Le circostanze congiurano per parlare di Conrad giovane. Soliti piagnistei dalle ‘colonne’ dei giornali laureati a proposito dei giovani che se ne vanno dall’Italia: ‘capitale disperso’, ‘lauree regalate agli altri paesi’, ‘orfanezza dei giovani con genitori che non li seguono’. Un momento. Orfanezza? Tutto vero, la parola è stata lanciata da oltre Tevere non da qualche gerarca, non da qualche direttore di museo ma… da Nicola Lagioia. Sì, l’uomo che scrive “papa Francesco ha pronunciato molte parole nuove” (esordio bestiale, da studente che si è preparato), usa poi raccordi omiletici (“ecco allora che”) e per febbre trasmessagli, immagino, da Recalcati, ci aggiorna con idiozie da prete bello (“viviamo nell’epoca dell’evaporazione dei padri”). Per finire, Lagioia ha il pessimo gusto di sfoderare Conrad.
Conrad e i giovani oggi? Un attimo, qualcosa non torna. Ma se Conrad se n’era andato nei mari d’oriente, una volta rimasto senza genitori… Facciamo un esperimento. Prima vi leggete una lettera di Conrad (1857-1924) al suo mentore ed editore David Garnett che gli impastò la lingua per trent’anni presa da un libro del 1928 mai tradotto in italiano. Poi le sciocchezze di circostanza di Lagioia. Una cosa per volta.
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20 gennaio 1900
Carissimo Edward,
no, non sapevo di Lord Jim, so soltanto ora che ti piace e ti dico che è vero che per me Jim è sufficiente come lo sono dei muti e sordi sopra le nostre teste (ma hanno una vista così penetrante, sono eloquenti e dall’udito fine). Se pensi che, solo perché non te mandai il manoscritto, la tua opinione non sia più un fattore vitale nella mia esistenza artistica, ti sbagli, purtroppo. Avevo timore di te. Anche ora ho timore. Vedi il lavoro per frammenti. Questo benedetto lavoro è manchevole, lo vedi pur con la tua penetrazione e la tua simpatia ma non potrai proprio dire dove sto puntando e come porrò fine a questo tentativo sconclusionato. Non ci riuscirai. E la verità è che sono imperscrutabile perché sto tutto in superficie, non perché vada in profondità. Sarà come quando ti siedi e ti spostano la sedia da dietro (se volessi gelarti); qualcosa come un pessimo scherzo che ti urterà, senza dubbio. Cattivo e vile. Ora che sei avvisato non cadrai malamente, immagino. (…) C’è stato un John Kochanowski, poeta del Quattrocento che tra altre cose scrisse una trenodia e davvero la nostra letteratura data da allora. Certo il suo nome cognome è simile al mio tanto quanto Brown è come Robinson. Il suo nome viene dal polacco ‘amore’, il mio invece da ‘radice’. Poi negli anni Trenta o Quaranta dell’Ottocento c’era un romanziere del genere del vostro Trollope, ma non era bravo come lui di nome Joseph Korzeniowski. Che è il mio nome ma la famiglia è diversa, il mio nome essendo per intero Joseph Theodor Konrad Natecz Korzeniowski. (…) Il mio altro nonno era Joseph Bobrowski, proprietario terriero, uomo saggio e proprietario di un allevamento di cavalli della Steppa, visse e morì nella sua tenuta di Oratow. Era stimato e se ne sentì la mancanza. Non scrisse nulla tranne qualche lettera (sporadica) e fece molte promesse alla comunità ebraica. Lasciò una grande famiglia di figli e una figlia, Eva, mia madre. In quella famiglia c’era uno straordinario culto per questa sorella della quale ho profittato quando sono rimasto orfano a dieci anni. E certo mia madre non era una donna comune. Le sue lettere a mio padre e ai suoi fratelli le lessi nel 1890, poi le distrussi, per me furono una rivelazione; non scorderò mai il piacere, l’ammirazione e il rammarico inconsolabile per la mia perdita (prima che la potessi apprezzare), lo capii pienamente solo allora. Uno dei suoi fratelli, Thaddeus, per il quale ero più figlio che nipote, era uomo di potente intelligenza e grande forza di carattere, di amplissima influenza nelle tre province di Ucraina, Volhynia e Podolia. Un uomo molto distinto. Un altro, Stefano, nel 1862 fu a capo del Comitato Rivoluzionario Polacco di Varsavia e morì assassinato di lì a poco nell’insurrezione polacca del 1863. Nessun membro delle molte famiglie alle quali si imparentavano questi due zii scrisse mai di lettere; tutti sacrificarono fortuna, libertà e vita per la causa nella quale credevano; e molto pochi ebbero mai la più piccola illusione riguardo al suo successo.
