Amo insinuare il dito agli incroci, dove le labbra si fondono, dove grandi artisti incrociano – per fiamma del caso e ungulato del caos – i loro passi. Spesso figliando la frizione del fraintendimento, che è nettare per lo scrittore.
*
Nel 1929, quando Antoine de Saint-Exupéry, 13 anni più grande di lui, firma con Gallimard il contratto per Courrier Sud e si trasferisce a Buenos Aires per dirigere l’Aeroposta Argentina, Albert Camus entra nella squadra di calcio del ‘Racing d’Universitaire d’Alger’ come portiere e legge Gide – svogliatamente – nella biblioteca “dello zio Acault, macellaio bibliofilo di tradizioni anarchiche” (e già questo è l’incipit di un racconto: un tizio che squarta le bestie e sfoglia i libri con piglio anarchico).
*
Nel 1943, per dire, mentre gli Alleati sbarcano in Sicilia, Saint-Exupéry è ad Algeri, gli fa visita Gide, e assiste alla pubblicazione, in lingua inglese, a New York, della sua opera più nota, Il piccolo principe. Camus, invece, proprio quell’anno si trasferisce a Parigi, è già lo scrittore dello Straniero e del Mito di Sisifo, viene arruolato da ‘Combat’ e si appresta a diventare uno dei grandi scrittori di Francia. L’anno dopo, nel 1944, Saint-Exupéry muore e Camus, incontrando Jean-Paul Sartre sorge a nuova vita.
*
Le trame di due tra i più celebrati scrittori del Novecento s’intrecciano il 6 dicembre del 1952, quando Camus scrive a Michel Gallimard, dopo aver saputo che l’editore – suo amico intimo – intende pubblicare i Carnets, i taccuini, di Saint-Exupéry, nell’edizione postuma predisposta da Nelly de Vogüé (alias Pierre Chevrier) e da Michel Quesnel. Questa è parte della lettera, recentemente pubblicata su Le lettre de la Pléiade:
Mio caro Michel, ti rimando, opportunamente annotati, i ‘Taccuini’ di Saint-Exupéry. Tutto sommato – sia detto sinceramente tra noi – sono deludenti. Non ho l’impressione che essi contengano ciò che è stato al centro del pensiero e della ricerca di St-Ex, ma piuttosto ciò che ne è ai margini, alla periferia della sua meditazione. Le visioni profonde, o semplicemente interessanti, sono rare. Non ritieni che si tratti di una collezione di ‘giochi’, altrove molto più seri, di un grande spirito? Un tu-per-tu con St-Ex che vaga, più che approfondirli, intorno a problemi di filosofia, di cosmografia, di economia politica. Sempre ansioso di essere accusato di limitarsi a idee generali, l’autore entra in dettagli che spesso sono insignificanti. Così, nella parte che riguarda l’economia, i lunghi commenti sugli investimenti bancari sono certamente interessanti, ma limitati a un lettore fanatico di Saint-Ex. Tuttavia, qua e là, non mancano belle frasi.
*
I Carnets, infine, furono pubblicati l’anno successivo, nel 1953, da Gallimard. “I Taccuini sono vergini di letteratura e forniscono così, in rapporto a ciò che Saint-Exupéry ha personalmente pubblicato, un prezioso elemento di comparazione”, è il giudizio di Michel Autrand, riprodotto nell’edizione delle Opere di Saint-Exupéry pubblicato da Bompiani. In realtà, la dettatura morale e la visione umanitaria di Sant-Exupéry, che traspare nei libri più celebri – Volo di notte, Terra degli uomini – ma soprattutto in quelli postumi, come Cittadella, risuona, in clangore più cupo, nei libri di Camus. Un buon esercizio sarebbe leggere i Taccuini di Saint-Exupéry insieme ai Taccuini cangianti e solari di Camus appena ripubblicati da Bompiani. Bisogna spiare i grandi scrittori dal lato del bisbiglio.
*
Dei Taccuini, più che altro, è amabile il procedere per lame, per frasi apostrofali e dittatorie, per detti marmorei. Come se lo scrittore si facesse tiranno di sé, si scava fino all’ultimo verbo, sbriciolandosi nel dubbio e ricostruendosi, con fili di sale. (d.b.)
***
In fin dei conti ed esclusivamente la qualità delle relazioni umane.
Dio. La regola del gioco non si colloca in maniera irritante nella densità arbitraria di un individuo, ma al di fuori, cioè in Dio. Cioè, in tutto e in niente. Dio è il perfetto supporto simbolico di ciò che è al tempo stesso inaccessibile e assoluto.
Più in alto non è affatto ‘contrapporre’ ma ‘collocarsi al di fuori’.
L’incredibile misconoscimento degli uni da parte degli altri.
Se definisco il loro malessere, li salvo.
Tra i miei concetti religiosi ho dimenticato la sottomissione.
L’uomo e la foresta. E quando non ci sarà altro che l’uomo, l’uomo si annoierà tremendamente. Ha già perso contatto con la belva (piacere di ritornare dalla vera caccia) e, in parte, con le forze della natura (civiltà urbana) ed ecco che trasforma il pianeta in una terra da ortaggi. Si dimentica di fare risalire a questa origine i problemi sociali (estensione della razza umana, poi di una razza tra le razze).
Il punto in cui mi fonderò nell’universale.
Gli uomini. Non sacrificarsi a ciò che sono, ma a ciò che possono diventare.
Ogni giustizia è arbitraria: quella dell’uguaglianza – ma essa lusinga le larve.
Antoine de Saint-Exupéry
*da Antoine de Saint-Exupéry, Opere, Bompiani 2000, traduzione italiana di Fabrizio Ascari