“La tirannia della bellezza”. Leonard Cohen, un racconto
Letterature
Leonard Cohen
I presupposti per entrare incazzati all’ITC Molari, scuola che in occasione del Festival di Santarcangelo viene riconvertita in spazio artistico, c’erano tutti: “minor matter” di Ligia Lewis, venerdì 6 luglio, doveva iniziare alle 23 ma per colpa della lunghezza oltre programma di “Multitud” di Tamara Cubas la performance della danzatrice e coreografa residente a Berlino è iniziata a mezzanotte meno dieci.
Entrare nella palestra dell’istituto santarcangiolese con il prurito nei palmi delle mani è stato il minimo. Taccuino già aperto e pronto per accogliere una sonora stroncatura. E invece le sonorità dello spettacolo – a dir poco incantevole – mi ha rimesso in pace con il mondo e con le tre divinità greche del tempo.
Ligia Lewis è una pantera nera, bellissima e inquietante. Un animale sinuoso e forte che dialoga, attraverso il corpo, con due performer maschi, scuretti anche loro. Al centro una “piccola questione” a tre, forse un gioco, forse una storia d’amore, sicuramente di matrice fanciullesca: gli artisti disegnano piccoli quadri di vita quotidiana. Mossi da una musica mantrica, a volte a loop a volte più semplicemente contagiosa, indagano gli atti del corteggiamento, dello scherno, della lotta e dello sport (quello del rugby, dei marcantoni della Nuova Zelanda che mettono in scena l’Haka) con meravigliosa dinamicità fisica. Una tribalità che si scontra con un tappeto di note 4.0, un “Bolero” di Maurice Ravel elettronico e che produce energia positiva.
Non convince del tutto invece “A cloud” di Let’s Revolution, lavoro con e sugli adolescenti e ospitato al Lavatoio: 11 attori che “improvvisano” e discutono sulla vita da teen. Tra didascalie esplicite spiegate al microfono, un “Padre nostro”, la reiterazione (con cambio di vocalità) di alcune parole come “allitterazione” e “onomatopea” lo spettacolo, pur contenendo alcuni spunti poetici interessanti, risulta frammentato, scarsamente sincronizzato e a tratti poco credibile. Se il messaggio è quello di una denuncia dei giovani nei confronti della crescita, la sua realizzazione scenica non funziona come dovrebbe: passino le citazioni “alte” – Dante Alighieri su tutti – meno i momenti “corali”.
Va meglio a “Pan” della non-scuola del Teatro delle Albe, nonostante il caldo quasi insopportabile dell’ITC Molari (con quel che ne consegue: uno sventolare continuo di ventagli e di fogli di carta oltre a un’eccessiva e fastidiosa sudorazione del pubblico. La calura però ha portato a qualche piacevole spogliamento, il che non guasta). La storia narrata è quella del bambino che non voleva crescere, e la mise en scene – i ragazzini tra gli 11 e i 13 anni sul palco erano tantissimi – hanno saputo “vincere” la sfida, riuscendo a schivare la pateticità grazie ad alcuni registri comici di grande impatto. Buona regia, altrettanto il testo, così come (e soprattutto) la forza aggregativa che ha, in nuce, il teatro: quello di saper riunire italiani, ragazzini di colore e giovani con qualche fragilità. Ne esce una pièce organica, con qualche simpatico “inciampo” non voluto (un ragazzino si è scordato le battute e la sua spalla le ha recitate per lui tra gli applausi), che riconcilia la cripticità della ricerca con il pubblico.
Alessandro Carli