su di noi come un grande sì, anche ora che conosciamo i suoi demoni… Nonostante le sue crudeltà, era un poeta che precipitava con ostinazione nell’incanto della bellezza”. Voglio dire, non ci si poneva il problema di rileggere l’opera alla luce del poeta che l’ha prodotta: magnifica restava l’opera, stronzo, semmai, il poeta. Amen. Nel 2008 il “Times” – si sa, gli inglesi vanno in brodo per le classifiche – fa la lista dei The 50 greates British writers since 1945. In testa svetta, senza gara (e senza alambicchi etici), Philip Larkin. Seguono, George Orwell, William Golding, Ted Hughes, Doris Lessing, Tolkien… 

Cambia il tempo, cambia il vento. Scongiurata l’ipotesi di decapitare la statua dedicata al poeta più rappresentativo d’Inghilterra (“il consiglio comunale di Hull voleva rimuovere la statua di Larkin dall’atrio della stazione ferroviaria della città”, così Motion), il centenario di Larkin – 100 anni il 9 agosto del 2022 – si festeggia in un clima di antilirico sospetto, in anestetica gioia. Così, l’“Independent” definisce Larkin un morbid curmudgeon (“simpatico brontolone”) gonfio di controversial prejudices; il “Times” lo stigmatizza con l’epiteto Dorky Hull librarian (“l’imbranato bibliotecario di Hull”), riferendoci della sua “frustrazione, solitudine, percezione di non essere amato”; lo “Spectator”, in un articolo altrimenti spassoso firmato da Nicola Shulman, svela l’autentico Philip Larkin’s big problem: il poeta teneva una nerchia tanta:

“Per tutta la vita Larkin è stato assalito, parole sue, da ‘terrori sessuali e fantasie autoerotiche’. Nel centenario della nascita è tempo di affrontare la peculiarità anatomica che ha incarnato i problemi del poeta: le dimensioni del suo pene. Ho sentito parlare del pene di Larkin diverse volte nell’arco della mia vita. La prima trent’anni fa; l’ultima la settimana scorsa. In tutti i casi, l’informazione proviene dal suo biografo, Andrew Motion: il sarto di Larkin conferma che il pene del poeta era abnorme, tanto da richiedere modifiche nel taglio dei pantaloni”.

Dunque, la vita privata – provata da energumene pudenda – ha il potere di inficiare l’opera d’arte: meglio probo ed esteticamente scemo che bastardo (per i cavoli tuoi) ma geniale. Andrew Motion, poeta catechista, catechizza anche la povera, cornificata Monica Jones perché “ha votato almeno una volta per il British National Party [compagine politica di estrema destra] e si è rifiutata di firmare una petizione di protesta contro la visita di Oswald Mosley [fascista, fondatore del British Union of Fascists] al campus di Leicester, nel 1961”. Quasi che essere di estrema destra – o di estrema sinistra, è uguale – sia di per sé disprezzabile; quasi a dire che l’infelicità, Monica, donna di destra amante di un poeta di destra, se l’è cercata.

Oltraggiare Philip Larkin è un po’ come chiedere di espungere dalle antologie Giuseppe Ungaretti, espugnando un genio, perché fu fascista, tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti, omaggiato dal Duce con una prefazione al Porto sepolto (scrisse, per inciso, di “una testimonianza profonda della poesia fatta di sensibilità, di tormento, di ricerca, di passione e di mistero”). In Italia, d’altronde, non ci facciamo simili problemi morali perché siamo privi di sensibilità lirica, libraria. L’opera di Philip Larkin è riassunta da noi in un unico libro, Finestre alte, pubblicato da Einaudi vent’anni fa, chi lo trova è bravo (ma i versi sono mirabili, sentite qui: “Come mondi impazziti/ navi dai ponti illuminati/ arrancano verso occidente”; il traduttore è Enrico Testa). Il resto – Fading, edito dalla Stamperia dell’Arancio nel 1994, ad esempio – è roba per collezionisti. Già un paio di anni fa segnalavo lo scandalo: un grande poeta inglese sparito dalle librerie italiche. Tra l’altro, interamente tradotto da Silvio Raffo – poeta, noto per le traduzioni di Emily Dickinson – in un’opera omnia del tutto inedita. Ho sempre preferito Dylan Thomas a Philip Larkin, ma Dylan è poeta che al momento non crea problemi: era semplicemente un ubriacone (e sulle sue scappatelle, da impenitente adultero, si passa oltre). Ora bisogna difendere, leggere e pubblicare Larkin. Un poeta troppo crudele per questo tempo bastardo.  

