Margaret Atwood compirà 80 il prossimo 18 novembre, con “I testamenti” – edito in Italia da Ponte alle Grazie – è un fenomeno letterario mondiale. Pluripremiata, la canadese è riconosciuta come uno dei massimi scrittori viventi del pianeta. “I testamenti”, come si sa, è il sequel de “Il racconto dell’ancella” (1985), tra i grandi libri degli ultimi decenni, tradotto in film nel 1990 – con Natasha Richardson, Robert Duvall e Faye Dunaway – e in serie televisiva nel 2017 – con Elisabeth Moss e Joseph Fiennes. Costantemente in attesa del fatidico Nobel per la letteratura, la Atwood è anche poetessa di pregio (le sue poesie sono edite in Italia da Le Lettere). Tra le interviste rilasciate alla stampa anglofona, ci pare bella quella pubblicata dal “New York Times”, realizzata da Alexandra Alter con il titolo “I’m Too Old to Be Scared by Much”, da cui, come di consueto, estraiamo alcuni passaggi illuminanti.
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Come si vive in un regime totalitario? “Come si diventa una persona di alto livello all’interno di una dittatura totalitaria? O sei un vero fedele, fin da subito, e prima o poi sarai purgato, oppure sei un opportunista. Magari hai paura. Direi che la paura è la motivazione essenziale. Se non faccio ciò che mi ordini, so che mi ucciderai. Zia Lydia è sempre stata una arrampicatrice, perciò è ascesa, senza alcun ostacolo. Come J. Edgar Hoover, sa che il potere rende sporche le persone”.
Tutto cominciò nel 1991. “Ho sempre pensato di scrivere un sequel. Sono rientrata nei miei appunti di recente, ho scoperto che già nel 1991 stavo appuntando idee per il sequel di Handmaid’s Tale. Poi ci sono rientrata, decisamente”.
Della ‘reputazione’ mi importa nulla. “Del serial in tivù mi interessa francamente poco. Mi sono fatta quella domanda, sempre la stessa: come accade e come cade un regime totalitario? Non mi preoccupo neanche della mia ‘reputazione letteraria’. Se avessi 35 anni mi farei dei problemi simili. Ne ho più del doppio, continuo a scrivere”.
Le mie ossessioni: il suprematismo bianco e i culti religiosi che sottomettono le donne. “L’ascesa del suprematismo bianco, questa idea non mi ha mai abbandonato. E poi: culti religiosi che sottomettono le donne. Il furto dei bambini. Costringere le donne ad avere figli, come accadeva durante la guerra di Troia”.
Vestirsi da ancella come forma di protesta. “Il mio romanzo ha assunto connotazioni politiche che non controllo. Penso che usare il costume delle ancelle come meccanismo di protesta sia intrigante. Non disturbi, non dici niente, ma sei molto visibile e a tutti è chiaro cosa stai affermando con quel costume. Sì, è una tattica brillante”.
Nessuno è profeta… “Da un punto di vista politico, il mio desiderio sarebbe che Il racconto dell’ancella venisse liquidato come la testimonianza di un’epoca terminata. Non è così, i miei avvertimenti non sono stati presi in considerazione, non è questa la piega che ha preso la storia”.
Scrivere è un salto in un futuro sconosciuto. “Quando scrivi, non sai cosa accadrà al tuo scritto. E se l’editore sceglie di disintegrarlo? Allora, non avrai mai un lettore. Ogni volta che scrivi qualcosa, su carta, su pietra, su un albero, stai implicando un lettore, un lettore nel futuro. Lo scrittore è sempre in questa posizione di attesa perché è separato nel tempo e nello spazio da chi leggerà ciò che scrive. Scrivere è sempre un salto in un futuro sconosciuto”.
Dicono che sono femminista, ma io odio le etichette. “Dicono che sono una scrittrice ‘femminista’? Le etichette mi mettono a disagio. Dovrei chiedere: di che femminismo state parlando? Come se qualcuno ti chiedesse se sei cristiano: già, ma che tipo di cristiano? Sei uno che balla con i serpenti, uno che crede nell’infallibilità del Papa, che cosa? Le femministe spesso litigano fra loro: perché? Io sono interessata all’eguaglianza, in cui uguale significa uguale, e non superiore. Ma questo, vede, non ti dà dei punti extra…”.
Non ho paura di nulla. Sono troppo vecchia. “Sono troppo vecchia per avere paura. Hai paura quando sei giovane e non conosci la trama della storia. A 20 anni non hai nulla, ma solo paura del futuro. Hai fiducia, sei eccitato, ma hai paura. Per questo, ho speranza nei giovani. Stanno cambiando il fattore politico”.
Gli editori? Aspettano che io schiatti. “Un altro romanzo? Ormai è una questione cronologica. Per scrivere un libro ho bisogno di almeno quattro anni. Ce la farò? Gli editori sono diventati ‘selvaggi’ nella promozione del mio romanzo. Li capisco. Pensano: e se muore? Allora, facciamo di tutto, adesso, ora, perché forse è l’ultima possibilità! Quando glielo dico, arrossiscono. Ma non possono negare che è proprio quello a cui stanno pensando. Ora mi concentrerò sulle mie poesie”.