Quando Mario Mariani suona il Waltz 2 di Shostakovich su una melodica appoggiata al pianoforte, io penso a tutti quelli che ritengono la musica classica troppo seria, anzi seriosa. E vorrei dire a ognuno di loro: “Cosa vi state perdendo!”. Ascoltando questo genio pesarese (genio, nel senso del Treccani: “Chi, all’originalità dell’ingegno, unisce la capacità di dare forma e tradurre in atto quanto la fantasia o l’immaginazione gli detta”) mi sono venute in mente le parole di Peter Kivy, filosofo e musicologo: “L’arte dell’interprete è simile a quella dell’arrangiatore, e il prodotto dell’interprete, l’interpretazione, è un’opera d’arte molto simile a un arrangiamento, una versione dell’opera. In musica, come in tutte le arti interpretative, si ottengono due opere al prezzo di una”. Con Mario Mariani le due opere diventano tre, e la terza è la messa in scena, l’ironica rappresentazione che il pianista fa dello spartito interagendo con i più svariati oggetti: un cappuccino shaker dell’Ikea, righe e righelli, biglie che fanno il bending sulle corde e altri bizzarri oggetti usati per accrescere le potenzialità del pianoforte.
Non sto a dilungarmi: dopo avere letto l’intervista visitate il suo canale Youtube. Ha un nome che è un manifesto programmatico: “Mario Mariani – another piano is possibile”.
Sì, è possibile.
*
Mario Mariani si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio di Musica ‘Gioacchino Rossini’ di Pesaro. È un pianista eclettico in grado di spaziare dalla musica contemporanea alle performance teatrali, alla scrittura di colonne sonore per il cinema. Vanta un migliaio di concerti come solista, con ensemble e orchestre in Italia, Europa e Stati Uniti, oltre a numerose tournée negli Istituti Italiani di Cultura all’Estero.
Ha vinto il premio Novaracinefestival (assegnato da Spike Lee) per la migliore colonna sonora con il cortometraggio Under my garden di Andrea Lodovichetti. Nel 2003 ha scritto la musica di scena de Il Borghese Gentiluomo, spettacolo prodotto dal Teatro Stabile delle Marche con Giorgio Panariello protagonista e Giampiero Solari alla regia.
Ha attirato ulteriore attenzione in tutto il mondo con alcune esibizioni non convenzionali, come “Residenza artistica estrema”, dove ha portato un pianoforte a coda nella Grotta di Monte Nerone, sull’Appenino Umbro-Marchigiano, e ha suonato un concerto a notte per un mese intero.
*
Amo gli artisti eccentrici, gli scapigliati della musica, i creativi che cercano instancabilmente una bellezza che sta oltre la partitura. Come le è venuto in mente – puro genio all’opera – di usare il montalatte sul rullante per aprire la Gazza Ladra di Rossini?
Come sosteneva Frank Zappa, “senza deviazione dalla norma il progresso non è possibile” e questo è vero non solo per la musica ma in ogni campo. La ricerca che faccio da tantissimi anni sul pianoforte e le sue tecniche estese (preferisco sempre evitare il termine ‘pianoforte preparato’ perché fa pensare troppo al mondo di John Cage e porta fuori strada rispetto a quello che è il mio mondo musicale) è derivata tanto dalla ricerca di un suono ‘utopico’ nel pianoforte – non a caso il mio primo album di pianoforte solo si chiamava Utopiano – che il tentativo di unire altre discipline, come la performance con tutto ciò che di teatrale e fisico comporta. Possiedo uno Steinway “O” del 1906 dai tempi degli studi in Conservatorio e fino a un paio d’anni fa era abbastanza insuonabile, per problemi di meccanica e di corpo sonoro. Ciò mi ha portato probabilmente a cercare all’interno del pianoforte, laddove il suono ha origine, quello che non trovavo suonandolo in maniera canonica e dopo i primi timidi tentativi (unghie su corde, palmi e così via) ho preso gusto a sperimentare tecniche e oggetti dalla più varia natura: biglie, catene, massaggiatori elettrici che aleatoriamente si spostano sulle corde e naturalmente lo sbattilatte IKEA che è diventato un po’ un mio tratto distintivo, dato che spesso lo uso per imitare il suono del mandolino (come nella Tarantella Napoletana di Rossini o nel tema di Amarcord di Nino Rota) o come in questo caso per ricostruire il rullante solo che apre l’ouverture della Gazza Ladra. Non è solo un sorprendente effetto ma anche un piacevole complemento sonoro, visto che il rullante con la cordiera attaccata, durante la prima parte dell’Ouverture, vibra per simpatia continuando l’effetto percussione mentre sto suonando.
