“Era un poeta. Impassibile e vertiginoso”. In devozione alla parola precaria
Poesia
Isabella Bignozzi
«Il punto è non vergognarsi abbastanza» (p. 135). E senza timor di smentita, Cristiana Pisani, padovana classe 1978, dagli studi polimorfi (Ingegneria Elettrica e Filosofia), dagli acufeni bulimici di chi si ama e si detesta, di chi anela e disgusta, dà alle stampe una preziosa silloge per i tipi de La Gru Edizioni (2022) che la trascina alla scrittura dopo quasi tre lustri di silenzio.
Effetti personali dunque; locuzione che a prima vista sconcerta il lettore per l’algidità burocratica e che rinsalda le sbarre del nostro «ergastolo dell’essere» (p. 124); errore da non commettere con la poesia erratica e sbagliata della Pisani. Vite precedenti, vite parallele direbbe Plutarco: ebbene in queste traiettorie che devono incontrarsi per innescare una lunare dialettica [«io ho luogo soltanto davanti alla tua materia» (p. 132)] dell’annichilimento [«conservarmi no (…) mai» (p.133)] e del rimpianto [«nonimparo niente di nuovo da tempo / ho solo grane donne e sigarette» (p. 88)], della rabbia giovane di malickiana memoria
[«Non voglio inventarmi un dolore che non esiste / ma perché dentro piango invece che tacere» (p. 123], dell’eccesso [«si faceva sul serio / quando si dava di matto» (p. 101)] il titolo di questa raccolta scottante è un vezzo autobiografico, di chi la vita l’ha posseduta e perduta quante sono le albe che succedono ai tramonti [«Ed è con piccole distribuzioni espressive / che dichiaro a me stessa di esistere / anche se di me / di me resta un respiro corto e affannoso / e l’amarezza di un tronco marcio assalito dagli insetti» (p. 98)]: tale infatti era la ragione sociale della libreria di cui l’Autrice è stata proprietaria in Padova, a latere di quella (allora) Facoltà di Lettere & Filosofia, ad offrire asilo per molti spiriti rosi dallo spleen che nella Pisani e nel suo dispiegarsi votivo attraverso gli scaffali avevano l’illusione della giovinezza redentrice [«e noi o voi sarete il baccano che deve e deve / scuotere il sole e tutte le stelle» (p. 93)].
L’Altro è il leitmotiv di questa stagione all’inferno [«grazie per il giro all’inferno che mi è stato offerto» (p. 97)], un Altro che lusinga:
non ero preparata al paradiso
moduli angelici mi avevano
prelevata e portata a colloquio
con un esemplare di dio
perfino avevo pensato
la mia libertà non la voglio più
mi basta la gronda d’ambrosia
che appanna la memoria
ora i pensieri sono unghie tagliate
sul pavimento del bagno
non mi manca niente e non mi manca nessuno (p. 64)
infetta e castiga:
mi hai bevuta e sputata sul cuscino
dove poggiavi la testa mentre io facevo
qualcosa per te
i miei bei vizi
dirottati nella cupa colpa
hai fatto di tutto uno scandalo signora mia
bere alzare la voce fumare
perché no
le scomposte devozioni
della donna irresponsabile che usi
si è alzato il vento stanno scomparendo
le sillabe carbonizzate della domanda
saranno me e te e chilometri di sonno (p. 45)
e dal quale solo riparo è l’urlo e l’abiezione:
non sono una persona buona
se tu sei la sponda del mio astio
mi fa bene questa strana vocazione
resto per l’evenienza
di un pezzo di lardo
tutto per me intanto
ho maledetto chi ami
anche per gli anni a venire (p. 31)
Serpeggiano lungo questi versi sofferti e franti l’agonia della psiche che per contagio di nascita si sfalda:
Ma i pazzi siete voi o sono io che sono fuori situazione.
Mi chiedo chissà se ha paura il colombo quando spicca il primo volo,
perché sono dentro al trauma azzurro che sovrasta la città
e sento che sto per cadere:
mi chiedo se Voi avete paura.
Quali di voi predicatori sciocchi o in malafede,
hanno avuto l’occasione di soffrire veramente.
È stato un maledetto privilegio dare fuoco al fuoco.
State zitti e venite qui, non giudicate la vertigine.
L’unica differenza tra malati e sani, è che questi mentono. (p. 112)
La psiche lacerata si governa con l’affabulazione: Pisani è maestra nel prestito dalle neuroscienze, dalla psico-analisi, dalla terminologia clinica e non avrebbe potuto essere diversamente tanti e tali sono le lingue a cui si è abbeverata per tenersi in piedi, dolorosamente: «Morfina = volta celeste, con delle pieghe silenziose lungo le corde / del tempo» (p. 123).
Un’armonia da oblio alcolico attraversa queste pagine dove l’Autrice cerca rifugio offrendosi in sacrificio per sé, sorta di «diplopie religiose» (p. 51) sublimate nella frequente immedesimazione con il coniglio [omaggio a Carroll, all’insensatezza della «gravità sopita dell’esserci» (p. 34)], al desiderio bruciante di svanire come il piacere dopo l’orgasmo:
Domani sarai qui
Nella casa degli oggetti strani.
Non mi aspetto granché
È già uscito l’uccello dall’uovo
ed è volato via
spero di non avere paura.
Mi accontenta il bel tempo
I minuscoli crocchi della carta sotto la penna
Il lexotan. (p. 49)
La Natura è l’intatto, il tempio della Vita non sfregiato dall’esistenza; lì, dove perfino la poesia diviene possibile:
io mi sento un mezzo poeta
un quarto di poeta
un uccello di strada (da p. 68)
e ancora, nel testo che apre la raccolta:
oggi viviamo nel latte
chi verrà dopo
chi non importa sei tu
la prima persona a cui voglio raccontare
il boato dei tigli (p. 9)
“Eppur questo non basta”: la solitudine di chi morde la mano e ne vorrebbe lenire le ferite è insanabile:
sono sola non ho freddo
davanti a una schermata bianca
darò sfogo al richiamo
lo volevi, no?
nasconderti fino a diventare poesia (p. 77)
La voce di Pisani è una voce potente, alta (frequenti sono gli aulicismi) e sudicia; trapelano in alcuni componimenti echi di Zanzotto a passeggio per la sua Pieve di Soligo con quel che resta di Salvatore Toma. Una voce generazionale che brama il deserto affollato della psicosi [«loro mi fanno paura» (p. 120)] e la scabra o-scenità dell’infanzia:
la fiducia che rinasceremo
e non saremo sassi
questo diffuso conforto
mi riempie di terrore
non ora
quando sarà il momento
entra
senza bussare
nebulizzami (p. 104)
Luca Ormelli