Mio padre era Apollonius N. Korzeniowski. Studente all’università di San Pietroburgo al dipartimento di studi filologici orientali. Mai laureato. Molti debiti. Successi mondani e la solita misura di ‘belle fortune’. Poeta. Si sposò nel 1855. Venne a Varsavia nel 1860. Fu arrestato nel 1862 e dopo dieci mesi di detenzione alla Cittadella fu condannato alla deportazione in Russia. Prima ad Arcangelo, Tsherisgow. Mia madre morì in esilio. Mio pare fu liberato nel ’67 su testimonianza del Principe Gallitzin per il quale non era più pericoloso. Era moribondo. Scrisse una commedia sulla vita moderna in versi, cinque atti (sarà stata del 1854). Tradusse: V. Hugo, Legende du Siécles. Travailleurs de la Mer. Hernani, Alf. de Vigny, Chatterton (dramma in versi). Poi Shakespeare: Much Ado About Nothing, As you like it, Two Gentlemen of Verona, Comedy of Errors, Othello. (Me li ricordo quando gli mandavano le bozze per correzione. Può darsi ve ne fossero altri. Alcuni di questi qui sopra li lessi che avrò avuto non più di otto o nove anni). Dopo la scarcerazione fu a Cracovia (Polonia austriaca) nel comitato editoriale di un giornale (Kraj) fondato allora se ben ricordo dal Principe Leo Sapieha ma era troppo debole per proseguire attivamente in quella direzione. Uomo di grande buon senso, dal temperamento esaltato e sognatore, col dono per l’ironia terribile e dalla disposizione al malinconico, con tutto quel forte sentire religioso che degenerò, dopo la perdita della moglie, nel misticismo accompagnato da disperazione. Dall’aspetto distinto, di conversazione affascinante, il viso quieto e scuro si illuminava quando sorrideva. Lo ricordo bene. Nei suoi ultimi due anni vissi da solo con lui ma perché andare avanti così? C’erano montagne di manoscritti, drammi, versi, prosa, bruciati dopo la sua morte come da disposizioni testamentarie. Un suo amico polacco, critico rispettato, scrisse un pamphlet dal titolo ‘Un poeta poco noto’. E così finis.
Ho scritto abbastanza? Non volevo farlo, quando ho cominciato questa lettera. Avevo sempre il desiderio di scrivere qualcosa del genere per Borys [il figlio] così da risparmiargli abissi peggiori nel futuro. E probabilmente lui non ci darebbe peso. Cos’è Ecuba per lui o cos’è lui per Ecuba. Tempi passati [in italiano], fratello, tempi passati. Lasciamo che se ne vadano.
Sempre tuo
Joseph
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Ora, con che faccia si può presentare Conrad come il papino dei giovani rimasti soli come fa Lagioia (“nella Linea d’ombra Conrad racconta in modo mirabile il passaggio dalla giovinezza all’età adulta facendo risplendere l’idioma di Shakespeare di nuove luci e di magnifiche ombre”) per portare acqua al suo mulino?
