01 Maggio 2019

Su Philip Larkin, il poeta più grande (lo dicono gli inglesi). In Italia è quasi introvabile. Un florilegio di poesie tradotte da Silvio Raffo

Agli inglesi piacciono le classifiche, è un classico. Il 5 gennaio del 2008, per l’appunto, The Times esce con la più classica delle classifiche. The 50 greatest British writers since 1945. In cima c’è un poeta. Il più grande scrittore britannico dal 1945 in poi è Philip Larkin. Seguono: George Orwell, William Golding, Ted Hughes, Doris Lessing, J.R.R. Tolkien. D’altronde, nel 2003 la ‘Poetry Book Society’ – fondata dal sempiterno Thomas S. Eliot nel 1953 per “divulgare l’arte della poesia” – ha dichiarato che Larkin è il poeta britannico più amato in UK. Curioso. Nel saggio brioso, informato, colorato di Robert Messenger, “Unsavoury humbog”, pubblicato nell’ultimo numero di The New Criterion (Vol. 37, No. 9, May 2019), l’ultima frase vale gli svariati capoversi precedenti. “Larkin fu un uomo come tutti. E fu un grande poeta come nessuno”.

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Larkin – a differenza dell’onnisciente Thomas S. Eliot, del tentacolare Ted Hughes, degli ambiziosi tutti – si è sempre fatto gli affari propri. Alle cattedre di poesia preferì la quotidiana dedizione presso la Brynmor Jones Library dell’Università di Hull, nello Yorkshire, dove fu impiegato dal 1955 alla morte, accaduta nel 1985. La sua opera poetica, per altro, è distribuita, secondo la micidiale scansione di un libro ogni dieci anni, in quattro libri, The North Ship (1945), The Less Deceived (1955), The Whitsun Weddings (1964), High Windows (1974). Nel 1988 Anthony Thwaite ha raccolto nei Collected Poems svariati testi inediti scritti negli ultimi undici anni di vita di Larkin. Nel 1992 la pubblicazione delle Selected Letters of Philip Larkin (1940-1985) ha svelato il carattere del poeta, remoto ai più: aveva uno stuolo di adoranti – la più costante fu Monica Jones – era timidamente misogino, modestamente razzista, diagonalmente ‘di destra’. In ogni caso, il poeta Andrew Motion, nel 1993, ha scritto una biografia completa, Philip Larkin: A Writer’s Life, pubblicata da Faber.

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L’attacco del ‘pezzone’ di Messenger merita di essere tradotto perché riassume Larkin e la sua fatidica fama. “Nella sua breve vita, Philip Larkin pubblicò quattro sottili raccolte di poesia. Tre di queste sono dei capolavori, ogni pagina è una meraviglia formale e creativa. Kingsley Amis disse a suo figlio di leggere due o tre poesie di Larkin ogni sera. La devozione è stata ricompensata. Quelle poesie sono uno splendore compresso, che si apre verso l’esterno come una miniatura di Cechov. Larkin era un bibliotecario, non un poeta professionista. Non ha insegnato. Non ha ottenuto borse di studio e non è stato uno ‘scrittore in residenza’. Non ha partecipato a tour culturali in giro per il mondo, come quelli che riempiono le biografie di poeti come Stephen Spender o Ted Hughes. Non amava le letture pubbliche o correre a Londra per le fiere del libro. Ma se nella sua vita ha avuto poco a che fare con il mondo letterario, dalla sua morte, nel 1985, il mondo dei letterati lo ha invaso… La questione se Larkin fosse simpatico o insopportabile occupa i critici e gli studiosi di entrambe le sponde dell’Atlantico da quando sono state pubblicate le Selected Letters, nel 1992, e la sua biografia, a cura di Andrew Motion. Ci sono alcune prove che mostrano un Larkin misogino e razzista. Questo mi pare irrilevante. Direi, deprimente. Questa è la parola adatta. La poesia è più antica della civilizzazione, eppure negli ultimi cinquant’anni è quasi scomparsa. Solo un residuo numero di poeti ha aggiunto qualcosa alla conversazione pubblica in questo periodo. Tra costoro, Larkin è il più importante. Anche se è morto da più di trent’anni, leggerlo ci convince che la poesia ha un potere sui nostri ricordi e sulla nostra immaginazione. Le poesie memorabili, oggi, sono quasi inesistenti. Larkin è quasi sempre memorabile”.

