25 Ottobre 2024

“e dicevi della gioia questa disciplina in caduta”: per “I bimbi nuotano forte” di Isabella Bignozzi

Il y a des îles de nuit dans le plein jour.
Des îles pures, fraîches, silencieuses. Immédiates.

L’amour seul sait les trouver.   

Christian Bobin, Le Christ aux coquelicots         

Chi può guardare due volte
Le scarpe di una creatura qualunque
Senza mettersi a piangere?
Dio, col suo sguardo
Infinitamente abbattuto
Che non si stacca mai
Dalle scarpe degli uomini.

Héctor Murena, Trad. di Cristina Campo in La tigre assenza

                                                                                      Sala della Luce

cosa scrivere, quando il gesto di compagnia è sancito. offrirti anch’io qualcosa in gratitudine, tradendo la sprezzatura sfuggente del dono, Che esso non sia saputo né ricambiato. Il Cristo ringrazia coloro i quali non sapevano a chi stessero dando da mangiare. altrimenti, neutralizzare il contro-dono, come fanno i guaritori maninka quando chi chiede conforto non ha niente da dare: posano una noce di cola, il frutto dell’alleanza, nella mano dell’altra persona affinché lei possa a sua volta ridarla. così il debito è estinto, il dono intatto in potenza. impotenti, gli esseri umani hanno fatto del dono la prima pietra dello scambio per esorcizzare l’eredità del conflitto, di un debito iniziato prima di loro. c’è chi non si è arreso alla meccanicità della causa-effetto, al dono avvelenato. chi al posto della reciprocità simmetrica ha opposto una reciprocità a innesco ritardato, nel tempo inopportuno, come la Provvidenza, che rompe il tempo e porta l’evento, “l’incontro imprevedibile” del dono di Marcel Hénaff.  la tua silloge, dono che non aspetta doni. le hai dato nome. I bimbi nuotano forte, sorella di Giovanna Sicari nel portento dell’infanzia. l’impresa dello stare colmi in ogni sé. i bambini nuotano, forti nella pulsazione dove tutto è giusto per chi si dona all’estraneità nel petto esposto della bracciata, scartavetrando uno stupore che per pochissimi anni renderà invincibile alla vita: la vita all’altezza della vita. per pochissimi anni. Hai gridato: “I DOT DE PAUER!”, intendendo dire: “I got the power!”. Avevi tre anni e giravi per il bosco verde abbattendo le piante di panace con un bastone. Crescevi, eri invincibile. Eri forte. Ti arrampicavi sugli alberi più alti, camminavi sulla fune, facevi la verticale, i tuoi salti mortali erano pazzeschi. Sapevi fare qualsiasi cosa con il corpo. Non avevi paura di niente. Joaquín Sorolla l’ha dipinta, la vita all’altezza della vita, nei corpi bambini rifrangenti l’acqua e la luce, nudi e uguali nel fulgore di libertà. l’infanzia lucente di Elena e Polissena con cui aprivi Cantami o diva degli eroi le ombre, quando il sole ancora affabulava il carro dei destini. il sole di Dylan Thomas, fiamma d’infanti. nelle mani null’altro. che l’opera di sottrazione del travaglio d’amore, dall’ammanco, alla sazietà, alla restituzione. “quella particolare fede del sottrarre che è propria del moto dell’anima verso l’ignoto”, scrivesti per Sicari.

in apertura, tre citazioni da Massimo Morasso, Gianfranco Lauretano e Nicola Bultrini. imprimi parca il senso del tuo incontro con loro. tre corde poetiche fraterne per attenzione in cui riecheggiano, ognuna a modo proprio, le parole della letizia di prima ora. così le udì Kazantzakis: Non domandare, Francesco, capisco tutto e non capisco niente; comanda.

*

                                                                          Walk in the light, steadily hurry towards me

“nelle mani null’altro”. titoli la prima sezione con un verso di Francesca Serragnoli. i sentieri irregolari dell’avvicinamento: provare, sapendo che ogni nuovo tentativo porta la ferita. e comunque, provare. così sai degli esseri umani, così sai dell’uomo tuo. dico tuo come del giardino che cingiamo non nostro.

