09 Ottobre 2020

“Marco Giaconi per me non è stato un maestro. È stato di più: un esempio. Il maestro lo vedi, l’esempio lo senti”

Nel suo computer a Lucca ci dev’essere un testo incompiuto per “Pangea”: sarà arrivato, conoscendolo, a rispondere alle prime tre domande con dovizia di dettagli, riservandosi un momento per lanciare qualche frase pungente per rispondere alle altre sette dell’intervista. Ora quel testo di Giaconi si perde, si può solo immaginare. O riparare con un ricordo privato.

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Marco Giaconi per me non è stato un maestro. È stato di più: un esempio. Il maestro lo vedi, l’esempio lo senti. Il maestro è sempre più in alto di te, l’esempio è un fantasma che ti accompagna in ogni momento.

Quindi non comincerò questo intervento come si dovrebbe fare, dicendo: “ho conosciuto il Prof. Giaconi in questo luogo il tal giorno”. Vorrei invece sbalzare il suo profilo come se fosse una vita immaginaria, accostando momenti eterogenei del nostro percorso insieme.

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Mi chiama mentre sono in una reception nei primi caldi bollenti di giugno e dicendomi trionfante di aver ritrovato un avo di cui aveva solo avuto vaghe notizie in un racconto postumo di Roberto Bolaño. Gli avevo fatto una testa quadra su quell’autore e lui si prese una rivincita. Ma lo sa che nel racconto sui Sepolcri dei cowboy parla di Giaconi, un poeta comunista argentino? Dio me ne scampi non ne vado orgoglioso però mi ha fatto ricordare...

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Oppure il primo o il secondo impatto di persona. Il primo in assoluto si perde nelle nebbie di una libreria sepolta tra tomi Valla fosforescenti e altri solidi mattoni agli scaffali. Perciò il secondo incontro. Mi aveva fatto capire expressis verbis per iscritto che si occupava di certe cose e a voce mi disse lei non è ancora pronto. Però potrei raccontarle di azioni che nemmeno un fuoco d’artificio in un film di Sorrentino. Come quella volta che il mio vecchio amico si allontanò dalla festa d’ambasciata in smoking, andò in acqua con la muta e poi tornò all’ambasciata festante, dopodiché si sentì quella deflagrazione

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Ma quanti incontri fisici ci sono stati? Otto, nove o dieci? L’esempio di Marco Giaconi non me lo fa ricordare. Mi vengono solo in mente le sue parole: lei deve arrivare a sviluppare cento sensi, deve imparare da tutte le situazioni, da ogni cosa

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Amava la vita al punto che la prima volta che mi invitava da Giannino a Milano io vedendo il menù cercai una scorciatoia per defilarmi: sa dopo il corso mi vedo con una compagna, tale Marta M. sa quelli della de Cecco... Volevo lusingare il suo lato snob, degno appunto di una vita immaginaria alla Schwob, alla Beerbohm. Mi rispose secco al telefono: bene, la inviti con noi da Giannino.

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Marco Giaconi quando aveva la mia età e teneva qualche seminario di filosofia della scienza a Zurigo amava la compagnia degli universitari più giovani e li invitava spesso da lui per uno spaghetto come si deve. Cosa straordinaria: a sessant’anni amava ricordare queste cose con umiltà. Con annessi e connessi: e sa quella volta vidi tornare a casa, affaticata in salita con alcune bottiglie di vino nelle buste questa giovane moglie di un mio collega che si vede che non se la filava. Mi offrii per aiutarla con le buste e una volta a casa sua lei doveva essere veramente… mi raccomando, Lei se ne ricordi sempre.

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L’ultima volta a Natale mi regalò ad un aperitivo velocissimo da Salza un libro di René Girard e con eleganza mi porse il pacchetto dicendomi se Lei non lo ha già. Ma chi poteva avere Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo? Giaconi era così immerso tra i libri. Nella camera che occupava in quella villa sopra Lucca c’erano probabilmente a scaffale tutte le NUE Einaudi. Mancava solo quella scritta da lui. Solo che Giaconi stava facendo altro: qualche rapporto al computer davanti a una finestra alta e stretta.

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Quanto si deve morire per vivere? Chi vive troppo sopravvive a se stesso, non è più credibile.

L’ultima volta che le Carré ha fatto comparire Smiley in Un’eredità di spie si suppone che il vecchio spy master avesse più di novant’anni. Le Carré ce lo presenta di sguincio, quando Peter Guillam lo trova nascosto in una biblioteca di Berna: Smiley gli dice “lascia stare, avevamo sbagliato tutto a sacrificare Tulipano, lei non aveva colpa e ora è sopra le nostre spalle”.

Per nulla credibile. Marco Giaconi se ne è andato prima di arrivare al punto di rimangiarsi una sola parola.

Nur Unsterblichen wachsen sich nicht auf.  Ce lo dicevamo parlando di Kantorowicz o di non so più che altro storico o filosofo. Il detto tedesco vale pressappoco così: solo gli umani muoiono e cadono, quindi si rialzano. Gli immortali invece per definizione una volta crollati non si risollevano più. 

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Cosa non torna adesso, Professore? Me lo può dire o dobbiamo cercare una soluzione da soli?

Quando Doctor mi invitava a Lucca, la padrona di casa diceva che la libreria nel soggiorno era sì molto bella ma se facevo attenzione notavo che nello scaffale c’era un buco.

In effetti la collezione dei padri della chiesa era completa salvo un solo volume, rubato a qualche festa da un incettatore o direttamente dal collezionista vorace. Quel volume mancante è lo specchio del momento in cui scrivo.

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Ma poi, sa, io non ho mai fatto troppo affidamento sul Grande Inquisitore, semmai una volta mi faceva impazzire il maggiordomo nei racconti di Wodehouse… mentre entrava in un negozio di profumi a Lucca per comprare un regalo alla signora.

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Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
fate tacere il cane con un osso succulento,
chiudete i pianoforti, e tra un rullio smorzato
portate fuori il feretro, si accostino i dolenti

…lo so, Professore, lo so che Auden non le piace…

Andrea Bianchi 

*Gli articoli/intervista che Marco Giaconi ha rilasciato a “Pangea” costituiscono un piccolo patrimonio: si possono leggere qui e qui

*In copertina: una immagine da “Il terzo uomo” di Carol Reed (1949)

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