Sulle riviste specializzate sopravvivono (mai verbo fu più esatto, perché solo di strenua sopravvivenza si tratta) le rubriche di recensioni discografiche. Mi chiedo quanto conta oggi per un artista il giudizio di un critico e quanto invece la scrittura di pancia dei tanti appassionati che impugnano il mouse e scrivono sui blog o sui social network.
La critica specializzata conta se non altro per fare curriculum, visto che sulla qualità avrei molto da eccepire essendo una grande quantità di critici affetti dal ‘molliconismo’, cioè parlare bene di tutto, specie se prezzolati e foraggiati da potenti Uffici Stampa. Credo allora più nella ‘scrittura di pancia’ dei tanti appassionati che dedicano le loro energie ad una sincera ricerca della novità in quello che si crede essere lo stagnante panorama artistico, che in verità non è stagnante per niente. Spesso mi capita di essere contattato da giornalisti e blogger indipendenti ed è per me sempre un piacere rispondere alle loro domande, visto che entrambi facciamo parte in un certo senso dell’underground, quello vero.
La musica fa parte di noi, l’ascoltiamo dappertutto: nelle sale d’attesa dei medici, negli aeroporti, nei supermercati, nelle pubblicità televisive. “Non posso immaginare me stesso senza musica, anche quella brutta”, scriveva Stravinskij, rivelando, a metà Novecento, una profetica rassegnazione di fronte al futuro proliferare di sottofondi musicali per clienti, dipendenti e ascoltatori distratti. Tanta musica, poco ascolto.
Quanto è vero! Ho sempre pensato che quando si ascolta musica si debba fare solo quello, e farlo in religioso silenzio. Per me ascoltare un brano di musica è come entrare in un museo e nel poco tempo che si ha solitamente a disposizione cercare di capire e di carpire quanto più possibile dal capolavoro che si sta osservando, e capire quanto quel capolavoro ‘sta lavorando’ in noi. Il rispetto e la comprensione per la musica e per l’opera d’arte porterebbero a rispettare anche gli artisti, visti spesso come creature aliene ‘fuori dal mondo reale’ e quindi compatiti, spesso con una punta di invidia – incomprensibile perché spesso sono persone dallo scarso ‘potere sociale’ e sottoposti a continue umiliazioni – poiché, sotto sotto, si vorrebbe essere come loro.
Una parte della sua attività concertistica è decisamente estrema e non convenzionale. Ha suonato insieme al pittore Giuliano Del Sorbo in una performance dal titolo “Action Music Action Painting”. Ha dato musica a un racconto disegnato con la sabbia dall’artista Massimo Ottoni. Ha collaborato con attori, danzatori e performer vari. E però, lancio una provocazione: questo continuo esplorare linguaggi alternativi, sonorità non convenzionali, nuove modalità di fruizione dello spettacolo musicale, non è come affermare che alla musica pura manca sempre qualcosa?
