24 Maggio 2022

“Guerra! La perfetta animalità umana: come gli insetti!”

Guerra! La mia preoccupazione non è la guerra. È un’altra cosa strana, cioè che non mai come in quest’ora mi apparve trasparente l’animalità dell’uomo. Io, oggi, vedo la perfetta animalità umana: come le formiche, come gli insetti! Sì, grossi insetti parlanti noi siamo. Stupore immenso! Questi tram, questi insetti uomini, donne, queste bimbe e bimbi che vanno a scuola, bianchi, lucidi, composti! Vanno a scuola gli insetti? Il cielo di maggio è delizioso, è puro. Vedo quel signore contegnoso, con quei baffi in su. Chi è? Un tricheco. Un tricheco munito del colletto. E quella donna che entra in San Petronio? Vanno alla messa gli insetti? E se sono insetti gli altri, io che cosa sono?

[…]

Io sono un insetto che guarda gli altri insetti.

24 maggio 1915

Questa la visione del maggio radioso di Alfredo Panzini, una visione surreale, metafora di un paese estremamente affaccendato nel preparare la propria catastrofe, un paese giovane e incosciente, negli occhi del professore ormai cinquantenne. Una visione che spontaneamente mettiamo a confronto con quella kafkiana, e che, guarda caso, coincide nell’anno 1915 (annotazione del Diario sentimentale di Panzini, prima pubblicazione de La metamorfosi di Kafka); una coincidenza inquietante e che deve far riflettere, perché se Gregor si risveglia tramutato in un grosso scarafaggio, e Panzini vede le persone cambiate in insetti, proprio all’indomani della Grande Guerra, qualcosa dev’essere scattato. E non si diventa insetti dall’oggi al domani, nell’arco di una nottata furiosa, ma lo si diventa piano piano, giorno dopo giorno, un’efferatezza dopo l’altra.

Panzini era un letterato dell’Ottocento piombato nel nuovo secolo col mezzo sorriso di che ha ben compreso quale sia la prima caratteristica del Novecento: non lo sviluppo, non il rinnovamento, ma tanto fumo. Un secolo di chiacchiere, morte e ipocrisia. Perché in Italia già da un anno non si parla d’altro che di guerra, e il dibattito ha raggiunto quel culmine, oggi ben sperimentato, in cui non si sa più cosa pensare. Un culmine dove la guerra smette di essere una cosa fatta dagli uomini, per divenire un fatto naturale, un incidente, un naufragio. Alle analisi ben congeniate si sostituiscono slogan, simboli, starnazzamenti. L’idea di dare il colpo di grazia all’Austria è troppo ghiotta per lasciarsela scappare, e l’Italia accorre, un po’ furbescamente, al capezzale dell’Impero in fiamme, come mosche sulla cancrena. Ma Panzini sembra vedere questa meschinità italiana, tutta provinciale (e lui la provincia la conosceva benissimo) e moderna solo a parole, già il 24 maggio, quando ancora si festeggia e si riempiono di fiori i treni.

Questa la lezione di oggi del professor Panzini, una lezione piena di pessimismo, dove le ore passate sui libri di storia non sono servite a nulla, poiché l’uomo è sempre pronto, sempre intelligentissimo, quando si tratta di preparare la propria e l’altrui rovina. Non c’è patriottismo che tenga, quando si tradisce l’umanità (e al posto delle orecchie spuntano due antenne).

Gruppo MAGOG