Un amico mi sussurra: guarda che ci sei anche tu! Dove?, faccio io, cascando come sempre dall’Athos di cristallo dove vivo. Nella classifica dei migliori libri dell’anno stilata dalla “Lettura” del Corriere della Sera, idiota! Eh!?!, replico, di cosa stai parlando? Cretino, fa lui, staccando il cellulare.
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A conforto della mia ignoranza. “La Lettura”, l’inserto culturale del Corriere della Sera – di solito non lo prendo, è di una noia equinoziale, equina, equatoriale – stila ogni anno una classifica dei migliori libri dell’anno. Per il 2019 “Il pallone d’oro della letteratura” – così il pezzo di Antonio “Anthony” D’Orrico – è andato a Il colibrì di Sandro Veronesi, di cui hanno parlato un poco tutti (non l’ho letto, sto zitto).
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Geografia del voto. La classifica – lo dico dando ancora cura alla mia ignoranza – è stilata registrando le preferenze di 317 “scrittori, traduttori e collaboratori dell’inserto”. Ciascuno di loro ha scelto “i tre migliori libri usciti nel 2019”. Strano. L’amico che mi ha telefonato – e che presumibilmente mi ha votato – non collabora con il Corriere. Diciamo che, stando così le cose, la classifica rispecchia le opinioni dei collaboratori del Corriere. Ecchissenefrega. Forse sarebbe bene allargare le maglie e le mutande.
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Sostanzialmente, i primi dieci libri in classifica – di qualità? di quantità? – sono transitati, più o meno a lungo, pure nella classifica dei libri più venduti (Il colibrì, Serotonina, I leoni di Sicilia, La vita bugiarda degli adulti, Fedeltà), segno, appunto, che tra qualità e quantità non c’è differenza. Degli altri – da Bret Easton Ellis a Ian McEwan e Manuel Vilas – hanno scritto in molti, moltissimi (pure io). Quindi, niente di nuovo sotto il sole: a che pro la classifica?
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Nessun libro Mondadori tra i primi dieci (ma 5 Einaudi); nessun piccolo editore tenuto in considerazione; La Nave di Teseo piglia medaglia d’oro e d’argento (Houellebecq). Molti romanzi mi sembrano modesti (quello di Houellebecq non è il libro migliore, quello di Ellis idem; Stefania Auci e Elena Ferrante hanno firmato romanzi diversamente brutti, Marco Missiroli un libro semplicemente presuntuoso). In ogni caso, non mi pare che La Nave di Teseo sia l’editore migliore di questo paese di pessimi lettori: io preferisco ancora Adelphi.
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Come mai non c’è un libro di poesia tra i primi dieci in classifica, almeno uno? A dire il vero, non vedo molti libri di poesia neanche nel resto della classifica: perché? 317 lettori ‘forti’ in fondo uniformati a quelli debolissimi. Eppure, a me pare che la poesia, in Italia, sia messa meglio del romanzo. Per carità, sono un idiota.
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Ne resterà soltanto uno. Che senso ha allineare in classifica tutti gli altri? La letteratura è agonistica, ma non è una gara di atletica – è egoista. Non mi immagino l’Ulisse di Joyce in testa alla classifica dei migliori libri del 1922. I grandi libri, in realtà, sono sempre fuori classe – bisogna cercarli al di là di questa classifica.
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Le pagine 36-37 dell’inserto sono emblematiche. Una massa di libri, di nomi, un massacro. Mi sembrano le pianure di feti in vitro di Matrix. Mi sembra una cosa orribile. Ogni libro necessita di una intimità assoluta: va scelto e curato, come fosse il solo. Va accarezzato come una liturgia. Così, invece, è una specie di vilipendio al lettore, una viltà, che schifo.
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Consiglio non richiesto: mettete dei limiti al grottesco. Esempio: alla riga “Punti 20” l’Ingegner Carlo Emilio Gadda – con Divagazioni e garbuglio – sta vicino a Michael Connelly; Ildefonso Falcones sta al fianco di Georges Simenon. Poco sopra, Massimo Gramellini è vicino a Denis Johnson (“Punti 22”), ma fatemi il piacere… ci sono scrittori che devono restare fuori classifica, abbiate pietà almeno dei morti.
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Quanto a me, ho preso “Punti 4”, il minimo sindacale, insindacabilmente. 4 persone – chissà chi – hanno preferito Gries, il libro di poesie che ho pubblicato con Aragno due mesi fa. Strano. Non pensavo che qualcuno l’avesse letto, che a qualcuno fosse arrivato, che ad alcuno fosse piaciuto. Insieme a me, intorno, in assedio, tutti stipati come formiche, un mucchio: da Charles Bukowski (povero ‘Chinaski’, anche lui tra gli addobbi librari natalizi…), Luciano Canfora, Lilli Gruber (!), Tacito (!), Veronica Raimo + Marco Rossari e Nicanor Parra (!!!), Roberto Mussapi, Giorgio Agamben e Michela Murgia. Il commento adatto è in cima alla pagina, dove si cita un libro di Milan Kundera, La festa dell’insignificanza. Ecco. Proprio così. Insignificanza.
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A che pro questa classifica?, ripeto. Per implementare le vendite di alcuni libri (a discapito di altri)? Piuttosto, per darci idea – perfino grafica – che la letteratura è un puttanaio, un vespaio di bla bla, di libri che ronzano per azzeccare attenzione.
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La poesia, poi, non può stare in classifica, quieta & domestica; non ha neanche una classificazione grammaticale, va cercata nei boschi, tra chi ti mette un foglio nella buca delle lettere, in direzione contraria alle norme, deformato dalla meraviglia. Meglio non esserci, in una classifica come questa. (d.b.)