23 Ottobre 2021

Amare tutti, terribilmente. L’epopea di Boris Pasternak

Come tutti i russi, Boris Pasternak scriveva in francese. Il Contrat d’edition firmato a Mosca il 30 giugno del 1956 che concede a “Giangiacomo Feltrinelli Editore” la pubblicazione del Dottor Zivago in esclusiva mondiale, è redatto in francese, specie di lingua franca con cui Pasternak intavola l’epistolario con l’editore italiano. La ‘formazione’ del poeta si svolge in Germania, a Berlino (“Ben presto mi abituai a Berlino; vagavo per le sue innumerevoli strade e per il parco sconfinato, parlavo in tedesco imitando l’accento berlinese”), poi a Marburgo: ma un lato della Russia letteraria – quella dei profughi alienati dalla Rivoluzione – era lì, a Parigi, in Francia. Quando Pasternak, vista l’impossibilità di pubblicare in Unione Sovietica, orchestra la fuga del manoscritto del Dottor Zivago, pensa, immediatamente, a un’edizione francese del romanzo.

In Francia, Pasternak godeva dell’ammirazione di Armand Robin, comunista rivelatosi anti- dopo il canonico viaggio in Urss, anarchico, traduttore delle sue poesie: mentre in Italia si imbastivano fatui dibattiti sull’opportunità di pubblicare Il dottor Zivago e sulla sua arcana estetica, egli difendeva a spada tratta l’autore, “Boris Pasternak ha appena rifiutato di barattare contro una serie di previlegi il proprio destino di ‘elemento anti-sociale’ nella società comunista. Nonostante i pericoli e le meschine persecuzioni, deve sentirsi parecchio felice: ha fatto un altro passo verso la sua sorte di uomo solo. Se fosse caduto nella trappola tesagli dai suoi nemici comunisti, in Occidente sarebbe diventato un adulato ‘uomo di lettere’. Restando lì dov’è, immutabile, egli preserva quel non so cosa che nella Russia bolscevica dona alla poesia un carattere quasi religioso, assolutamente ‘non letterario’” (in: Armand Robin, L’indesiderabile, Giometti&Antonello, 2018). Immutabile, Pasternak, specie di inconsapevole santo, riporta la poesia alla sua origine non letteraria, che non riguarda più il fatto letterario, manfrina mentitrice per accademici e mercato, ma resta funzionale a nulla, baluardo al mostro, taumaturgica nella sua insignificanza.

Robin scrive la sua arringa sulla “Gazette de Lausanne”, nel novembre del 1958: l’edizione francese de Le Docteur Jivago esce per Gallimard il 26 giugno del 1958, dopo quella, mitica, Feltrinelli. Il romanzo, in Francia, è affidato a un gruppo di traduttori – Michel Aucouturier, Louis Martinez, Jacqueline de Proyart e Hélène Peltier-Zamoyska – che “sono preservati nell’anonimato per non compromettere le loro relazioni con l’Urss”. Tra questi, la figura determinante è quella di Jacqueline de Proyart: allieva di André Mazon, insigne slavista, era stata inviata a Mosca nel novembre del 1956 per seguire alcune lezioni universitarie e stabilire contatti con la Biblioteca-museo intitolata a Lev Tolstoj. Fu al Museo Skrjabin che sentì parlare del Dottor Zivago, “al suo arrivo in Russia, la de Proyart non sapeva neppure se Pasternak fosse vivo o morto” (Paolo Mancosu, che racconta, in parte, la vicenda in: Živago nella tempesta, Feltrinelli, 2015). Jacqueline aveva 29 anni, era baronessa, slanciata: il primo gennaio del 1957 “alcuni amici legati al Museo Skrjabin la portarono a conoscere Pasternak”. “Ben presto il suo calore e la sua gentilezza ebbero la meglio sulla mia timidezza”, ricorderà lei. Il poeta aveva confessato, pochi giorni prima, a Brice Parain, amico e consigliere editoriale di Gallimard, il desiderio di pubblicare il suo romanzo in Francia: la possibilità di far passare il manoscritto oltre la muraglia russa, ora, si palesa, come una morgana. Tra il 9 e il 17 gennaio, quasi trafitto dal miracolo, Pasternak consegna, rivisto – cioè, con alcune modifiche rispetto all’edizione italiana – Il dottor Zivago alla de Proyart, affidando a lei e a Hélène Peltier-Zamoyska (accademica, amica, incontrata nel settembre del 1956) “ogni potere decisionale e di iniziativa, nonché tutte le prerogative concernenti la gestione dei miei scritti all’estero (e non solamente in Francia), compresa l’edizione del testo originale russo” – così il 17 gennaio 1956 in una lettera inviata alla de Proyart – e ogni beneficio economico, “che non ne ho alcun bisogno”. La baronessa rientra in Francia l’8 febbraio.