*

Lontano da qui

Al di là delle luminose insegne
ci sono spazi più oscuri: lassù
piccoli nidi brumosi di stelle
sembra ondeggino in aria.

Non hanno specifici nomi:
nessun uomo che vaghi nella  notte
volge a loro il suo sguardo
per orientarsi, o per puro piacere;

una polvere tanto evanescente
può dar ben poca luce:
è molto meno il noto che l’ignoto,
è molto più il lontano che il vicino.

*

Vista lunga con gli anni

Dicono che l’età migliora gli occhi,
come rugiada che schiarisce l’aria
per levigare le sere,
entro un margine netto il tempo fissa
la forma estrema delle cose
svelandone l’autentica evidenza;
gli alberi d’ogni differente altezza,
lunghe morbide mareggiate d’erba
le onde d’oro increspate
su cui cavalca il vento –
tutto questo, si dice, torna a fuoco
man mano che s’invecchia.

Philip Larkin

*Le poesie sono tradotte da Silvio Raffo e pubblicate per gentile concessione

***

Caro Kingsley,

ti scrivo alle 4.30 di domenica: quello che definiresti, il buco del culo della settimana. Bevuta all’ora di pranzo, non mi resta che il gin delle sei. Tè? Non farmi incazzare. Mi spiace se sei giù di morale: ti comprendo. Non so cosa mi sarei dovuto aspettare dalla vita, ma mi terrorizza pensare che sia pressoché finita. Voglio dire, non posso più attendermi eccitanti come andare a Corfù con un’universitaria tettuta RIFORNITA DI SOLDI DAL PADRE a cui piace essere menata (“è ogni volta sempre meglio, tesoro”) o darsi alla letteratura. Basta minchiate. Voglio dire, tu sei diventato ciò che sognavo di diventare, e suppongo che tu non abbia mai sognato di essere un librario. Se sono così bravo, perché non mi pagano abbastanza per permettermi di andare in una bella spiaggia del sud, e spaparanzarmi sulla pancia (eventualmente, su quella di qualcuna)? Di fatto, non possono assumere nessuno con più di 55 anni, francamente è ora di finire questo test, non sono davvero all’altezza dei tuoi standard elevati, smetto di fare Mr Larkin, spero tu riesca a trovare un’altra donna delle pulizie…

AAARRRRGHGHGHGH

La tivù è orribile di questi tempi. Me ne hanno regalato una lo scorso dicembre, è andata bene per un po’, poi la novità è finita, suppongo, e non vedo altro che commedie, film di serie B, e NOTIZIE – Dio quanto odio le notizie – non posso vederle – tutto quel farfugliamento di stronzate, di picchetti pubblicitari, di esclusive nazionali… perché non mostrano DONNE NUDE o dibattiti PRO E CONTRO LE PUNIZIONI CORPORALI NELLE SCUOLE FEMMINILI… per Dio, non posso, NON POSSO.

Per amor di Dio, continua a scrivere caro uomo perché la vita non è eccitante.

Avrai visto il premiato culo di Penelope Fitzgerald [nel 1979 la scrittrice ottenne il Booker Prize con “La casa sull’acqua”, ndr].

Philip

*La lettera di Philip Larkin a Kingsley Amis, del 1979, è tratta da “Selected Letters of Philip Larkin 1940-1985”, Faber and Faber, 1992

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