29 Dicembre 2020

“Mi piace chi lotta. E l’Odissea l’ha scritta (anche) una donna”. Marilù Oliva dialoga con Gianluca Barbera

Marilù Oliva è una scrittrice intelligente e raffinata. Al suo attivo romanzi e storie originalissimi, per tema e stile. ¡Tú la pagarás! (Elliot 2011), Fuego (Elliot 2011), Mala Suerte (2012), Le spose sepolte (HarperCollins, 2018) e Musica sull’abisso (HarperCollins, 2019). Il suo ultimo, L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre, uscito per Solferino nel febbraio scorso, ha sbancato. Successo di pubblico e di critica. E Marilù, con questo suo nome così vezzoso, si è librata in cielo come una figura di Chagall. A gennaio uscirà il suo nuovo atteso romanzo, Biancaneve nel Novecento. Una saga famigliare tra presente e passato, nei luoghi oscuri del nazismo, tra efferatezze e lager nazisti; un romanzo sorretto da una precisa idea sulla storia: chiunque può essere protagonista, dipende solo da noi. In questa intervista ci regala qualche anticipazione, insieme a tante altre idee succose.

L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre è uscito nel febbraio scorso, in un periodo molto complicato, a ridosso del lockdown, eppure ha riscosso un grande successo. Secondo te quali sono le ragioni?

Studio da anni l’andamento dei libri e sono giunta a una conclusione: alcune variabili sono imprevedibili e purtroppo non esiste una ricetta. Nel mio caso, credo che abbiano concorso in particolare alcuni elementi: innanzitutto il fatto di aver ri-narrato una storia universale, capace di creare agganci in ogni tipo di lettore, talvolta anche con un po’ di nostalgia: mi riferisco ai destinatari dai trent’anni in su, mentre i giovanissimi sono più attratti dall’aspetto magico-avventuroso. Inoltre l’Odissea è ricca e multiforme perché contiene diversi generi – viaggio, storico, rosa, avventura, horror, fantasy, etc – che convergono verso le questioni che da sempre ci fanno palpitare: la conoscenza, l’esplorazione, l’amore, la conquista dell’oggetto del desiderio (Itaca) e l’affermazione dei propri diritti.

In cosa differisce una Odissea raccontata da uomini da una Odissea raccontata da donne? Potremmo dire che la tua è l’Odissea che avrebbe raccontato Omero se fosse stato una donna?

Oggi gli studiosi si dividono in due parti: chi sostiene la teoria unitaria e chi quella separatista. Secondo i primi, fu un unico autore a mettere per iscritto i poemi (prima tramandati per secoli oralmente) e lo fece in due momenti lontani della sua vita: ciò spiegherebbe le grandi discrasie tra Iliade e Odissea. Io abbraccio la teoria dei separatisti e penso invece che siano state più mani a redigere i poemi – probabilmente nel VI sec a.C., nell’età di Pisistrato ad Atene – e sono abbastanza convinta che tra questi scrittori ci fosse anche una donna, che magari ha agito nell’ombra o come suggeritrice: ciò giustificherebbe la presenza rivoluzionaria dell’altra metà del cielo in un poema come l’Odissea, dove le donne – diversamente dalle loro coeve dell’età del bronzo – dominano i loro spazi, comandano, giocano d’astuzia beffando gli uomini. Una situazione assolutamente inedita. Il mio è stato soprattutto un lavoro da scalpellino, ho cercato di far emergere le figure femminili incastrate nel marmo di una narrazione che aveva dato loro un ruolo importante ma le aveva lasciate ancora troppo silenti.

A che punto siamo con l’emancipazione femminile?

Grandi passi sono stati fatti nel Novecento, ma c’è ancora molto da lavorare, soprattutto per quanto riguarda la svalutazione della donna, del suo ruolo, del suo lavoro e la reificazione del suo corpo.

Esistono una letteratura maschile e una femminile o esiste solo la letteratura?

