Joyce Carol Oates, tra le grandi autrici del nostro tempo, classe 1938, è riconosciuta, notevolmente, per i suoi romanzi. Quest’anno La Nave di Teseo ha ripreso Blonde e Pericoli di un viaggio nel tempo, mentre il Saggiatore ha stampato Nuovo cielo, nuova terra. L’esperienza visionaria in letteratura. Poligrafa, instancabile, JCO ha vinto tutti i premi possibili – tranne il Nobel –, è stata cinque volte finalista al Pulitzer. Pochi conoscono, piuttosto, la sua attività poetica, pur costante, iniziata nel 1968 con Women In Love and Other Poems. La nuova raccolta s’intitola American Melancholy, la presentano così: “nota per la prodigiosa produzione narrativa, di romanzi che sono ormai dei classici, la Oates è da sempre fedele alla poesia. Dopo venticinque anni dall’ultimo libro di poesie, la raccolta di una leggenda della letteratura americana”. Uno spiraglio per comprendere la poesia di JCO è l’affinità che la lega a Emily Dickinson: nel 2017 JCO ha curato una antologia The Essential Emily Dickinson, rivelatrice. “La tecnica è controllo e contrizione. Ci sono poesie i cui soggetti sono tanto orribili che si possono avvicinare solo come ci si avvicina a Medusa, in modo obliquo, tramite lo specchio dell’arte. Nelle mie brevi poesie cerco un effetto brillante, duro, gelido, come fili di acciaio che salgono dalle narici al cervello. Le brevi poesie hanno in sé il dono di ferire”. Abbiamo tradotto alcune poesie di JCO, ancora inedite in Italia.
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L’era dei miracoli
Andò alla finestra
a venti piani dalla strada
nebulosa come una palude
invisibile a quell’altezza
ma c’era una strada
lo sapeva.
Era tutto lì lo sapeva
venti piani sopra la nebbia
instabile della palude
riconosce i camion sul ponte
sente il loro guaito
nella pianta dei piedi
sapeva
che il pavimento su cui camminava
era un soffitto per qualcuno
notte comune e numerabile
contratto di locazione per due anni
desiderabile vista
sul fiume
un balcone audace
deposito di 200 dollari
completamente tappezzato
frigorifero che si autoscongela
la porta del balcone è bloccata
ma può fissare il fondo
venti piani dalla finestra
fumo a spirali dalla palude
l’impagabile miracolo
un metro alla volta
*
Il suicidio
non ha ringraziato
non ha salutato
non ha fatto fluttuare baci
regali da scartare
niente appetito
sempre altrove
anche se altrove piove
ed estranei affollano le strade
anche se a casa eravamo schiavizzati
dal pianto
l’oscurità profuma
si è meravigliato
ha detto grazie
colmo di gratitudine
umano
sempre altrove
nessun bacio
spazzolino rigido
batteria dell’auto esaurita
maglioni larghi
era umano?
dove è andato?
*
Occulto
macchia di sangue sulle nocche:
indolore, inspiegabile
una volta scoperto che la sofferenza
inizia in miniatura
ti è oscuro cosa l’abbia causata
lo dimentichi
il telefono rispose al dodicesimo squillo:
silenzio privo di fiato, astuto, austero
poi riattacca – e tu sei lì
te ne dimentichi
e la visita inesplicabile di tuo padre:
due giorni di preavviso, dieci ore di viaggio spericolato
piogge vento giorni maledetti
traffico tergicristallo rotto
ma nulla lo blocca
strette di mano – goffe
come stai?
che bello!
quanto tempo!
deve partire di mattina
una stazione di servizio aggiusta il tergicristallo
ha percepito la morte
sa come morirà stretto
tra sorrisi solidi e nervosi
la voragine di ricordi che deve sopportare…
niente di ciò che sappiamo può spiegare la sua visita
o lo strano modo in cui si è mosso tra noi –
toccandoci stringendo le braccia sorridendo
era una scusa
le parole con cui ci ha accerchiato erano una scusa