Tutto questo esplorare fa parte della mia natura, che mi piace definire come un incrocio tra un uomo rinascimentale e un hacker. Questa stessa natura mi ha portato a conoscere e ibridare mondi anche non proprio adiacenti e conoscere artisti e personaggi interessanti che mi hanno profondamente influenzato, e spesso ho direttamente collaborato con loro. Cinema, teatro, danza, performance, discipline scientifiche, psicologiche e anche sciamaniche: tutto per me ha interesse e la musica è un centro polare che attrae e trasforma tutto ciò. Alla musica ‘pura’ non manca nulla, anzi. Ma nel caotico e distratto mondo di oggi la cosa più complicata come artisti è quella di ‘rendersi esistenti’ e attrarre l’interesse sia degli intermediari che si frappongono fra artista e pubblico e dare un motivo di interesse a quest’ultimo per farlo decidere di uscire di casa, spostarsi e spendere eventualmente i soldi in un biglietto. Inventarsi del ‘valore aggiunto’ rende più appetibile e interessante la proposta artistica e sapere raccontare tutto ciò è fondamentale. Purtroppo nel nostro paese, ma non solo, lo storytelling conta spesso molto di più del contenuto musicale e artistico, ma questo apparente compromesso se utilizzato in maniera ‘proattiva’ può essere però una ulteriore fonte di stimolo e ispirazione.
Lei crede che dietro una sequenza di note debba esserci necessariamente un sentimento, o per meglio dire: l’intenzione di un sentimento? Oppure la musica è pura astrazione e l’unica via per avvicinarsi all’essenza di quest’arte è ascoltare un brano nella sua pura oggettività, mettendo a tacere il cuore?
Le note sono già una codificazione se vogliamo semplificata di quello che è il suono, che una volta organizzato (o comunque, come nel caso della musica indeterminata e aleatoria ascrivendolo in una cornice ‘artistica’) diventa musica. Si può parlare tanto della musica. Solitamente inizio i miei workshop di Creative Music chiedendo ai presenti cos’è per loro la musica, e ogni volta ricevo risposte completamente differenti, ma ognuna di esse è a suo modo giusta essendo un aspetto dei tanti, forse infiniti, che definiscono questa magia che è la musica. Di conseguenza ci sono tanti modi per approcciarvisi. Prova ne è che se esaminiamo il cervello di una persona che ascolta musica vediamo attivarsi numerose aree cerebrali (e infatti la musica è un oggetto di studio tra i preferiti delle neuroscienze), tanto quelle deputate alla logica, che quelle spaziali, uditive, del piacere e così via. Io suggerisco di avvicinarsi alla musica senza sovrastrutture, senza aspettative e lasciarsi trasportare da ciò che arriva e che sorge dentro di sé.
Infine, la più classica e inevitabile delle domande: progetti per il futuro?
La classica risposta potrebbe essere di non dire nulla per scaramanzia! In realtà ci sono molti progetti che sto preparando. Prima di tutto continuando il mio filone delle variations (nel 2017 usciva The Soundtrack Variations e nel 2018 The Rossini Variations) sto preparando, in occasione del 100° anniversario della nascita di Federico Fellini, le Fellini Variations per cui ho già diverse date in giro per il mondo. Sto poi lavorando a un progetto di 10 anni fa, risalente a quando trascorsi un mese in una grotta con un pianoforte a coda in cima al Monte Nerone, tra le Marche e l’Umbria e dove ho registrato diversi brani. Vorrei registrare i rimanenti nel mio studio (sempre sul famoso Steinway, ora finalmente restaurato) e avendo ricostruito il suono della grotta utilizzando la tecnica del riverbero a convoluzione, è come se portassi il pianoforte in quel luogo e sarà probabilmente il mio quinto album di pianoforte solo. Infine ho ideato a Pesaro uno spazio artistico chiamato HOBO all’interno di una bottega solidale per il riuso dove quasi ogni giorno ci saranno concerti, eventi, incontri e performance tutte basate sull’improvvisazione (che preferisco chiamare “improvvisazione istantanea”) che sta riscuotendo molto interesse. Una specie di factory dove confluiscono persone, storie, oggetti e culture. Con la musica ancora una volta al centro.
Francesco Consiglio