“ti vorrei tutt’uno col vento
quando sguscia dal disamore
lasciare quella sagoma al muro
come impronta d’ipotesi, impercorsa”

l’amore da scoprire e ornare, ornamento quello che distanzia come terra incognita di differenza fertile, attesa curiosa: che si cura di qualcosa nella maraviglia. quell’Amo a te, messe di eredità per una felicità possibile nella Storia.di Luce Irigaray trattengo soprattutto questa isola del silenzio in ascolto. l’opera ruvida dell’accomodamento all’amore: ogni tanto dimenticare, ricordando tutto. lo sguardo sopravvissuto ai rovesci riconosce la preghiera acre dell’insonnia. e corde sono i pianti sospirati. “bontà inseparata […] e so il luogo che sa”, del riparo conosciuto solo agli amanti: coloro che amano nel tempo. ché ’l bene, in quanto ben, come s’intende,/ così accende amore, e tanto maggio/ quanto più di bontade in sé comprende. “violino a corde d’acqua/ nel lasciarti trasparente/ oltrepassata da ciò che brilla”. a seno sudato, eppure guardi amore dal cristallo della lontananza che permette di mirarlo in trasparenza. dell’amor de lohn hai tenuto il raggio dello sguardo, l’esercizio paziente del mistero. l’amore che si scioglie sia nell’amplesso che nella tensione verso una luce superiore appena affacciata. acqua di sensi e di spirito. nelle radici di diverse lingue la parola ‘luce’ rimanda alla luna, alla lucerna, alla pupilla, al raggio, alla stella, all’oro, all’alba. ma viene all’orecchio l’eco della lingua maga: λύῶ, sciolgo. Omero usa questo verbo per narrare dello sfinimento dei guerrieri ma esso significa anche separare e porre fine alla lotta, abbattere e adempiere, risolvere gli oracoli e liberare dall’affanno. nella lingua che seppe. di ogni estremo.

e quando tu vedevi le mura di Troia “fradice di luce”, non erano forse sciolte?

luce che sfa il recinto, luce che ammutisce.

da qualche parte, c’è un evento di fuga immobile.

*

la seconda sezione, “non so niente di me”, apre in omaggio a Silvia Bre. entri con lei nella vita che ha perso i riferimenti, nel corridoio di versamento in cui il corpo preso nell’agguato si allontana da sé senza sapersi. e senza sapersi nei momenti di bonaccia si guarda, nell’attimo di verità che non impartisce. sapeva, Hermann Broch, che diede alla verità una forma altrettanto informe come può esserlo la grazia del sorriso di Dio. quel Dio che lo attacca a sorpresa, strangolatore che non conosco/ e la grazia del tuo sorriso/ è un colpo/ alla mia nuca. Dio pantera d’amore che non vuole essere ringraziata. e lì, nello stordimento della rapina, si sente l’eccesso fiottare, si chiami esso dio, umano, o vetta minerale. quando la mente fatta più grande, di se stessa uscio. l’invasione. quando non si sa più di sé. in Memorie fluviali dicevi “punto” questo non-luogo: “Sei entrato in un luogo invisitato di me”. qui continui il cammino tra gli sterpi, abbracci la congerie nel faticoso esercizio: apprendere a vegliare per tutti, apprendere a vegliare per tutto. ciò che punge della ferita di intuizione. centro alato, cuore con le ali, cuore trascendente, inerme e invulnerabile, che rinasce dal suo avvilimento. a volte si intravede, il punto esatto di confusione, “dove l’amore è ancora possibile”. un barbaglio in mezzo ai fulmini, dolore intravertito nel cammino già vergato dalle temerarie in amore, quelle che hanno scorto i lampi del bianco dal tempio buio, rispettato i giuramenti di frana. Io amo. Sino all’incandescenza/amo e con saluti inglesi ringrazio. Ingeborg Bachmann amò, nel dolore compìto, come lo è il dolore “nei giorni del bianco”, impercettibile. e quanto, stordito di assopimento fatale. “saigner à blanc”. così hanno tradotto Sarah Kane: “fuck you for bleeding the fucking love and life out of me”, reso l’estremo del bianco nel portare via “fuori di me”. nell’“amore che non ti assolve”. ché amare è troppo, e sempre troppo poco. amiamo inclementi, la fede in canizie. fino a quando, in un momento qualunque, il malessere di dedizione scartato lampeggia, lì sotto, e risale a galla: un sorriso di fretta sulle scale. e mentre eravamo distratti dal brusio nostro, nel suo sguardo erano sbocciate le occhiaie. forse ti è venuto in mente questo, pensando ad “Angela”, faits di quei divers mai incontrati attentamente. una delle infinite chiamate della giornata che bussa nuova, scheggia di un’anfora dalle foglie d’oro. tutto insopportabile, indestinato nell’assenza casuale. e brancola e manca: “perduto il proprio calco sul giorno/ognuno si dice inimmaginabile l’alba/”. l’essere umano di Sicari, impotente per imparare, che non sa cosa Dio voglia da lui, che vede il Giudizio in una suola di scarpa, e Ogni scheggia dice addio alla saggezza. mancanza che si ripiega su se stessa, andare contro, nel non-luogo di densità, che definire punto preciso non sarebbe che per “tremare di precisa primavera”, per la sua distanza dal “fare il punto”, “metterci un punto”, “andare al punto”. salire verso la caduta, scrivi. sempre poco, noi, che mordiamo l’immenso. dedicate.