Esistono autori dotati di una scrittura così profonda che travalica l’essenza maschile o femminile – e cito, ad esempio, Agota Kristof: se il lettore non conoscesse l’autrice, non sarebbe in grado di decifrare tra le pagine l’impronta di un uomo o di una donna. Poi ci sono scrittrici che in qualche modo trasudano il loro sentire, e qui prendo un esempio dalla poesia. In Alda Merini o Mariangela Gualtieri vi è una cura per il dettaglio, un’inclinazione all’analisi complessa dei comportamenti, una naturalezza nell’indagine dei moti oscuri dell’animo da cui trapela un’intensità profonda che potrebbe sembrare femminile. Ma anche Michele Mari sa registrare simili perturbazioni interiori, quindi questo non significa che si debba procedere con la seguente generalizzazione: voce femminile=introspezione e sentimento, voce maschile=azione. Tali eguaglianze sono una deriva molto dannosa per la letteratura, che è una, senza generi.

Hai dei modelli di riferimento nella vita e nella letteratura?

Nella vita mi piacciono le persone che hanno degli ideali e che lottano per essi, come Che Guevara o Antonio Gramsci o Nelson Mandela o, per dirti il nome di alcune scienziate, Margherita Hack e Rita Levi Montalcini. Le persone corrette, che costruiscono delle possibilità, che hanno lo sguardo rivolto verso l’altro, che vedono i confini come qualcosa da superare e non come delle gabbie. I riferimenti letterari sono tanti, la mia lista qui non è esaustiva, ma intanto potrei citarti Gabriel García Márquez, Roberto Bolaño, Elsa Morante, Maria Bellonci, Italo Calvino, Valerio Evangelisti, Emmanuel Carrère, Marguerite Duras. Ho anche un debole per gli scritti di Frida Khalo, ma mi fermo qui se no la risposta proseguirebbe per molte pagine.

Marilù Oliva in un ritratto fotografico di Claudia Spaziani

Quanto pesa la storia nella vita degli individui, e viceversa? Per esempio per Tolstoj è la storia a manovrarci, anche quando riteniamo di esserne noi gli artefici… Qual è la tua idea al riguardo?

Ne parlerò diffusamente nel mio prossimo romanzo, Biancaneve nel Novecento, dove il messaggio silente di fondo è che la grande Storia, quella con la S maiuscola, ci appartiene, nel senso che, se noi lo vogliamo, col nostro agire, con una piccola goccia nell’oceano ne possiamo fare parte. Non dobbiamo rassegnarci e pensare che la storia sia appannaggio solo dei potenti. Dal nostro comportamento dipendono comunque diversi svolgimenti: da come ci informiamo e votiamo, dallo stile di vita che seguiamo (consumistico o green, ad esempio), dalle persone che scegliamo, da ciò che decidiamo di realizzare col nostro tempo.

Conta più l’individuo o la collettività? Il bene comune è in cima a tutto, ma che cos’è il bene comune: semplicemente quello della maggioranza (che tra l’altro è fluida)?

Non sono una sociologa, ma posso dirti che per me contano entrambi, così come le rispettive esasperazioni risultano dannose. L’individualismo dei giorni nostri, ad esempio, è un fenomeno molto nocivo che potrebbe andare – coniugato all’iperbole della collettività – nella direzione ipotizzata da Zygmunt Bauman nel saggio scritto con David Lyon, Sesto potere. La sorveglianza della modernità liquida. Qui si immagina un modello di società futuro in cui le forme di controllo assumono le fattezze dell’intrattenimento e del consumo, in cui viene azzerata la libertà di azione e di scelta e la ribellione è spenta perché le vittime, ovvero noi, il popolo, diventano sorveglianti di se stesse e collaborano al proprio controllo. Piegate all’individualismo e al miraggio di se stesse, assorte nell’autopromozione, si lasciano sedurre dalle prigioni (talvolta invisibili) proposte dalle classi dominanti, che vincono, anche perché non esistono più luoghi – come la scuola – in grado di formare liberamente individui pensanti. Non vorrei essere troppo pessimista, ma in piccola parte stiamo andando in questa direzione anche se, per fortuna, questa deriva è combattuta da molte teste pensanti che remano in senso opposto.

Il miglior libro che hai letto quest’anno? Diciamo i tre migliori…

Solo tre titoli faccio davvero fatica. Ho letti diversi libri molto belli (tra cui il tuo Il viaggio dei viaggi) e una parte di quelli che mi hanno colpito l’ho recensita o su Huffington Post o sulla Gazzetta di Parma o su MicroMega. O anche sulla mia bacheca Facebook, dove promuovo quasi ogni giorno i libri che hanno lasciato il segno.