Poi d’accordo, si può andare avanti e vedere chi era il miglior traduttore italiano di Conrad: Piero Jahier, figlio di pastore valdese suicida per adulterio (commesso), uno insomma che capiva la gioventù di Conrad. Manco Conrad fosse uno stinco di santo, se nella lettera a Garnett sulla sua famiglia dice di non voler fare discorsi simili al figlio Borys. Il nostro scrittore era semmai uno che il suo dolore se lo covava da solo: un duro che si oppose a chi gli voleva fargli firmare il manifesto per liberare Casement il quale per non aver distrutto i suoi Diari neri si era messo nelle grane coi Servizi imperiali. E Casement prima era stato un amico col quale Conrad viaggiava in Congo. Ma va bene, battezziamo pure Conrad, tanto per lui parlano le lettere private di quando viaggiava per mare (stampava Cambridge nel 1983). Ecco le più belle.
Le missive di Conrad marinaio sono destinate a un esule polacco che se ne era andato a Cardiff nel 1831 a vendere orologi (era passata la tempesta di rivoluzione del 1830 anche lassù). Per la storia, il suo nome era Spiridion Kliszczewski. Conrad l’aveva conosciuto durante una sosta della nave sulla quale prestava servizio, la Tilkhurst, a Penarth vicino Cardiff per far scorte di carbone. La scena è da immaginarsi così: Conrad si è imbarcato nel 1885, a 25 anni, per Singapore, e scende a Penarth per ripagare un debito al vecchio Spiridion da parte di un altro marinaio polacco, e stringe subito quell’amicizia istintiva che scatta tra esuli. Più crudo e romantico di così…
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27 settembre, dalla Tilkhurst, Singapore
Caro Signore, d’accordo col Suo desiderio generosamente espresso e alla mia promessa mi affretto a scriverle del mio arrivo qui sano e salvo. Da quando l’ho salutata a Cardiff il globo ha compiuto quasi una mezza rivoluzione su se stesso: il vecchio Padre Tempo che è sempre diligente nei suoi affari ha passato la sua gomma da cancellare su molti uomini, cose, memorie: io invece lo sconfiggo e così non riesce mai a rimuovere dalla mia mente e dal mio cuore il ricordo della gentilezza che Lei e la Sua famiglia avete mostrato a uno straniero in forza di un distante legame nazionale. Temo di non aver espresso adeguatamente questa riconoscenza né a Sua moglie né a Lei; non posso vantarmi di riuscire a farlo con questa lettera, perché nel mio caso quando il cuore è pieno, scarse sono le parole, e tanto più intenso il sentimento che desidero esprimervi.
Ora spero di ricevere una lettera da Lei tra un mese circa. (…) Non desiderando prendere altro del Suo tempo prezioso porto a conclusione questa lettera, riservando per la prossima qualsiasi notizia utile – in risposta alla Sua – spero. I miei complimenti alla signora e una calorosa stretta di mano a tutti i ragazzi di casa, uno per uno. Mi creda, caro Signore,
Suo grato e fedele,
Conrad N. Korzeniowski
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13 ottobre 1885, da Calcutta
Mio caro Signore (…) il governo liberale è stato sconfitto al voto di bilancio un giorno o due prima che la nostra nave partisse da Penarth, appena arrivato qui ho guardato con ansia tutti i giornali in attesa di grandi cose. Benché meravigliato negativamente, ho notato migliorie nei rapporti con la Germania, che poi è l’unica Potenza con la quale sarebbe da costituire un’utile alleanza in funzione antirussa. Utile, e addirittura possibile. Non si deve meravigliare che il quadro attuale di cose politiche (estere, quantomeno) sia instabile. Gli eventi gettano ombre su di noi – ombre più o meno distorte – e abbastanza profonde da lasciarci intuire una luce sporca, da campo di battaglia, laggiù in un futuro abbastanza prossimo, anche se poi questi eventi grandi e decisivi mi lasciano in un’indifferenza di disperazione; lo sa che, quali che siano i cambiamenti nelle fortune delle nazioni oggi in vita, per il morto non c’è speranza, non c’è salvezza! Abbiamo superato i cancelli con su scritto ‘lasciate ogni speranza’, parole scritte in lettere di sangue e fuoco – ora il cancello è chiuso a tutte le luci di speranza e nulla rimane per noi tranne l’oscura dimenticanza. Davanti a questa sfortuna della nostra nazione, è impossibile la felicità privata nella sua forma semplice che fa esser contenti e sereni. Però sono d’accordo con Lei che una terra libera e ospitale offrirà una certa pace e una piccola dose di felicità anche al più perseguitato della nostra razza – sul piano materiale, si capisce. Quindi ho colto subito il Suo riferimento alla ‘Casa’ e l’ho fatto mio. Quando si parla, si scrive o si pensa in inglese la parola Home sta sempre a indicare, per me, le spiagge accoglienti di Gran Bretagna. (…) Sa che ho letto, studiato e messo su l’abito professionale dei balenieri e dei marinai in questi ultimi quattro anni? Sono di casa riguardo la parte pratica dell’impresa e andrò a fondo. Di più, mi sono assicurato l’aiuto in prima persona di un uomo che è nato e cresciuto in questo commercio il quale, benché si trovi bene dove sta adesso, è pronto a tornare al suo vero compito di cacciatore di balene. Finalmente vedo un vascello tutto per me, e in termini vantaggiosi.