Joaquín Sorolla, Santa en oración, 1888

*

                                                                        Wherever you come from is a holy place

nella terza sezione, “chi si prende cura di noi”, un altro pensiero a Sicari, sveli il movimento curvo dell’affido. la richiesta di pietà individuale del Confiteor, voce sola dove non si sente più voce, si protende alla pietà ecumenica del Kyrie Eleison.

Probabilmente è il filo di una preghiera a equilibrare le città dell’uomo, impedendone il crollo.

la pietà del e per il vivente davanti al “pandemonio sotto gli occhi di Gesù”, quando ogni pronuncia  è lusso di ignoranza, alfabeto inadatto a quello che è. È quel che è. Lo dice l’amore, lo dice il non-amore: spensieratezza: non pensare che nessuno è immortale. Gesù nelle presenze anonime e universali “sul tappeto volante di cartone”, i tuoi guardiani che vegliano gli angeli ancora roridi della bruma libera dell’alba. un paio di anni fa incontrai un uomo a Via Merulana. era seduto per terra accanto a una ciotola, tra le mani teneva un libro di filosofia politica. mi disse che passava il tempo a leggere, qualunque cosa riuscisse a trovare. rimasi qualche minuto a parlare con lui. mi tornarono le parole di Simone Weil, che l’elemosina quando non è soprannaturale è un’operazione di acquisto. Con esso si compera lo sventurato.

(cosa sanno, della sventura, fuori dall’avvento, coloro che prendono spensierati?)

pedaggio per proseguire prima che il gemello in agguato non ci rovini addosso. quando si sorregge tra le due mani un catino troppo pieno camminando pianissimo e volano schiaffetti d’acqua come se si corresse. in quel sentimento lì. gli proposi di portargli dei libri. mi disse che l’avrei ritrovato lì ma nei giorni successivi non riuscii a tornare. guardando il cartone avrai pensato al tappeto di Cristina Campo che unisce cielo e terra nel movimento della spola, tessitrice dei destini tra ordito e trama. vedi lo smeraldo nel vetro di bottiglia. a lei dedichi la tua aderenza alla gioia difficile.

“un male a sfiatarti il petto
e dicevi della gioia
questa disciplina in caduta
sullo sgomento del fiorire
non si può dire salvezza
solo i fili tra le cose
seta nel cielo, tornare bimbi
fare dei versi
una catastrofe di gigli
letali di trasparenza”

quel “tutto prega”. anelare in grande. dall’innamoramento all’amore creaturale, fino a tendere alla coscienza amorevole che non abbisogna. e dove prima scorrevano le onde/ resta un amore per le altezze/.

eppure sai, quanto la pace del bene porti in petto lo scavo di sughero.

di questo perdonare, letteralmente, a chiunque non se ne accorgesse.