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Gli inglesi amano, per vizio puritano, per puro moralismo, spiare nel buco della serratura quando il padrone è morto, alzare la gonna al cadavere. Robert Messenger, nel pezzo, fa riferimento al volume pubblicato quest’anno da Faber, curato da James Booth, Philip Larkin: Letters Home, che raccoglie le centinaia di lettere inviate dal poeta ai genitori, alla madre soprattutto – il padre muore nel 1948, che lui ha 26 anni. Lettere, dice il giornalista, utili forse agli storici della letteratura che studiano le formiche sul margine del libro – inutili a conoscere il Larkin poeta. Piuttosto, fa Messenger, in un acuto gagliardo, “comprati i tascabili delle raccolte di Larkin. Tienili nella giacca. Immergiti nella sua poesia nei momenti tristi. La tua vita ne trarrà giovamento. Ciò che non migliorerà la tua vita, piuttosto, è leggere le lettere di Larkin ai suoi genitori”. Rotondo.

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Leggere le poesie di Larkin migliora la vita. Prendiamo sul serio il precetto. Impossibile. In Italia il poeta più amato e riconosciuto in UK non c’è. Ci sono gli scritti marginali, in prosa, universitari, quando usava lo pseudonimo Brunette Coleman (Semestre d’autunno e Turbamenti a Willow Gables, entrambi editi da Nottetempo nella traduzione di Masolino D’Amico), ma la poesia è impalpabile. Pubblicata la prima volta da Einaudi nel 1969 (come Le nozze di Pentecoste e altre poesie, per la traduzione di Renato Oliva e Camillo Pennati), poi dall’ottimo Marco Fazzini per la Stamperia dell’Arancio nel 1994 (Fading: poesie scelte 1950-1980), ora resta, di fatto, soltanto, l’antologia einaudiana Finestre alte curata da Enrico Testa nel 2002. Però abbiamo il ‘Meridiano’ Mondadori di Eugenio Scalfari e di Andrea Camilleri.  Scusate, rientri in me.

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Clamorosa scoperta. L’ho già scritto. Quando sono andato a trovare Silvio Raffo, che è poeta e scrittore e sontuoso traduttore dall’idioma inglese – oltre a Emily Dickinson ha tradotto Oscar Wilde e Christina Rossetti e le sorelle Brontë e tanto altro – ho scovato la meraviglia. L’opera omnia di Larkin. Che giace in una pila, manoscritta, alta così. Raffo vi ha lavorato un paio di decenni fa, per una casa editrice tra le grandi. Pagato. Poi, è saltato tutto. Cretineria culturale italica. Allora, gli ho chiesto alcune poesie di Larkin. Eccole. Il grande dono di un grande uomo. (d.b.)

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MARRIAGES

When those of us who seem
Immodestly-accurate
Transcriptions of a dream
Are tired of singleness,
Their confidence will mate
Anly with confidence –
With an equal candescence,
With a pregnant selfishness.

Not so with the remainder:
Frogmarched by old need
They chaffer for a partner –
Some undesirable,
With whom it is agreed
That words such as liberty,
Impulse, or beauty
Shall be unmentionable.

Scarecrows of chivalry
They strike strange bargains –
Adder-faced singularity
Espouses a nailed-up childhood,
Skin-disease pardons
Soft horror of living,
A gabble is forgiven
By chronic solitude.

So they are gathered in;
So they are not wasted,
As they would have been
By intelligent rancor,
An integrity of self-hatred.
Whether they forget
What they wanted first or not
They tarnish at quiet anchor.

