15 Settembre 2019

Gita da idiota al Misano World Circuit. Tra Rossi, Marquez e Viñales – facendo memoria di Simoncelli – i motociclisti (che sfidano la morte e fanno vincere la vita) mi sembrano cavalieri arturiani

Per arrivare percorriamo vie sterrate, laterali, con la bicicletta. Il mare, dall’alto, sembra il palmo della mano di uno dei Titani. Alcune ville, in quella mezza campagna, affittano il proprio parcheggio, offrono il bagno, vendono panini e bibite. Da lì, poi, bisogna passeggiare duro per arrivare al circuito. I campi adiacenti, devotamente rasi, diventano mega parcheggi: il contadino fa la ‘stagione’ in tre giorni più che in tre anni di raccolto.

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Per anni, in quel tris di giorni, la MotoGp ha invaso la mia casa, a Riccione, come un ronzio, un fiotto di api. Non ho mai visto il campionato del mondo di MotoGp, non sono mai stato al Misano World Circuit. Il mio amico Fabio, insigne architetto, mi fa, ho due biglietti per le qualifiche, vuoi venire? Vado. Sono un assoluto idiota, mi preparo lì per lì studiando la carena dei team – mi piace la Petronas Yamaha di Quartararo e Morbidelli, che pattina benissimo: il sole sembra liquefare la pista, lucida come una striscia di diamante nero.

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Siamo ‘alloggiati’ in un posto buono, presso la curva del Carro: i bolidi rallentano, il mezzo si fa ammirare, stallone di metallo, poi riparte, velocissimo. I bolidi della MotoGp sembrano astronavi, sempre sul punto di scoppiare: il rombo, compresso dalla tettoia della tribuna, sembra quello di un aereo.

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Il Gran premio è una grande festa che dura tre giorni. All’esterno, il circuito è assediato da negozi che vendono cappelli e maglie dei campioni; decine di esercizi preparano piadina, porchetta, hamburger. Fiottano litri di birra. Quasi tutti brandiscono una pinta, alta, significativa, come una torcia.

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La differenza tra il campionato di motociclismo e quello di altre discipline sportive è semplice e determinante. Alla partita di calcio puoi andare tutte le domeniche – due volte al mese, se resti nello stadio della tua città. Qui accade un evento unico. Il campionato di MotoGp è oggi, altrimenti devi attendere un anno. L’oggi, l’ora&qui, l’unicità dell’evento dà l’idea di assistere a qualcosa di ‘storico’: comunque, sei nel ‘fatto’, qualcosa accadrà. E tu puoi vederlo, puoi testimoniarne il brivido.

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Sostanzialmente, paghi per vedere la morte in faccia – per assistere al mistero della morte, alla vittoria della vita sulla morte. I motociclisti, addobbati come samurai, come cavalieri medioevali, sfidano la morte – e il pubblico si esalta nell’assistere alla sfida. Per questo, sono tutti campioni, questi fantini della velocità estrema. La velocità è un attributo divino, domare la velocità chiede un talento da dèi. Così, il tifo smodato per Valentino Rossi non è nostalgico, non è la carezza sul casco di uno dei campioni sportivi più grandi di ogni tempo, ammirandone il tramonto. Anche se l’ultimo titolo lo ha vinto nel 2009, anche se l’ultima vittoria in campionato è del 2017, anche se è un ‘vecchietto’ – 40 anni; Márquez è nato esattamente 14 anni e 1 giorno dopo di lui – egli resta un re, un Lancillotto, uno che guada ogni volta la vita per guardare in faccia la morte. E la vince, superandola.

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Dei bolidi vedi il muso, lo scatto – intuisci la scia, si perdono. Di fatto, tutto accade in pochi istanti. Basta una sbavatura sul menù – Iannone che cade, Rossi e Márquez che si sfiorano, tagliandosi la strada alla cura del Carro – per attizzare le urla esplosive del pubblico. Il gesto cavalleresco accade al termine della competizione, sempre: i centauri, a velocità di crociera, attraversano i 4 chilometri e un tot del circuito, raccogliendo applausi come fiori di ciliegio. Tutti vincono, finché sono i sopravvissuti. Ne ammiriamo l’audacia: la morte va fregata con creatività, disciplinando in agio la difficoltà.

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Che il motomondiale sia una questione di vita o di morte lo celebra il nome del circuito, ‘Marco Simoncelli’. In Moto 3, per la “SIC58”, corre di brutto, con il fuoco negli occhi, Tatsuki Suzuki. Infine, ha vinto la gara, per la gioia di Paolo Simoncelli, e il cielo si sfascia in un fremito, pensando a Marco.

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Maverick Viñales, già vincitore del campionato di Moto 3, ottiene la pole, con una zampata micidiale – oltre alla velocità, è statuaria la strategia. Chissà se lo sa, Viñales, che ha il nome di Tom Cruise in Top Gun, film di culto del 1986, lui non era ancora nato. Mi accorgo che la struttura di una competizione fra due squadre – calcio, basket, pallavolo… – ha la natura della tragedia greca, la sua complicanza di trama; la gara di motociclismo ha qualcosa di gladiatorio, è sfida arturiana. Il pericolo si affronta continuamente, sfrontati.

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Ragione per cui, non conta la vittoria (per la cronaca, ha vinto Márquez, con balzo da cobra su Quartararo; terzo Viñales sull’eterno Valentino), ma il gesto, l’estro, l’eleganza da scorpione e da rosa con cui si sosta in quello spazio, brevissimo, tra riuscita e crollo, tra sorpasso e tracollo. Equilibrio da taoisti del motore.

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Rischiare la vita per un gioco. Forse non vale la pena vivere altrimenti. Ma io sono solo un poeta, un idiota, si sa. (d.b.)

*Interviste, dettagli e video della gara del motomondiale li vedete su Sky. 

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