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A Spiridion, 19 dicembre 1885, Calcutta
Mio caro Signore (…) quando mi leggerà io e il resto del ‘destro pensiero’ saremo aggravati dal risultato delle Elezioni Generali [335 Liberali, 249 Conservatori]. I nuovi idioti affrancati sono stati ripagati dalle aspirazioni del Signor Chamberlain e della sua mandria, e insieme si sono cucinati il piatto nazionale – oca arrosto – come da ricetta. La prossima mossa in cucina sarà un ottimo piatto a base di pesci lessi internazionali. Regna la gioia a San Pietroburgo, nessun dubbio, mentre a Berlino profondo disgusto. L’Internazionale Socialista trionfa e tutte le razze di gatti in Europa prendono a credere in questo giorno di fratellanza universale, di redistribuzione, disordine, tutto in buon ordine, e sul fondo sogni a occhi aperti con canzoncine da infermiere e tutti con le tasche ben piene nel mezzo delle rovine di tutto quel che credevo rispettabile, venerabile e santo. Il grande Impero Britannico è sceso dalla vetta ed è già sul piano inclinato del progresso sociale, delle riforme radicali. Il movimento al ribasso per ora lo si avverte poco, e quei signori astuti che l’hanno provocato possono vantarsi del bel gesto. Ma presto scopriranno che il fato della nazione è fuori dalle loro mani, ora! La valanga alpina scorre sempre più velocemente mentre si avvicina all’abisso, la sua ultima meta! E dov’è l’uomo che possa fermarla? L’opportunità e il giorno per farlo se ne sono andati! Mi creda: se ne sono andati per sempre! Il sole è tramontato, l’ultima barriera è stata rimossa. L’Inghilterra era l’unica barriera contro la spinta di dottrine infernali nate tra la feccia del bordello continentale europeo. E ora, nulla! Il destino di questa nazione e di tutte le altre è venir accolti dalle tenebre nel mezzo di pianto e stridor di denti, passando per rapine, eguaglianza, anarchia e miseria sotto la legge ferrea del dispotismo militare! Questa la lezione del senso comune e della sua logica ‘un uomo, un voto’. Inevitabilmente il socialismo se ne va a finire nel cesarismo. Mi perdoni questa lunga tirata, ma la Sua lettera, così franca in materia, me ne scuserà. La capisco alla perfezione, Lei desidera applicare certi rimedi per sanare i sintomi pericolosi: evidentemente c’è ancora speranza dentro di Lei. Per me non è così da un pezzo, in verità da molto prima ancora. Si va alla deriva!
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Che dire? Orrore, orrore… Ma solo così si spiegano le creazioni di Conrad, quell’odio viscerale per la Russia dura e irrazionale che gli aveva incarcerato ad Arcangelo il padre molti anni prima. E comunque Conrad rimane, le politiche di allora un po’ meno. Conrad rimane perché ha fatto a pugni con la scrittura senza cercare palliativi.