La storia della traduzione del Dottor Zivago in Francia è raccontata in Le dossier de l’affaire Pasternak (Gallimard, 1994), nel volume monografico che Jacqueline de Proyart ha dedicato a Pasternak (Gallimard, 1964), nelle Lettres è mes amies françaises 1956-1960 di Pasternak (Gallimard, 1994). A proposito di quest’ultimo libro, la de Proyart ha ricordato la quieta ribellione di Pasternak (“Fu il primo, sotto il regime sovietico, ad osare, a scrivere che la pensava diversamente… Ha sempre rifiutato di farsi intrappolare nella prassi marxista-leninista: egli è il recalcitrante per antonomasia, Lev Trockij lo guardava con sospetto dal 1922, le critiche continuarono a perseguitarlo fino alla morte”), l’importanza del suo romanzo che “ha giocato un ruolo fondamentale nella disgregazione del sistema sovietico. Pasternak è stato il primo a far capire ai suoi compatrioti che il comunismo non sarebbe durato eternamente, che l’arte è un modo per vincere il potere coercitivo dello Stato… il suo impatto è stato immenso, sconvolgente”.

Il resto è storia nota. Il Nobel per la letteratura nel ’58, rifiutato, il rifiuto dell’esilio dalla Russia sovietica, la miseria: “privato dei diritti d’autore sulle sue opere, privato di ogni risorsa materiale, le sue condizioni di vita deteriorarono notevolmente. L’arbitrarietà delle misure repressive si estese a chi gli era vicino, per anni. Morì in disgrazia. Eppure, una folla si fece forza, partecipando al suo funerale. Nacque lì, su quel cadavere, la figura del dissidente”. Il poeta, in ogni caso, era già al di là: la Storia gli sta in tasca, annientata in un lampo di versi.

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Albert Camus su Boris Pasternak

“Ho terminato Zivago con una sorta di affinità e di tenerezza per l’autore. È sbagliato che l’autore riprenda la tradizione artistica del XIX secolo russo. Nelle sue istantanee è al contempo maldestro e moderno. Eppure: resuscita il cuore russo, schiacciato da quarant’anni di slogan e di crudeltà disumane. Zivago è un libro d’amore. E tale amore si diffonde su tutti gli esseri contemporaneamente. Il dottore ama la moglie, ama Lara, ama gli uomini, ama la Russia. Muore perché è separato dalla moglie, da Lara, dalla Russia, dal mondo… Il coraggio di Pasternak è nella scoperta delle origini della creazione, nella dedizione e nella cura di averla fatta germogliare nel deserto”.

Carnets III, agosto 1958

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“Pasternak resterà un paria?”. Le Figaro, 1 novembre 1958

Il dottor Zivago è apparso al mondo, oltre la cortina di ferro, come un libro unico, che domina dall’alto la massa della produzione letteraria mondiale. Questo immenso libro d’amore non è antisovietico, come ci viene detto, non offre nulla ad alcun partito, è semplicemente universale… Il genio di Pasternak, la sua nobiltà, la sua bontà, lungi dal nuocere alla Russia, la fa risplendere a contrario, la fa amare, al di là della vieta propaganda. La Russia comincerebbe a essere osteggiata dal mondo se osasse perseguitare un uomo di oggi, universalmente ammirato, particolarmente amato”.

Albert Camus

Gruppo MAGOG