*

                                    L’etere ha accolto le loro anime, mentre questa terra i loro corpi

a chiudere, i due testi di “kerameikos”, la scia. in esergo hai voluto porre qualche mia parola che scopro grata. “più scuro dello scuro cielo,/ il mistero/ più alta la preghiera”, scritta costeggiando il sentiero viola dei cardi. torni da basso, dal formicaio di cocci del Κεραμεικός di Atene, il quartiere dei ceramisti adiacente al cimitero che si volle fuori dalle mura di Temistocle. “l’interminato campo”. nel Demosion Sema, dove venivano sepolti i guerrieri, un epigramma in Attico vergato a lettere celesti ricorda la battaglia di Potìdea, vittoria ateniese di malaugurio che portava in grembo la disfatta dell’Ellesponto, la caduta dell’ὕβρις. in molte culture, i ceramisti, come i fabbri, erano mediatori con l’aldilà, temuti e cercati. attraverso loro, vicini al mistero, ritorni alla terra, alla stratigrafia accidentata dei viventi, “croce bassa che sente male fino in cielo”. con pochi tratti disegni un cortometraggio del quotidiano, la zavorra stanca dei giorni che non puoi fare a meno di abbracciare, nella sua onnipresente ripetizione: “la ferraglia rotta nel fosso”, “la ghiaia bagnata”, le “stoviglie sporche”: “un grigio che ferma le mani sul tavolo”. l’azione è conchiusa, il messaggio ha portato la sua parola, riverso su un fianco, al suo posto. ‘punto’ di resa del sacro immobile. forme che nella loro staticità diventano Documenta, testimoni, maestre. frammenti di una Storia spinta dai remi di galera, dai forzati cui non erano rivolti i rumori del giorno. l’umanità galeotta di Laura Kasischke, la sua America. di quella coppia del Michigan che ha lasciato il figlio di due anni nella foresta e la mattina dopo se ne è tornata a casa. la droga, dicono. Una sorta di stupidità profonda accentuata dalla disperazione. il bambino è stato ritrovato da un passante. camminava come un bambino, ha detto. un agente di polizia l’ha riconosciuto, andava al nido insieme a suo figlio. il resto, scrive Kasischke, si deve immaginarlo. di come la creatura abbia passato quel tempo da sola. Per sopravvivere, dovete immaginarlo ogni giorno. avrà passato quel tempo nella vita invincibile, come i bambini.

Lettera nel cassetto (Cristiana Panella, 2020)

*

chiudo questa lettera con le tue parole pulite, anima presa.

“Tu, che hai peso di piuma, tu che sei oltre le piantagioni di sale, parlami del fiore, chiamami per nome.
Anch’io perdo la via nelle pianure di nebbia, dove crolla il casolare, trafitto dal gelo. Dove solo i cancelli che ruotano, l’intrecciarsi dei fossi, il latrare scuro dei cani.
Ma se piove sghembo, il cielo riempie i laghi, scioglie le spire. Ribatte il cammino alle tempie, chiede il gesto, il rifugio. Cresce l’erba sulle traverse delle rotaie, lievita il pane al tepore, rosso si corica il giorno.
Verità è questa piccola sera che intreccia sangue e germoglio, steli d’acqua e pianto in garbuglio, come una cesta di sete.
S’apre altissima la notte, protetta da lealtà, cosa lucente e piana. Come si pesassero da sole le cose, nell’acqua quieta, che non solleva o nasconde. Come fosse tenero tutto, e caro.
Edifica ora con tenacia il calore delle mani, l’accoglienza degli occhi, dilata le ossa. Che non vi sia congedo senza lume, senza voce, tra corpi vivi.
Come uccelli addormentati, raggeliamo sulla riva, in un chiasso d’ombra. Ci hanno lasciati soli, senza nido, nei rigori d’inverno. Dico non è tardi, per raccogliere ciò che, piegato, trema. Bellezza di pace. Tempo cavo.
Nel bagliore marino, un chiaro d’alba, per ciò che ancora si può dire amore.”

Cristiana Panella

*

Note

I passi tratti da I bimbi nuotano forte sono riportati tra virgolette; le altre citazioni sono in corsivo.

e corde sono i pianti sospirati viene dal brano “Cantico dei Tarantati” del musicista Cesare Basile (album Gran cavalera elettrica, 2003).

La differenza tra una pietà cosmica ‘del’ vivente e ‘per’ il vivente è data, nella mia lettura, dalla differenza di senso tra il Kyrie Eleison cattolico e quello greco-ortodosso. Nel primo caso la traduzione più frequente è: “Signore, pietà” (abbi pietà); in questo caso è Dio che concede la pietà; nel secondo è, letteralmente: “Signore, prendi la pietà” (ossia, accogli la nostra pietà): è la pietà degli esseri umani verso se stessi che viene rimessa a Dio.

Il testo di Laura Kasischke Ceci n’est pas un poème/ conte de fée, qui tradotto dall’autrice, è tratto dall’antologia in francese Où sont-ils maintenant.

Crediti:

Per le immagini delle opere di Joaquín Sorolla, Wikimedia Commons 2019, 2020
Per la foto della lettera, Cristiana Panella 2020
Per l’immagine della prima di copertina, Arcipelago itaca edizioni 2024

Riferimenti bibliografici:

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Bignozzi, I. Memorie fluviali. Milano: MC edizioni, 2022.
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Versione originale, 4.48 Psychosis, disponibile via: https://rlmalvin.angelfire.com
Kasischke, L. Où sont-ils maintenant. Anthologie personnelle. Trad. di S. Doizelet. Parigi: Gallimard, 2021.
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Morasso, M. La caccia spirituale. Milano: Jaca Book, 2012.
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