Nel generale disprezzo di Conrad per i russi si staglia però una bella eccezione: Turgenev. Conrad ebbe per lui parole di elogio scrivendo all’amico Garnett nel 1917. A ben vedere, è un encomio che a carriera compiuta poteva rivolgere anche a se stesso… se fosse stato meno spartano. (E fatto salvo il punto sulle donne che il polacco ritraeva a una sola dimensione, mentre Turgenev come il suo mentore Flaubert era il dio che creava donne sulla pagina)
“Quel che rende Turgenev simpatico e benvenuto al mondo anglofono sono le sue creature – esseri umani, fortunati e sfortunati, oppressi e oppressori – non come le altre strane bestie di Russia impegnate nei loro ménage mentre mandano in frantumi le loro anime dannate nelle chiuse alternative delle contraddizioni mistiche. Sono esseri umani, pronti ad amare, pronti a soffrire, pronti a combattere, a vincere e a perdere in quel gioco ispiratore e infinito dove si aspira, giorno per giorno, a un futuro che sempre si allontana da noi. Quando poi questi esseri umani che abbiamo creato vengono portati a provare l’amore, possiamo sperare che rimarranno, almeno, tanto a lungo quanto le emozioni infinite dell’amore. Almeno finché queste non siano rimpiazzate dalla semplicità di una eugenetica perfezionata: e se anche fosse così, le donne non sarebbero cambiate poi molto. Le donne che Turgenev comprese così teneramente, con così tanta reverenza e passione, loro, almeno, sono per sempre”.
Andrea Bianchi
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Conrad a David Garnett
29 novembre 1896
Caro Garnett,
ti mando diciassette pagine ancora, 65-82, del mio amato Negro del Narciso. Mandale a Mr. Pawling, ma prima guardale tu. Mi vergogno a pensare a quante cose mie non ti ho ancora mostrato. È come se avessi fatto a pezzi la mia coscienza, come aver litigato con la mia voce interna: non mi sento al sicuro. Certamente nulla può modificare il corso del Negro. Lasciamo che sia impopolare se così dev’essere. Però mi sembra che la cosa sia preziosa e, in superficie, abbastanza comune per avere del fascino per l’uomo della strada. Come se mancasse un solo punto: bè, è sempre quella la vita. Gioia incompleta, tristezza incompleta, la mezza furfanteria dell’eroismo, la sofferenza a metà. Gli avvenimenti si accumulano e si spingono a vicenda e non succede nulla. Sai quel che intendo. Le opportunità che non durano abbastanza. A meno di non essere in un libro di avventure per ragazzi. Quanto alle mie opportunità, non sono mai finite: si sono consumate prima che avessi l’occasione di fare quel che altri sarebbero riusciti a concludere. Dimmi che ne pensi di quel che vedrai. Io vado avanti. Altre 20 pagine così o anche meno arriveranno a un punto fermo. E non potrò respirare, finché non concludo per me non esistono orologi. Brutta cosa questo scribacchiare. Grazie.
Tuo per sempre, mia moglie vi abbraccia tutti e due
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27 maggio 1912
Carissimo Edward,
spero di non averti disgustato per il mancato ringraziamento per la vostra traduzione dei Karamazov. Molto bene che tu ti sia ricordato di me, e certo ero estremamente interessato alla cosa. Ma è un grumo impossibile di valore discutibile. È cattivo in modo terrificante e impressionante ed esasperante. Di più, non so da che parte stia Dostoevskij o cosa voglia rivelare, ma so solo che suona troppo russo per me. Come l’urlo di qualche orgoglioso primitivo. Capisco che i Russi l’abbiano appena ‘scoperto’. Auguro loro molta gioia. Certamente la traduzione di tua moglie è incantevole, da spezzare il cuore al solo pensiero, che coraggio e che perseveranza! Lasciami dire, che talento per l’interpretazione. Parlare di ‘traduzione’ per questo suo traguardo è fuori luogo. Eppure l’arte del nostro uomo non si merita questo colpo di fortuna. Turgenev, forse Tolstoj, sono gli unici che si meritano le sue cure. Dille della mia ammirazione e devozione per lei. Le si può solo essere infinitamente grati qualsiasi cosa si pensi o si provi su Dostoevskij.
Sempre tuo
Joseph
* la traduzione è di Andrea Bianchi