Secondo te si è letto di più o di meno in questi mesi di pandemia?

Le statistiche dicono che sono stati venduti meno libri e questo è un dato certo. Così come l’Indagine Cepell-AIE  ha purtroppo dimostrato che durante i mesi del lockdown abbiamo letto meno libri per dedicarci ad altre attività, dalle videoconferenze ai social network, alla cucina. Ma io credo che, in realtà, ci siano state altre forme di lettura: quelle sui social, ad esempio. Abbiamo passato (e in parte stiamo ancora passando) un periodo molto critico, dove ciascuno ha il diritto di reagire a modo suo e cercare sollievo in ciò che lo conforta.

E tu hai letto di più o di meno?

Io leggo sempre tanto, almeno due libri alla settimana. Altrimenti mi spengo.

Leggere fa sempre bene o può anche nuocere? Se per esempio uno legge il Mein Kampf, può imparare ma anche lasciarsi traviare, o non è così?

In realtà non è la lettura di Mein Kampf che nuoce: la lettura di quel libro trova un ricettacolo deviato qualora venisse accolta da una mente già di parte; il problema quindi non è il libro, ma le convinzioni pregresse. Qualsiasi persona equilibrata, affrontando un libro del genere, si indignerebbe. Leggere fa bene, sia intrattenimento puro (e quindi distrae, solleva dai problemi quotidiani, anche se si tratta di un benessere più immediato), sia letture più guerriere, ovvero libri non rassicuranti, che scuotono nel profondo ma ci inducono a riflessioni che magari all’inizio comportano una dose di dolore ma, alla lunga, ci rendono più consapevoli, più completi, più aperti nelle vedute, più leggeri rispetto alla pesantezza dei nostri demoni, quindi più ricettivi alla felicità.

Ti piace viaggiare? Qual è il posto più bello nel quale sei stata. E quale il primo in cui andrai appena tutto questo finirà? Il tuo viaggio di sogni?

Mi piace molto viaggiare, ma non ho viaggiato quanto avrei voluto. Posso dirti il posto non più bello (belli mi sono sembrati tutti, adoro il momento in cui si viene a contatto con lo sconosciuto e l’esotico), ma quello al quale in assoluto mi sono sentita di appartenere di più: nella Cuba (ancora castrista) dove le strade risuonavano della clave e dei bongò e dove vivevo non nei resort, ma per strada, “a lo cubano” alla maniera cubana e dove, da appassionata di salsa e cultura caraibica, mi sentivo in perfetta sintonia.

Se un’insegnante. Come sta andando con la didattica a distanza? Hai dei timori per i ragazzi, per il loro presente e per il loro futuro?

Preferisco mille volte la didattica in presenza. Certo che ho timore, sia per loro che per i miei figli. Stiamo attraversando un’epoca molto incerta dal punto di vista delle prospettive di lavoro e di benessere e non mi riferisco solo al Covid, ma ad alcuni diritti basilari che mi sembra stiamo perdendo di vista. Però confido in loro e in noi, nel potere propositivo di chi vorrebbe un mondo migliore.

Torniamo a te e al tuo mestiere di scrittrice. Cosa bolle in pentola? A cosa stai lavorando? Quando uscirà il tuo prossimo libro e di che parlerà?

Uscirà il 21 gennaio per Solferino, è una saga familiare che attraversa il Novecento e che vede alternate due voci femminili: dapprima quella di una bambina infelice negli anni Ottanta che si rifugia nel mondo delle fiabe, poi quella più antica di una ragazza che verrà internata nel bordello di Buchenwald. Purtroppo i nazisti idearono questa orrenda soluzione come ricompensa ai prigionieri ritenuti più produttivi. La prima è sfiorata, l’altra lacerata dalla Storia, quella epocale. E attorno ai precipizi di ciascuna si stagliano le rispettive vicende: le speranze, i desideri, le ribellioni, gli amori, gli errori e perfino qualche effimero raggio di felicità.

*In copertina: Cleopatra secondo Lawrence Alma-Tadema

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