 

MATRIMONI

Quando si stancano di stare da soli
quelli di noi che sembrano
immodestamente precise
trascrizioni di un sogno,
la loro sicurezza si unirà
solo ad un’altra simile –
a un simile splendore,
a un fecondo egoismo.

Non è così per gli altri:
dal vecchio bisogno infestati,
brigano in tutti i modi per un partner –
anche qualcuno d’ indesiderabile,
col quale è già chiaro in partenza
che le parole ‘bellezza,
impulso, libertà’
non verranno neppure pronunciate.

Spaventapasseri di cavalleria
stringono strani patti –
Il single dal viso di vipera
sposa una fanciullezza segregata,
la scabbia fa meno paura
di una lieve paura della vita –
il vano chiacchiericcio è tollerato
da solitudine cronica.

Così si sostengono – insieme:
non li strazia il sagace rancore
che avrebbero sentito in solitudine,
né un’essenziale ostilità a se stessi.
Che si scordino o meno ciò che un tempo
hanno voluto o non voluto,  restano
opacizzati  a un’ancora tranquilla.

*

PLACES, LOVED ONES

No, I have never found
The place where I could say
‘these is my proper ground,
Here I shall stay;’
Nor met the special one
Who has an instant claim
On everything I own
Down to my name;

To find such seems to prove
You want no choice in where
To build, or whom to love;
You ask them to bear
You off irrevocably,
So that it’s not your fault
Should the town turn dreary,
The girl a dolt.

Yet, having missed them, you’re
Bound, none the less, to act
As if what you settled for
Mashed you, in fact;
And wiser to keep away
From thinking you still might trace
Uncalled-for to this day
Your person, your place.

 

LUOGHI AMATI

No, non ho mai trovato
un posto di cui dire
“È questa la mia terra,
qui voglio rimanere” –
né quella persona speciale
che all’istante reclama
tutto ciò che possiedo
e addirittura il nome;

simili circostanze proverebbero
che non c’è la necessità di scegliere
dove farsi la casa, o chi amare;
a quei luoghi  chiediamo solamente
di travolgerci  irrevocabilmente,
dimodochè non sia poi colpa nostra
se la città diventa inabitabile,
o la ragazza un’idiota.

Eppure, non avendoli trovati,
si è costretti ad agire, nondimeno,
come se ciò cui ci siamo adattati
ci avesse, di fatto, legati;
ed è più salutare trattenerci
dal pensiero che si potrebbe ancora
scoprire fino ad oggi inessenziali
i nostri posti, la nostra persona

*

TO MY WIFE

Choice of you shuts up that peacock-fan
That future was, in which temptingly spread
All that elaborative nature can.
Matchless potential! But unlimited
Only so long as I elected nothing;
Simply to choose stopped all ways up but one,
And sent the tease-birds from the bushes flapping.
No future now. I and you now, alone.

So for your face I have exchanged all faces,
For your few properties bargained the brisk
Baggage, the mask-and-magic man’s regalia.
Now you become my boredom and my failure,
Another way of suffering, a risk,
A heavier-than-air hypostasis.

 

A MIA MOGLIE

Averti scelta chiude quel ventaglio
di pavone, il futuro variegato
di tante prospettive di natura.
Un potenziale certo incomparabile,
ma illimitato solo a patto che
non si scegliesse; il solo atto di scegliere
bloccò tutti i sentieri, tranne uno,
e cacciò via dai cespugli gli uccelli
dispettosi nel loro incauto volo.
Nessun futuro adesso. Io e te, da soli.

Così ogni volto per il tuo ho ceduto,
per la tua magra dote ho dato in cambio
il mio smagliante corredo, le insegne
di maschere e magie concesse all’uomo.
Ora tu sei il mio tedio, il mio disastro,
un altro modo di soffrire, un rischio,
ipostasi pesante più dell’aria.

Philip Larkin
Traduzione italiana di Silvio Raffo

*In copertina: Philip Larkin nel 1984

 

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